La seconda tappa del Power Of The Riff di Greg Anderson a San Francisco stavolta si sposta al molto più capiente Mezzanine nel Financial District per accomodare i numerosi fan dei Pentagram e i tanti supporter dei nativi Early Graves. La serata ancora una volta si svolge all’insegna della qualità più assoluta, sia per quanto riguarda la condizione di tutte le band che hanno calcato il palco, sia per quanto riguarda la fluidità e l’organizzazione ineccepibile dell’evento che si è svolto senza alcun calo o cedimento per ben otto ore consecutive, tutte ovviamente benedette dall’oscura mano della Southern Lord Records.
ÆGES
La “super-band” di Los Angeles ci ha messo anima e corpo per dare il calcio di inizio alla serata e far scapocciare le poche teste aggregatesi sotto al palco fino a quel momento, ma l’alternative rock melodico in salsa grunge e post-hardcore dei nostri non è stato certo la ricetta più adatta a far scorrere l’adrenalina nelle vene di un pubblico che era lì per assistere a ben altri livelli di distruzione sonica. Le voci pulite di Kemble Walters a metà strada tra Thrice, Cave In (nei loro momenti peggiori) e Soul Asylum hanno limitato non poco il set degli Æges, così come anche il generale atteggiamento ammiccante e sognante da alternaitve rock band da classifica, più adatta a un pubblico meno esigente e più distratto che a un gathering heavy come il Power Of The Riff. Da segnalare la strana accozzaglia di di musicisti che forma la band: Larry Herweg dei Pelican e Tusk alla batteria, Mark Holcomb di Shift, Undertow e San Angelus alla chitarra, il sopra citato Kemble Walters dei The Rise, Juliette And The Licks e Kemble Walters & the Blank Faces alle voci e chitarre, e Tony Baumeister dei devastanti 16, e Cutthroats 9 al basso. Band che ha fatto tanta fatica a trovare una propria identità sul palco e a emozionare a dovere, ma che ha fatto il possibile per non sfigurare del tutto, cosa che alla fine le ha fatto onore.
BAPTISTS
Debordante, violentissima e fottutamente divertenente, invece, questa giovanissima band hardcore di Vancouver che per mezz’ora ha trasformato il palco del Mezzanine in un campo di battaglia fumante e arroventato. A metà strada tra il punk and roll dei Coliseum e il power violence degli Iron Lung e dei Man Is The Bastard, la band canadese ha inanellato, una dietro l’altra, dieci repentine e ferocissime schegge di rabbia che sono state a tutti gli effetti la vera sigla di inizio della seconda serata del Power Of The Riff. Il vocalist della band ha soprattutto raccolto gran parte dell’ammirazione del pubblico e del sottoscritto grazie a una performance completamente fuori controllo con tanto di bottiglie di vetro spaccate sulla fronte, autolesionismi di ogni sorta e stage diving pericolosissimo più da evento wrestling che da evento musicale. Alla fine sia per lui che per il pubblico, comunque, solo qualche graffio e tante risate e applausi, soprattuto da parte di un soddisfattissimo Greg Anderson, che da sotto il palco sembra aver ampiamente gradito. Band da tenere d’occhio assolutamente.
EARLY GRAVES
La performance della band trash-core di San Francisco è stata commovente, e intensa e questo stop del Power Of The riff di San Francisco ha rappresentato per gli Early Graves il primo concerto dalla tragica morte del cantante Makh Daniels avvenuto ormai circa un anno fa. La band ha preso possesso del palco proprio nella propria città natale di fronte a parenti, amici stretti e fan di vecchia data per tentare un nuovo inizio e lasciarsi alle spalle la tragedia, con un set estremamente stripped down e “in your face” in cui hanno fatto capolino anche un paio di validissime canzoni nuove. Insomma, per i nostri deve essere stato veramente un momento importante nella loro carriera, occasione che non hanno assolutamente sciupato, grazie a una performance ferocissima, emozionante e compattissima che ha visto assolutamente preservata la reputazione costruita fin ora dalla band. Le intenzioni di rinascita della band e le speranze dei presenti sono state rinforzate anche e soprattutto grazie alla performance del nuovo vocalist John Strachan (anche nei The Funeral Pyre) che si è fatto più che valere in occasione di questo debutto con la sua nuova band, e che ha dimostrato di essere stato una scelta del tutto ponderata e azzeccata per i nostri. Insomma, la band è di nuovo fra noi e sembra intenzionata a restare, il pubblico ha recepito il messaggio a chiare lettere ed è rimasto entusiasmato dalla neo-ritrovata spinta distruttiva degli Early Graves.
MASAKARI
Completamente annichiliti e marci da fare schifo, questi cruster di Cleveland. La loro proposta musicale è fatta essenzialmente di blocchi d-beat melmosi e spigolosi tirati dritti in faccia al pubblico a ripetizione, senza pietà e senza sosta. Doom, Soar Throat e Discharge sono le linee irremovibili lungo le quali si muove il sound della band. La loro performance è stata feroce e distruttiva come si conviene per un evento simile, ma canzone dopo canzone il livello di attenzione e di concentrazione del pubblico è sceso lentamente ma inesorabilmente per via di un atteggiamento compositivo veramente troppo omogeneo e conservatore da parte della band, le cui canzoni sembrano essere veramente tutte uguali e indistinguibili tra loro, senza grossi guizzi creativi o variazioni stilistiche. Band comunque che si è fatta più che valere e che, tra guerra totale e rabbia cieca, è riuscita comunque a fare la sua porca figura.
ALPINIST
Ecco qua il top della serata. Il picco del “Power Of The Riff San Francisco – Part Two” è stato toccato grazie a questa formidabile e visionaria band tedesca. Con il set degli Alpinist la serata ha preso una direzione del tutto diversa lasciandosi alla spalle i circle pit, i blast-beat e gli anthem punkettoni validi ma “superficiali” di tutte le band precedenti. Gli Alpinist sono tutt’altra storia. Il loro hardcore è cerebrale, vorticoso, imprevedibile, strutturatissimo e incredibilmente introspettivo. Si potrebbe parlare di math-core nel descriverli, ma l’etichetta in questione farebbe giustizia alla musica dei tedeschi solo a metà, poiché essa non è solo una mostra di capacità tecniche e compositive del tutto fuori dal normale, ma anche di una visione musicale unica, e di totale esplorazione sonica e intraprendenza concettuale. La band sembra essere composta da individui di una età media molto bassa, e la loro carriera sembra essere solo agli inizi, e quindi con tutti i margini di miglioramento del caso ancora in bella mostra. Si vede che ancora non sono totalmente padroni dei loro mezzi e rilassati nel suonare, ma la loro visione musicale è evidentmente anni luce davanti alla loro esperienza. La band infatti non ha nascosto lo sforzo disumano nel concentrarsi e rimanere focalizzata sull’esecuzione di canzoni strutturalmente colossali. Il set quindi ha forse patito un tantino sotto il punto di vista della spettacolarità, poiché i quattro erano costantemente piegati sui loro rispettivi strumenti attenti a non farsi sfuggire dalle mani il loro stesso incontrollabile sound, e senza quindi interagire col pubblico. Ma questo dettaglio non ha limitato assolutamente lo show dei Nostri, e anzi, forse ha anche ampliato il carico introspettivo e cerebrale di suoni e strutture musicali incredibili, impossibili da decifrare e totalmente distruttive. Band che va seguita assolutamente, insomma, senza se e senza ma. Il loro mix di hardcore, prog metal, noise e psichedelia è difficile da spiegare, ma se immaginate un mix di Botch, primi Isis , Discharge, Pink Floyd e Meshuggah, avrete una vaga idea di cosa vi trovate per le mani. Band assolutamente stellare, sia sul palco che in studio.
PELICAN
Ormai attiva da oltre dieci anni, la band di Chicago, una volta alfiera del miglior post-rock americano, ha preso possesso del palco in silenzio e con il solito atteggiamento da nerd timidoni e si sono lanciati immediatamente in un paio di pezzi tra quelli più corpulenti estratti dall’ultimo e titubante “What We All Come To Need”. I Pelican sono ormai una band progressive/alternative rock a tutti gli effetti, melodica, svogliata… Anonima. Ormai completamente assenti quei tratti sludge metal, psichedelici e neurosisiani che avevano fatto la loro fortuna con i primi due album a marchio HydraHead, i “losangelini di Chicago” ormai sembrano una versione semplificata e strumentale dei Porcupine Tree, o degli Opeth addormentatissimi che hanno dimenticato il freno a mano tirato. La band si muove, scapoccia e sbraita sul palco, ma i suoni che arrivano al pubblico sono effimeri e svogliati e mancano completamente di quelle sulfuree e intrippanti divagazioni psych-noise, e quelle svettanti scalate doom che ne caratterizzavano gli esordi. I fan della band hanno gradito senza perdere la testa, tutti gli altri hanno affollato i tavoli del merchandising, i bar e la sala fumatori.
PENTAGRAM
Si può rimanere impassibili di fronte agli occhi spiritati e strabuzzanti di Bobby Liebling? Ovviamente no. Si può rimanere indifferenti di fronte a una delle voci più iconiche e leggendarie del metal, tra l’altro per l’occasione in assoluto stato di grazia? No. Si può rimanere con le chiappe ferme di fronte a dei riffoni sabbathiani, pressoché perfetti e memorabili che hanno praticamente dato i natali al doom metal? Ancora una volta no. Line up ancora una volta riarrangiata (ma meno del solito!), ma i Pentagram hanno rockeggiato e emozionato come solo dei veri veterani veri come loro possiono fare. Il set dei virginiani ha pescato per lo più dall’ultimo lavoro “Last Rites”, contenente senz’altro i pezzi migliori della band da almeno dieci anni a questa parte, e la presenza del figliol prodigo Victor Griffin sul palco con la sei corde in mano ha inevitabilmente spinto la band a suonare per lo più pezzi tratti da “Be Forwarned”, “Day OF Reckoning” e “Relentless” e a rispolverare un sound rocciosissimo e un costante tsunami di assoloni debordanti che mancavano ormai da troppo tempo. Insomma, sia per quanto riguarda lo stato di salute che per la scelta della scaletta, i Pentagram hanno dimostrato di essere in palla totale e hanno divertito emozionato e mostrato la stoffa dei veterani indiscutibili difronte ad un pubblico soddisfattissimo composto in egual misura da diciottenni e sessantenni scapoccianti con le corna alzate al cielo. Nulla da dire, sono in giro da quarant’anni e si vede.