Report a cura di Simone Vavalà
Solo tre dischi all’attivo, di cui l’ultimo pubblicato oltre trent’anni fa. Una formazione in eterno mutamento, che ruota in fondo solamente intorno al padre-padrone Andrew Eldritch e alla sua voglia di suonare dal vivo, peraltro con una manciata di concerti all’anno – almeno negli anni ‘di buona’. Nonostante tutto questo, o forse anche per l’alone di mistero e aspettativa che tutto ciò comporta, i The Sisters Of Mercy sono praticamente sinonimo di gothic rock anni Ottanta, e non a caso l’Alcatraz di Milano ha offerto il suo palco principale all’esibizione della band inglese, con numeri alle soglie del tutto esaurito. Tra luci e ombre (soprattutto queste ultime, e non solo come metafora della loro proposta musicale), ecco il nostro report dell’esibizione.
HUGS OF THE SKY
Non conoscevamo la band olandese, se non attraverso un veloce ascolto di brani prima del concerto; rispetto all’approccio a cavallo tra rock e psichedelia proposto in studio, gli arrangiamenti dal vivo dal trio olandese sono molto più duri, vicini a una sorta di rivisitazione a tinte cupe e quasi industrial della no wave newyorchese. Largo spazio, quindi a dilatazioni ed effetti, che sfociano coerentemente nella lunga jam finale: anche se i musicisti non sono propriamente gli Swans e la sensazione complessiva è che cerchino il massimo dell’impatto a colpi di distorsione e rumore, più che offrendo brani di particolare caratura. Interessante, comunque, la capacità di offrire un’esibizione dal vivo molto diversa da quanto ci aspettavamo, così come il netto contrasto in termini di scelte esecutive che, a fine serata, verremo a definire tra loro e i vampiri di Leeds.
THE SISTERS OF MERCY
Qualche indizio sull’esibizione dei The Sisters Of Mercy lo avete già dalle righe precedenti: abbiamo parlato di luci e ombre, così come di una grande differenza rispetto all’impatto potente e noisy della band di apertura. Chi vi scrive, a dirla tutta, ha mancato diversi loro concerti negli anni per la fama di band non esattamente imperdibile dal vivo, ed effettivamente i difetti riscontrabili sono tanti. Innanzitutto, per quanto l’assenza di un batterista in carne e ossa sia un dato di fatto – e anzi la batteria campionata delle Sorelle abbia raggiunto uno stato mitico (e persino un’identità: il “Doktor Avalanche”) – a questo giro il MacBook Pro curato da Ravey Davey aveva raccolti in sé batteria, basso e tastiere, e già questo ha determinato una generale sensazione da dj-set con ospiti di lusso. Alle chitarre, poi, la sensazione generale è stata più quella di vedere un sosia di vent’anni più giovane di Eldritch stesso e un altro entusiasta fan della band preso sul palco a fare mossette accattivanti più che a suonare, dato che l’impatto delle sei corde è stato quasi impalpabile anche sui brani più riff-oriented. Infine, Andrew: un personaggio iconico per la sua voce cupa, seducente e conturbante, persino omaggiato sui solchi di uno dei dischi più importanti del metal anni Novanta (controllate la vostra copia di “Gothic” dei Paradise Lost), che si limita a fare un abile mestiere con il minimo sforzo: la voce è ancora calda, ma la potenza viene espressa grazie a un volume mostruoso, limitando così sia il suo contributo che la durata dei brani. E quest’ultimo punto rappresenta un vero e proprio scempio nei confronti di canzoni che nascevano possenti anche per la loro ossessività (su tutte “More”).
Tutto da buttare, insomma? Alla fine, no. Sarà l’effetto nostalgia, il vedere un palco poco illuminato e con i riflessi dei numerosi specchi collocati su di esso, saranno le atmosfere campionate ma pur sempre efficaci, ma soprattutto sarà la potenza iconica dei brani… Fatto sta che, pur in una scaletta composta per metà di inediti e che tocca appena i settanta minuti di esibizione, è difficile resistere a ballare, e non sentirsi ancora sulle piste dei locali dark come venticinque anni fa, quando vengono offerti pezzi come “Alice”, “Marian” o la strepitosa combo finale, alias “Temple of Love” e “This Corrosion”.
Non imperdibili, insomma, ma capaci di scuotere comunque qualcosa nelle nostre corde più profonde.
Setlist
Don’t Drive on Ice
Ribbons
There’s a Door
I Will Call You
Alice
But Genevieve
Marian
Instrumental 86
Giving Ground
More
Show Me
Six Ways to Sunday
I Was Wrong
When I’m on Fire
Here
Eyes of Caligula
Lucretia My Reflection
Temple of Love
This Corrosion