15/08/2011 - THE POWER OF THE RIFF 2011 @ Elbo Room - San Francisco (Stati Uniti)

Pubblicato il 27/08/2011 da

Greg Anderson dei Sunn O))) (e uno dei due fondatori della Southern Lord Records) può finalmente mostrare dal vivo alcune delle band che promuove, visto che la maggior parte delle band ambient, black metal e sperimentali con le quali ha lavorato maggiormente negli ultimi dieci anni erano progetti per lo più oscuri e super underground che non contemplavano minimamente alcuna attività live. Dopo aver inserito di recente nel roster un ben gruzzolo di band hardcore, death e crust (scelta questa che sta anche re-inventando l’etichetta) che vivono praticamente on the road, Anderson ha pensato bene di creare un mini tour incentrato solo sulle “sue” band, e fare così bella mostra del suo rivampato, poliedrico e allargato roster. Giunto con successo alla seconda edizione e – per ora – appannaggio solo di alcune grandi città della West Coast tra cui San Francisco, il mini tour “The Power Of The Riff” si è rivelato un evento splendidamente organizzato che ha messo sullo stesso palco un piccolo esercito di band dal sound eterogeneo, ma tutte, a loro modo, di sublime qualità e del tutto distruttive. Il nero carrozzone della Southern Lord è sbarcato dunque anche a San Francisco e in queste righe ci accingeremo  a raccontarvi la prima serata della doppietta in programma per la città degli hippie, che si è tenuta al piccolo, ma molto suggestivo Elbo Room nel Mission District di San Francisco


ACEPHALIX
Dopo aver scoperto con estremo piacere che il bassista della band brutal-crust di San Francisco è un nostro simpaticissimo compatriota trasferitosi nella Bay qualche anno fa da Firenze, rimaniamo ancora più colpiti dal sound e dalla tenuta di palco della violentissima metal band locale. Gli Acephalix sono del tutto spietati. Il loro mix di Motorhead, primi Entombed, Slayer, Discharge e Immolation non lascia alcuno scampo. I riff della band di San Francisco sono montagnosi, bellicosi, e affilatissimi e veicolano una sola cosa: guerra totale, senza prigionieri. La band suona compatta come un cingolato, i riff di chitarra sono come motoseghe impazzite. La sezione ritmica provvede a fornire una propulsione inarrestabile e le voci fanno sembrare Petrov degli Entombed Topolino. Oltre alla delivery vocale va fatta anche menzione alla presenza scenica minacciosa e intimidatoria del frontman, che forte dei suoi novanta chili e fisico asciuttissimo si fa veramente pochi problemi a scendere dal palco e scatenare con le sue nude mani un pitt animalesco, letteralmente afferrando e lanciando persone a destra e sinistra. Il pubblico gradisce, si gasa ancora di più e il risultato finale è un set compattissimo, divertente, pieno di energia e fottutamente violento. Performance da incorniciare.

ALL PIGS MUST DIE
La super band metalcore di Kevin Baker e Ben Koller riprende il discorso da dove lo avevano lasciato gli Acephalix e rifila al pubblico altri quaranta minuti di violenza hardcore senza frontiere. Diverso il sound e l’approccio fra le due band ovviamente, ma medesimo il carico di veleno sputato in faccia al pubblico. Ben Koller dietro alle pelli è la solita furia incontrollata che fa battere il cuore dilaniante dei Converge, e anche in questa band non si è risparmiato neanche un briciolo di distruzione. Le urla di Kevin Baker sono come dichiarazioni di guerra che si  innalzano da una barricata sotto una tempesta di molotov. Performance intensa e ferocissima quella del frontman che non si à fermato un attimo nel suo lancinante sermone di dolore. L’hardcore degli APMD comunque, anche se ben radicato nel verbo metalcore moderno di scuola Converge, mostra anche una serie interessante di altre sfumature che vanno a completare il loro sound bellicoso e super-abrasivo, soprattutto per quanto riguarda le contaminazioni thrash-black alla Celtic Frost e i breakdown crust-grind in pieno stile Extreme Noise Terror. Altra band validissima, fautrice anch’essa di un set debordante.

BLACK BREATH
I Black Breath invece hanno convinto poco. Il loro sound è letteralmente una copia carbone del sound “buzzsaw” di scuola Entombed del periodo “Wolverine Blues”. Va bene omaggiare e trarre ispirazione da una band storica, ma scopiazzare così spudoratamente è un’altra cosa. L’approccio generale della band è comunque molto più hardcore di quella degli Entombed e le ritmiche sostenute e i breakdown da pit spietato hanno limitato i danni in qualche modo e mostrato che la band comunque non è fatta solo di Entombed e ha qualche altra cartuccia in canna da sparare. Divertenti anche loro ma Kevin Baker e il frontman degli Acephalix hanno fatto sembrare lo screamer dei Black Breath (dotato di un latrato hardcore old school alquanto anonimo) un damerino sceso da un tour bus al Warped Tour.

TRAP THEM
La band hardcore del New Hampshire invece ormai ha un suono riconoscibilissimo e collaudatissimo e una vasta discografia dalla quale attingere che permette alla band di proporre con dinamismo sia l’assalto grind all’arma bianca che ne caratterizzava gli esordi che i rallentamenti simil-sludge crust e swedish-death dei lavori più recenti. Il set dei nostri è stato intensissimo e caratterizzato da una serietà e una passione pressoché totali e da un sound moderno, bruciante e compattissimo, tra i migliori esempi del d-beat moderno. Interessante è stato anche vedere la “trasformazione “ messa in essere dalla band sul palco, che in effetti dal vivo propone un sound e un approccio molto più stripped down, scarno e diretto rispetto a ciò che siamo abituati a sentire sui loro album, in pieno stile old-school quindi, con tanto di anthem riottosi a ripetizione, circle pit istigati col forcone, e una generale e costante fusione della band con il pubblico che ha generato sopra e sotto al palco un mucchio di corpi informe e in perenne ebollizione. Altra prova senza tanti preziosismi, ma con litri di sangue e sudore versati e con un sound indubbiamente ormai estremamente riconoscibile.

NOOTHGRUSH
La storica band sludge-doom della Bay Area chiude definitivamente il capitolo hardcore e dintorni sviluppato dalla prime quattro band e traghetta la serata in tutt’altri territori aprendo il capitolo finale della serata all’insegna della lentezza, della psichedelia e della disperazione sonica più profonda. La band di Oakland in realtà è ancora in limbo e il suo futuro incerto visto che hanno deciso di uscire dal letargo, per ora, solo per accontentare un fan sfegatato, ovvero Greg Anderson in persona, e per suonare una decina di date per commemorare il decennale dallo scioglimento avvenuto del tutto in sordina nel 2001, dopo una infinità di split, un solo full length, e una esistenza ingiustamente passata nella generale indifferenza. Oggi la storia è diversa invece, e anche se Chiyo, Russ e Gary avevano smesso da anni,  il culto dei Noothgrush non si è mai assopito ed è solo aumentato, e dieci anni dopo, la band ha ora molti più sostenitori e ammiratori di quando era in vita, e sono stati tra i principali fautori del sold out dell’Elbo Room. Il trio sludge ha passato dieci anni coperto dalla povere e dalle ragnatele, ma ci ha messo giusto due riff a tornare a splendere come una supernova di melma. Ritmi pachidermici, riff fumosi come provenienti dalla bocca di una solfatara, e un mood musicale completamente strisciante e misantrpico hanno caratterizzato il set dei nostri. Insieme ai Dystopia e agli Sleep i Noothgrush erano la migliore band sludge-doom che la Bay Area avesse mai visto e questa sera lo hanno riconfermato senza alcuna riserva. Ora non rimane che sperare in una reunion a pieno regime e che confermino la loro partecipazione al prossimo Roadburn al quale sono già stati invitati.

WINTER
Alcune band sono semplicemente troppo avanti per i loro tempi, e tra queste, un esempio perfetto sono i Winter. Il death metal comatoso e collassato dei nostri è un prodotto alieno e ultraterreno che va approcciato e visto da un angolo inedito per essere capito e apprezzato. Come per i Noothgrush ci troviamo di fronte ad un’altra band che durante gli anni di prima attività non raccolse mai quanto meritava e che invece oggi ha legioni sterminate di imitatori e ammiratori che ne reclamano il ritorno a gran voce. Il mondo ci ha messo quindici anni ad apprezzare questi tre becchini psiconauti del riff, sintomo inequivocabile della lungimiranza ed essenzialità del loro osticissimo ma ormai leggendario sound. Il trio di New York mostra fin dalle prime oltretombali note di “Destiny” che per loro la musica è una costruzione e un processo catartico e non una semplice esecuzione. Le  canzoni di Winter sono un viaggio interstellare fatto sia di ibernazione tombale che di dilatazioni spazio-temporali astrali  e angoscianti. Tutto è rallentatissimo, tutto è distorto alla totale sfigurazione e tutto ribolle. Le accelerazioni repentine che la band inforca qua e là nel set sono esplosioni cosmiche, gli spasmi finali di una stella che collassa. Gli ultimi sussulti death prima di un oblio doom. Diversamente da tante altre band doom metal slabbrate, fumose e rumorose, i Winter hanno padronanza estrema del loro sound, invero molto complesso e convogliato al millimetro. Il feedback sibila senza uscire fuori controllo e le note vengono sostenute anche per un intero minuto senza il minimo segno di cedimento. Questo “controllo” superbo che la band padroneggia in una musica così negativa e disperata ne aumenta il carico distruttivo a non finire rivelando una band con una visione e delle capacità tecniche veramente al disopra della media. In generale quella dei Winter è stata una performance davvero stellare nella esecuzione e incredibilmente interessante nei suoni e nelle idee. Band davvero stupenda sotto molti punti di vista, speriamo che torni presto in piena attività.

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