BEARDFISH
Puntuali come orologi svizzeri si apprestano a fare il loro ingresso sul palco del Thunder Road gli svedesi Beardfish, ancora giovani, volenterosi di apprendere, ma dannatamente convincenti. La figura preponderante è quella del leader Rikard Sjöblom, qui in veste di cantante, tastierista e chitarrista solista in alcune song, che con la sua timida ma incisiva prestazione domina letteralmente i pochi minuti assegnati alla band. Una mezz’oretta di concerto in cui i folli svedesi (l’aggettivo si addice perfettamente al divertentissimo bassista Robert Hansen, indemoniato ballerino erede di James Brown) hanno spaziato dalle tinte dark di “Sunrise” e “And Never Know” alle digressioni scintillanti quasi da musical della divertente “The Gooberville Ballroom Dancer”, estratta dal validissimo doppio CD datato 2005 ed intitolato “The Sane Day”, ovvero il biglietto da visita con il quale la ottima InsideOut ha deciso di chiamare la band alla sua corte. Una performance buona, quindi, scalfita esclusivamente dalla ancor breve esperienza dei ragazzi in questione, talvolta eccessivamente chiusi su se stessi e poco comunicativi.
THE TANGENT
Tocca agli headliner della serata, i The Tangent, capitanati dal ‘vecchietto malefico’ Andy Tillison, l’ingrato compito di bissare il successo ottenuto dai Ritual. E il lavoro riuscirà solo per metà, purtroppo per loro. Il sound della band, infatti, risulta eccessivamente ridondante, e la prestazione di Tillison alla voce lascia parecchi interrogativi, specialmente dopo la stellare performance di Patrick Lundström. Insomma, Andy qui è solo un compositore/tastierista che canta, non è un vero cantante. Sulla band primeggia lo strepitoso chitarrista turnista Krister Jonsson, personaggio tanto particolare e sopra le righe, quanto ottimo con il proprio strumento, dotato di una padronanza del palco e del mestiere blues/jazz che ci ha fatto tornare in mente le performance strepitose ed arroventate di Richie Kotzen, mago della sei corde e mai troppo lodato cantante. Sua è la scena, per chi ovviamente si interessi ai veri cavalli di razza e non si fermi alle apparenze, e le sue interpretazioni al fulmicotone delle parti di chitarra di altri strumentisti lasciano il segno. Il resto in realtà non conta molto. Il leader Tillison fa quello che può alle tastiere, la band lo supporta con eleganza, ma quello che ci rimane è davvero poco. Un 6 politico. Ora speriamo solo che si decida di tenere Krister Jonsson per il prossimo studio album. Sarebbe davvero interessante ascoltarlo in una situazione diversa.