AMON AMARTH
Dopo i “quindici minuti di gloria” dei Death Army sale sul palco la corazzata Amon Amarth. La scenografia è minimale ma efficace, con teloni raffiguranti il monicker della band e l’immancabile martello di Thor. Il gruppo attacca con “Death In Fire” e il pubblico acclama subito i cinque svedesi. La popolarità degli Amon Amarth è in continua crescita in Italia e lo si vede anche in questa occasione, nonostante alla band debba esibirsi praticamente in apertura della serata. Il mastodontico e barbuto vocalist Johan Hegg domina la scena con il suo growl e il fido corno che porta sempre alla cintura. Bravo pure nel rendersi simpatico e guadagnarsi anche l’attenzione dei meno interessati con qualche timido accenno di italiano. Segue la velocissima e travolgente “Asator”, con una devastante prestazione della sezione ritmica Ted Lundström-Fredrik Andersson Le chitarre di Olavi Mikkonen e Johan Söderberg non sembrano invece avere sempre un volume ottimale a centro platea e a volte infatti si perdono nella preponderanza dei bassi. Non c’è sosta e “Twilight Of The Thundergod”, dall’ultimo omonimo album, cede il passo all’epicissima “Runes To My Memory”. Buona anche “Free Will Sacrifice”, anch’essa dal nuovo lavoro ma più cadenzata e coinvolgente in sede live rispetto alla titletrack. In chiusura “Cry Of The Blackbirds” e la massiccia “Pursuit Of Vikings”, il brano più famoso degli Amon Amarth nonché il più atteso della serata. La band esce dunque di scena a testa alta e tra gli applausi, nonostante una Setlist che abbia praticamente ignorato le più vecchie produzioni ( The Last With Pagan Blood?!). In ogni caso l’ennesima conferma di un’ottima band che ha saputo coniugare l’aggressività del death metal con una vena epica e viking molto accessibile anche per chi non è molto incline a sonorità estreme. Up the horns!
MASTODON
Il gruppo di Atlanta, presentatosi agli spettatori del Palasharp in formazione ridotta (dato il ricovero di Bill Kelliher in ospedale), regala una fantastica performance agli appassionati della loro musica, e riesce anche a fare qualche proselito. Nonostante la bassa posizione in scaletta e la mancanza del secondo chitarrista, i tre tengono il palco molto bene (non sono noti per essere dei grandi istrioni, a dire il vero), fanno il loro mestiere e ci mettono l’anima. Chiaramente le canzoni sono mancanti delle armonie date dal buon Bill, ma ciò non inficia troppo la performance, che vede i Mastodon pescare brani (soprattutto) da Blood Mountain, ma anche da Leviathan e da Remission. Il terzetto spara una delle canzoni che più fanno presa in sede live, ovvero quella “Blood And Thunder” che apre il capolavoro rispondente al nome di “Leviathan”. Si prosegue con canzoni come “The Wolf Is Loose”, “Crystal Skull” e “Iron Tusk”, tutte eseguite con grande passione. Il drumming di Dailor è furioso, il basso di Sanders pulsante e la performance di Hinds è ottima, compresi momenti come lo stacco country di “Megalodon”. La scaletta è chiusa dalla splendida cover di “The Bit” dei Melvins, regalo che i nostri fanno a loro stessi (sono quasi tutti fan della band di King Buzzo) e al pubblico, anche se purtroppo a quanto si è potuto constatare è risultata sconosciuta alla maggior parte dei presenti. Promossi a pieni voti, li aspettiamo con Bill e possibilmente da headliner al più presto!
TRIVIUM
Complice il pubblico degli Slayer più rispettoso mai visto (che le nuove leve siano più educate della frangia old school?), e grazie ai pezzi di “Shogun”, perfetti per la sede live, i Trivium riescono ad alzare la barra ancora una volta, confermando la lungimiranza della Roadrunner Records, che li ha tolti dalla culla e fatti crescere a questi mostruosi livelli. La differenza col passato recente è nella confidenza con la quale la band calca il palco: oltre alla sicurezza che da sempre contraddistingue il combo di Orlando, è innegabile il fomento e il trasporto nell’eseguire i pezzi e nel cercare l’interazione col pubblico, che mostra di gradire gli estratti dall’ultimo lavoro (“Kirisute Gomen”, Into The Mouth Of Hell We March” e “Down From The Sky”) come il meglio della produzione passata (“Becoming The Dragon”, “Gunshot To The Head Of Trepidation” e “Pull Harder On The Strings”). Ottimi anche gli scambi tra Matt e Corey, sia chitarristici che a livello di vocals, anche se la voce del frontman ha ceduto un po’ negli ultimi minuti. Uno show impeccabile, che conquista molti fan degli Slayer… o almeno quelli che non danno le spalle al palco.
SLAYER
Il pubblico comincia a infoltirsi nelle prime file in attesa della comparsa dei quattro thrasher, anticipata dall’esposizione di un telo bianco su cui vengono proiettati pentacoli prima e le ombre dei nostri poi. L’apertura è devastante, con “Flesh Storm” dall’ultimo “Christ Illusion”. La folla comincia subito a scaldarsi con un pogo assassino, come solo ai concerti degli Slayer accade. I quattro suonano meglio dell’ultima calata italica in un palazzetto (lo scorso Unholy Alliance, per intenderci) anche se sembrano un po’ meno presi dalla performance. La voce di Araya è comunque sicuramente migliore, e Lombardo è sempre un carro armato dietro le pelli, preciso e potente come ci si aspetta da un batterista del suo calibro. La band trova anche lo spazio per presentare una nuova canzone, “Psychopathy Red”, caratterizzata da un riff piuttosto dissonante in pieno stile Slayer. E’ inutile nascondere però che la folla aspettava il momento in cui sarebbe stata eseguita “Angel Of Death”, segnale che l’integrale “Reign In Blood” sarebbe iniziata. E infatti è proprio in quel momento che il concerto prende un’altra piega: i quattro sono molto più coinvolti nello snocciolare le tracce del disco di ormai ventidue anni fa, la risposta del pubblico è altrettanto calda e il pogo è ancor più forsennato. Canzoni come “Jesus Saves” o “Piece By Piece” non fanno prigionieri e l’arrivo della chiusura con “Raining Blood”, eseguita ottimamente, è la ciliegina sulla torta di questa performance. Gli Slayer se ne vanno senza concedere bis, ma di sicuro i fan sono stati ampiamente accontentati dall’ottima prestazione del quartetto, forse la migliore da un paio d’anni a questa parte.
Scaletta:
Flesh Storm
War Ensemble
Chemical Warfare
Ghosts Of War
Jihad
Psychopathy Red
Seasons In The Abyss
Dittohead
Live Undead
Cult
Disciple
South Of Heaven
Angel Of Death
Piece By Piece
Necrophobic
Altar Of Sacrifice
Jesus Saves
Criminally Insane
Reborn
Epidemic
Postmortem
Raining Blood