Report a cura di Andrea Raffaldini
Fotografie di Enrico Dal Boni
In previsione della ressa causata dal tutto esaurito, partiamo con largo anticipo per raggiungere la Unipol Arena di Casalecchio del Reno, dove in serata andranno ad esibirsi i leggendari The Who, in tour per festeggiare una carriera giunta al mezzo secolo e sempre ad altissimo livello. Nonostante le tre ore abbondanti di anticipo, l’uscita della tangenziale è già bloccata da una lunga fila di macchine: la destinazione è la medesima, basta armarsi di un po’ di pazienza ed in una ventina di minuti si intravede il parcheggio. Le varie entrate dell’arena sono assediate da lunghe code ed è solo una piccola parte del pubblico che durante la serata arriverà a riempire totalmente il palazzetto. Con grande piacere, constatiamo che, nonostante molti dei presenti abbiano un’età anagrafica sopra gli ‘anta’, numerosi giovani continuano ad arrivare per assistere allo show di una band che qualche allegro buontempone definirebbe alla stregua di ‘dinosauri ottuagenari’, magari senza averli mai visti all’opera. Giusto il tempo di dare un’occhiata al merchandise, poi è tempo di prendere posizione, per assistere allo show degli special guest, gli Slydigs.
SLYDIGS
Gli Slydigs sono una giovane band proveniente da Warrington, un paesino vicino a Manchester, Inghilterra. Da quanto appurato, la formazione sarebbe ancora senza contratto, con solo un paio di ep all’attivo. Durante un concerto in un piccolo pub, sarebbero stati notati dal management dei The Who ed ecco che magicamente i giovani si sono ritrovati come opening act di tutto il tour della formazione di Daltrey e Townshend. In un mondo dominato dalla musica usa e getta e dai talent show, la favola degli Slydigs ci dà ancora un motivo per non perdere le speranze. Ma torniamo alla musica: gli inglesi propongono un rock dinamitardo che porta al suo interno svariate influenze, si va dai Rolling Stones ai Clash, passando per gli Oasis, ma con una gran botta ed un gusto sopraffino per i passaggi melodici. L’originalità probabilmente non è di casa Slydigs, ma a Dean Fairhust e compagni basta la prima canzone per conquistare di prepotenza tutto il pubblico presente (l’arena è a circa metà capienza, in continuo aumento). “Easy Solution”, “The Love That Keeps On Givin’” e gli altri pezzi proposti sono uno più bello dell’altro, suonati in modo convincente da una band vera, che sul palco sprigiona una grande alchimia in grado di contagiare tutti i fan. Il concerto degli Slydigs dura circa una quarantina di minuti, intensi, passati troppo alla svelta. Una considerazione personale per chiudere: se dopo questo tour nessuna etichetta offrirà un contratto serio agli Slydigs…be’, sarebbe la conferma che ormai gran parte dei discografici dei giorni nostri preferisce foderarsi le orecchie di Gran Biscotto Rovagnati piuttosto che usarle per scoprire delle new sensation.
THE WHO
Cosa dire di nuovo dei The Who? Cinquant’anni di carriera, centinaia di milioni di dischi venduti in tutto il mondo, uno dei capitoli principali della storia del rock e del pop, una serie di album immortali sfornati ed una voglia di spaccare tutto ancora oggi, a settanta e passa anni. Sul mega schermo che troneggia sopra il palco appare la scritta ‘Stai calmo e arrivano gli Who!’ e finalmente la band fa il suo ingresso, introducendo lo show sulle note di “I Can’t Explain” e “The Seeker”. Daltrey appare sin da subito in grandissima forma vocale ed anche il compagno Pete Townshend si dimostra carico e pronto a scatenare il suo pubblico. Gli basta infatti lanciarsi nel suo classico mulinello col braccio e nell’Unipol Arena parte un boato assordante! “Who Are You” e “The Kids Are Alright” si susseguono una dietro l’altra, scandite da un fantastico Zak Starkey dietro le pelli. Nonostante porti un nome pesante che spesso e volentieri lo abbia fatto ingiustamente etichettare come ‘il figlio di Ringo Starr dei Beatles’, questo grande musicista ha saputo con la sua bravura distaccarsi dal grembo paterno fino a diventare un grandissimo professionista molto stimato nel business. Tra un brano e l’altro, Daltrey non cerca di interagire col pubblico, se ne sta quasi per i fatti suoi; fortuna che il buon Townshend è di tutt’altro carattere: chiede perfino se tra i presenti c’è qualcuno proveniente da Ferrara. Perché? Semplice, il chitarrista ha due nipotini di origine ferrarese, uno molto carino e angelico, l’altro ‘è cattivo!’. E giù risate! Oppure, nel momento di annunciare un brano, il buon Pete tuona: ‘ho scritto questi pezzi nel 1972, quando voi non eravate ancora nati!’. Ma torniamo al concerto, perchè Daltrey offre una grandissima performance su “Behind Blue Eyes”, settantadue anni e non sentirli! Non mancano estratti dai capolavori “Quadrophenia” (“5:15”, “I’m One”, “Love Reign”, “The Rock”) e “Tommy” (“Sparks”, “Amazing Journey”, “The Acid Queen” e l’immortale “Pinball Wizard”) e nemmeno l’inno generazionale “My Generation”, tutti suonati con un’intensità da pelle d’oca, da lacrime agli occhi. Il finale del concerto è affidato ad altri due pezzi da novanta, “Baba O’Riley” e “Won’t Get Fooled Again”, una degna conclusione per un show incredibile, uno dei migliori visti negli ultimi anni. Come nota a margine, i The Who hanno compiuto un gesto molto apprezzato, proiettando sul maxi schermo un pensiero per i paesi italiani (e le loro vittime) colpiti dall’ultimo terremoto che ha distrutto Amatrice e le zone limitrofe. Dei veri signori, oltre che delle rock star capaci ancora oggi, dopo cinquant’anni spesi sui palchi, di essere un punto di riferimento per molti musicisti, vecchi e giovani.
Setlist:
I Can’t Explain
The Seeker
Who Are You
The Kids Are Alright
I Can See for Miles
My Generation
Behind Blue Eyes
Bargain
Join Together
You Better You Bet
5:15
I’m One
The Rock
Love, Reign O’er Me
Eminence Front
Amazing Journey
Sparks
The Acid Queen
Pinball Wizard
See Me, Feel Me
Baba O’Riley
Won’t Get Fooled Again