29/04/2017 - THE SOUTHERN STORM FEST II @ Barbara Disco Lab - Catania

Pubblicato il 02/05/2017 da

Report a cura di Elio Ferrara

Seconda edizione del The Southern Storm Fest, organizzato dalla Nasty Spikes Events in collaborazione con Eagle Booking. Una serata ‘romana’, quella che si è svolta a Catania, se consideriamo che si sono avvicendate sul palco ben quattro band provenienti dalla capitale, più gli headliner Onslaught. Il bill si è rivelato in effetti molto interessante, perchè si sono esibiti per la prima volta in Sicilia dei gruppi molto validi, ed è un vero peccato che non ci sia stata una risposta di pubblico adeguata. Ci sembra pressochè inutile in questa sede entrare nel merito di quelle che possono essere state le ragioni della scarsa affluenza, ma è innegabile che, purtroppo, come vedremo, in parte quest’aspetto ha avuto delle conseguenze anche nello svolgimento dello spettacolo, con pesantissimi tagli nelle scalette di alcune band di punta, fra le quali, in particolare, The Foreshadowing e Hour Of Penance, che di fatto si sono viste costrette a suonare paradossalmente meno dei gruppi di apertura. Non possiamo poi esimerci dall’osservare come ci abbia sorpreso la totale assenza di band locali, che sarebbero state invece vitali per garantire almeno un minimo di presenze già in fase iniziale. Ad ogni modo, preferiamo concentrare il nostro report sulle band intervenute, che hanno saputo dare dimostrazione di grande professionalità e hanno saputo divertire i presenti, offrendo una serata di ottima musica.

 


GRAVESTONE

I cancelli vengono aperti con circa un’ora di ritardo rispetto agli orari preannunciati e si fanno iniziare a suonare i Gravestone quando ancora sta cominciando ad entrare la gente, per cui, per le loro prime canzoni, i Nostri si esibiscono davanti a pochissime unità. Parliamo di un gruppo che si era formato inizialmente nei primi anni ’90 e che poi è stato rifondato qualche anno fa. In realtà, era di fatto avvenuto un secondo split, ma stavolta il chitarrista Marco Borrani ha deciso di mantenere il moniker e proseguire con il progetto insieme a nuovi musicisti. Effettivamente, la proposta della band ci è sembrata davvero molto interessante: i loro brani sono alquanto articolati e perciò potrebbero essere magari meglio apprezzate dopo vari ascolti, però ci hanno fatto subito un’ottima impressione. La band, infatti, suona un prog/death che riesce a coniugare potenza, tecnica e fantasia, districandosi tra trame di una certa complessità, cambi di tempo, passaggi più ragionati accanto ad altri più diretti ed aggressivi. Una bella realtà, che viene evidentemente portata avanti con passione ed impegno da Borrani e da tutti gli altri musicisti.

ROME IN MONOCHROME
Microfoni anni ’50 e un abbigliamento più serioso ci hanno per un attimo spiazzati, prima che i Rome In Monochrome attaccassero invece con i loro violentissimi riff: in realtà, però, la loro musica cura in modo particolare soprattutto l’aspetto atmosferico ed emotivo. Ben tre chitarre, per esplorare diverse soluzioni sonore e dare colore alla loro musica malinconica, sulla scia, tra gli altri, di gruppi come Novembre, Anathema, Paradise Lost e My Dying Bride. I ritmi sono molto lenti, quasi statici talvolta, e questo probabilmente non aiuta particolarmente a conseguire un pieno coinvolgimento del pubblico. La band suona un pezzo tratto dal proprio EP “Karma Anubis”, ma è costretta a fermarsi per problemi tecnici. L’attesa dura un po’ mentre i ragazzi cercano di chiacchierare con il pubblico per intrattenerlo, finchè possono finalmente riprendere l’esibizione presentando in anteprima tre pezzi nuovi, che saranno inclusi nel loro primo album, ancora in lavorazione: l’ultimo proposto ci è piaciuto particolarmente e ha coronato una performance certamente interessante, per quanto con qualcosa ancora da perfezionare nell’insieme. Purtroppo, l’ulteriore tempo perso ha costretto i Rome In Monochrome a tagliare un pezzo dalla scaletta rispetto a quelli preannunciati.

THE FORESHADOWING
In questo caso parliamo di una band ormai di veterani, se si considera che il gruppo capitolino ha pubblicato il suo primo album ben dieci anni fa, mentre all’anno scorso risale il loro più recente full-length, il bellissimo “Seven Heads Ten Horns”. I tagli cominciano a farsi a questo punto purtroppo più consistenti e la band riesce a suonare appena cinque pezzi, dando tuttavia ugualmente un assaggio della propria bravura. In parte c’è da dire che i The Foreshadowing giocano in casa, perchè il cuore pulsante del gruppo è rappresentato dalla batteria di Giuseppe Orlando, originario proprio di Catania. Il tocco dell’ex-Novembre è inconfondibile e, già da solo, ciò rende il sound dei The Foreshadowing davvero speciale. La band, infatti, riesce a creare un’atmosfera magica, grazie anche ai muri di chitarre di Alessandro Pace e Andrea Chiodetti, alle invenzioni del tastierista Francesco Sosto e alla voce calda ed evocativa di Marco Benevento. Una musica intrisa di malinconia, che potrebbe ricordare gli stessi Novembre ma che riesce a trovare la sua dimensione in un fluire continuo e cangiante di emozioni e sensazioni. Davvero un ottimo gruppo, che mette subito in evidenza la propria esperienza sul palco e dove tutto appare studiato e curato nei minimi dettagli. Tra i pezzi eseguiti, ci hanno colpito in modo particolare “Two Horizons” (tratta dall’ultimo album) e “Departure”, risalente al loro primo disco “Days Of Nothing”.

HOUR OF PENANCE
Uno dei gruppi più attesi della serata finisce per essere a nostro avviso il più penalizzato. Il taglio subito dagli Hour Of Penance è stato, purtroppo, a dir poco drastico, perchè viene dato loro spazio solo per appena venticinque minuti; quindi, se non andiamo errati, addirittura quaranta minuti in meno rispetto a quelli previsti. Una scelta piuttosto inspiegabile, perchè se era giusto far suonare tutti, non è chiaro perchè fosse così necessario far diventare la loro presenza quasi simbolica. Ad ogni modo, parliamo di un gruppo che è senz’altro tra i più interessanti ed importanti nella scena death romana, nazionale e non solo, con ben sette album all’attivo, l’ultimo dei quali, “Cast The First Stone”, uscito, com’è noto, proprio quest’anno, con ottimi riscontri anche a livello di critica. Nel poco spazio a disposizione, gli Hour Of Penance vanno velocissimi per non perdere ulteriore tempo, dando l’impressione quasi di vomitare tutta la propria violenza sonora, travolgendo il Barbara Disco Lab con devastante aggressività. Quasi senza soluzione di continuità si susseguono cinque canzoni: si parte con il classico inizio dei loro concerti, rappresentato dal duo “Theogony” / “Sedition Through Scorn”, che garantiscono subito un ottimo avvio ed un bel biglietto da visita. La band romana propone poi un altro dei propri classici, “Paradogma”, e poi c’è appena il tempo di proporre due pezzi dal nuovo album, ovvero “XXI Century Imperial Crusade” e la title-track. Ci sarebbe piaciuto ascoltare molto di più, ma per stavolta è andata così.

Setlist:
Theogony
Sedition Through Scorn
Paradogma
XXI Century Imperial Crusade
Cast The First Stone

ONSLAUGHT
Giunge il momento degli headliner che, grazie ai tagli in scaletta a cui abbiamo fatto accenno per i gruppi precedenti, salgono sul palco non troppo oltre l’orario previsto, iniziando intorno alla mezzanotte invece che alle 23:40. Inutile dire che la classe non è acqua e gli Onslaught fanno sentire tutto il loro carisma e la propria esperienza. Nige Rockett rimane per la verità un po’ defilato, lasciando al bassista Jeff Williams e soprattutto al cantante Sy Keeler, davvero in formissima, il compito di trascinare e coinvolgere il pubblico. Il combo inglese ha saputo realizzare negli anni ’80 alcuni album importantissimi nell’ambito del thrash europeo: in particolar modo ci riferiamo ad un capolavoro come “The Force”, uscito nel 1986 e del quale la band ha celebrato l’anno scorso il trentesimo anniversario. Proprio tutto “The Force” viene dunque eseguito per intero, catapultando il pubblico in visibilio in un pogo incessante. La band macina i suoi riff uno dietro l’altro, ma si mettono in evidenza anche Micheal Hourihan, un’autentica macchina da guerra dietro le pelli, e il giovane chitarrista Ian Davies, davvero bravo con i suoi numerosi e dirompenti assoli. Una volta suonato “The Force”, la band si concentra sul proprio repertorio post-reunion, proponendo alcuni pezzi da “Killing Peace”, ovvero la title-track, “Burn” e la bellissima “Destroyer Of Worlds”, nonchè un brano ciascuno dagli album più recenti, con “The Sound Of Violence” (da “Sounds Of Violence”) e “66’Fucking’6” (da “VI”), per poi chiudere nei bis con un paio di pezzi più datati (risalenti a “Power From Hell” del 1985), vale a dire “Onslaught (Power From Hell”) e “Thermonuclear Devastation”. Certo, magari la setlist cala un po’ sotto diversi punti di vista, una volta terminata la prima parte riguardante “The Force”, nel senso che con i pezzi più nuovi la band ricalca un po’ le orme del passato senza aggiungere qualcosa di particolarmente significativo, ma senza dubbio in quest’occasione ha sfoderato una performance eccellente, che è stata per tutta la sua durata di alto livello, trascinante e coinvolgente. Finisce il concerto, tanti applausi, e gli stessi protagonisti scendono dal palco tra foto e strette di mano in un sano clima di festa e di amicizia. Bella serata quella offerta da questo piccolo festival, che auspichiamo possa dunque ritornare l’anno prossimo per una nuova edizione.

Setlist:
Let There Be Death
Metal Forces
Fight With The Beast
Demoniac
Flame Of The Antichrist
Contract In Blood
Thrash ‘til The Death
Killing Peace
The Sound Ov Violence
Burn
Destroyer Of Worlds
66’Fucking’6
Onslaught (Power From Hell)
Thermonuclear Devastation

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