Report di Dario Onofrio
Foto di Monica Ferrari
Quasi come se un gruppo di feroci cavalieri d’Oriente avesse portato con sé il freddo, Milano è gelida quando arriviamo per l’apertura dei cancelli domenica 13 novembre all’Alcatraz. Un nutrito gruppetto di persone, tra metallari e non solo, occupa le file aspettando di entrare nel locale per l’unica data italiana del tour dei The Hu, la formazione di Ulan Bataar che ha sconvolto il mondo del metal più conosciuto nel corso degli ultimi tre anni. Avendo già avuto modo di ascoltare il nuovo “Rumble Of Thunder” e di intervistare Gala, il cantante della formazione, non potevamo perderci quest’occasione e ci siamo recati al noto locale milanese per partecipare alla calata dell’orda mongola in terra italica. Una cosa che sinceramente non ci era ancora capitato di vedere è stato un ‘dj-set’, curato da TiTania di Radiofreccia, in apertura della serata: possiamo dire che la dj ha capito subito di che pasta fosse fatto il pubblico, perché dopo appena le prime due canzoni più ‘per tutti i gusti’ siamo subito passati a una selezione di folk e power metal, che fra Rhapsody, Alestorm, Korpiklaani e Finntroll ha scaldato gli animi dei presenti. C’è anche da dire che ci hanno sorpreso sia l’età media dei partecipanti – con tanto di genitori che avevano trascinato i figli al concerto – sia la quantità di stranieri presenti alla serata, probabilmente dovuta al fatto che molte date europee sono andate sold-out; fra questi, comunque, abbiamo con piacere notato una nutrita partecipazione della comunità mongola italiana. Insomma, nonostante qualche contrattempo tecnico, l’atmosfera di festa c’era tutta.
Sono le 21 quando i The Hu salgono sul palco dell’Alcatraz e la prima cosa che notiamo è che, dopo gli Haggard, si tratta probabilmente del più grosso dispiegamento di forze che abbiamo mai visto sul palco del locale meneghino. La band si presenta infatti in otto elementi, fra cui ovviamente il nucleo ‘storico’ della band composto da Gala, Jaya, Enkush e Temka, più i turnisti che accompagnano il quartetto nei loro viaggi in giro per il mondo in un tripudio di percussioni, corde e ritmi che partono dall’Oriente per ibridarsi con un certo modo di intendere la musica metal più moderna e orecchiabile.
Il concerto però sembra subito funestato da un problema tecnico, perché dopo l’inizio di “Shihi Hutu” l’impianto audio salta clamorosamente! Per fortuna il pubblico è talmente carico che, anziché prendersela a male, inizia a rumoreggiare con cori e battimani, e dopo qualche minuto lo show ricomincia da capo fra la gioia degli astanti. Si può dire che bene o male tutta la platea sia stata positivamente coinvolta, anche coloro che sono accorsi all’Alcatraz probabilmente solo per sentire la hit “Yuve Yuve Yu” (per la quale, ahinoi, si è alzata una foresta di smartphone volanti). Anche chi non conosceva quindi “The Gereg” e “Rumble Of Thunder” si è dunque goduto il meglio di questi due dischi, a partire da “Shoog Shoog”, “Shirteg Shireg” e la bellissima “Wolf Totem”: con il loro incedere marziale e mistico hanno dato un bello scossone all’animo di chi gusta con piacere le contaminazioni del metal con influssi ‘multietnici’. Jaya ha più volte parlato rivolgendosi direttamente alla comunità mongola nella propria lingua madre durante il concerto e, anche se non abbiamo idea di cosa abbia detto, possiamo assicurarvi che la reazione del pubblico è sempre stata calda e festosa, mentre a Gala è toccato comunque dire quelle due o tre paroline in inglese per tenere alta l’attenzione degli altri partecipanti, dimostrando come i recenti tour in giro per il mondo abbiano ben rodato la presenza scenica e i ritmi live dei musicisti. Dopo la chiusura apparente con “Black Thunder” e “This Is Mongol”, non poteva mancare ovviamente l’encore che, come sospettavamo, è stata la cover di “Sad But True” dei Metallica. Un concerto davvero divertente che ci ha ricordato molto del folk metal europeo, ma visto forse da una prospettiva più strana e lontana dai nostri canoni, anche solo per il modo gutturale e sferzante di modulare la voce nel profondo della gola, tipico di panorami più orientali. A farla da padrone in questa esibizione è stato comunque l’impatto visivo della performance, a partire dai costumi di scena della band che ci sono sembrati estremamente curati, fino agli strumenti suonati, di apparente foggia tradizionale, ma con quella giusta aggiunta di distorsione che non guasta. Sul palco, comunque, i The Hu realizzano una performance di tutto rispetto: il loro essere numerosi conferisce un’aria quasi intimidatoria ai pezzi più marziali, e la fusione di chitarre elettriche, voce gutturale, batteria e percussioni crea un mix sonoro affascinante, nonostante sia oggettiva la difficoltà della band nel muoversi o risultare dinamici, considerata la quantità di musicisti e i loro ‘ingombranti’ strumenti musicali. Un connubio veramente particolare, sicuramente inusuale senza però risultare troppo affettato: possiamo dire che sono rimasti soddisfatti tutti, sia coloro che hanno conosciuto i The Hu grazie al passaparola o per la presenza nella colonna sonora del videogame “Star Wars Jedi: Fallen Order”, sia chi invece li ha scoperti e apprezzati per le cover dei Metallica. Speriamo quindi che la formazione vada avanti spinta dal successo, e di rivederli presto a qualche festival estivo!
Setlist:
Shihi Hutu
Shoog Shoog
The Gereg
The Great Chinggis Khaan
Huhchu Zairan
Triangle
Shireg Shireg
Bii Biyelgee
Tatar Warrior
Yuve Yuve Yu
Wolf Totem
Black Thunder
This is Mongol
Sad But True
TITANIA
THE HU