Report a cura di Marco Gallarati
Alle 18.40 in punto si aprono i cancelli dei Magazzini Generali, nuova (piccola) Mecca del metallo milanese, dopo la demolizione del Rainbow Club, la vendita del Rolling Stone e la chiusura (si spera momentanea) del Music Drome e dello Zoe. Già parecchia gente è in attesa quando il botteghino viene aperto, segnale che Nile, Krisiun, Grave e i due support-act meno conosciuti sono una buona/ottima attrattiva. Rispetto alla data degli Amorphis di inizio novembre, bisogna ammettere che la location ha fatto passi da gigante: evidentemente la bravura di tecnici e fonici conta più del previsto, perché i suoni – a parte la dispersione generale durante i Corpus Mortale e la confusione dei Krisiun – sono stati altamente accettabili, cosa non tanto prevedibile considerato il caos delle sonorità death metal. Puntualità impeccabile, grande professionalità, pubblico partecipe ed esaltato a sufficienza, band capaci: una bellissima serata di musica estrema, quindi, che vi andiamo a raccontare…
CORPUS MORTALE
Sono i danesi Corpus Mortale a dare fuoco alle polveri. La band è poco conosciuta qui in Italia, ma la sua discografia può vantare già un buon numero di uscite tra full, mini-CD e demo. La proposta del quartetto di Copenhagen si pone a metà strada tra il brutallismo floridiano ed il classico, inconfondibile tocco di melodia scandinava, per un impatto d’insieme che, se non brilla per originalità ed ispirazione, almeno serve alla band per smuovere le avanguardie del pubblico e a farsi conoscere un pelo meglio dai metalkids del Belpaese. I pezzi hanno un buon tiro, non fanno malissimo, ma piacciono soprattutto all’altezza di rallentamenti poderosi e da puro headbanging. I suoni non sono pulitissimi, ma i quattro danesi tirano dritto e paiono pure soddisfatti della risposta dell’audience, a quanto veniamo a sapere dal cantante-bassista Martin Rosendahl più numerosa rispetto alla prima esibizione italica dei Corpus Mortale. Non saranno il futuro del death metal tutto, ma una band onesta questo sì. Buona partenza.
ULCERATE
Rapido cambio di palco ed è la volta della formazione meno ortodossa del lotto del Those Whom The Gods Detest Tour: i neozelandesi Ulcerate hanno fatto il botto con il recente “Everything Is Fire” ma non abbastanza, purtroppo, da far incuriosire tutti i presenti all’evento. In previsione delle mazzate seguenti – Grave, Krisiun e Nile – qualcuno infatti preferisce distrarsi al bar dei Magazzini o ai banchetti del merchandise; be’, peccato, perché gli All Blacks (sebbene siano tutti bianchi e anche dall’aria molto tranquilla) sanno proprio il fatto loro e hanno saputo stregare la location grazie a sonorità apocalittiche e psichedeliche, composte da esplosioni ed implosioni davvero massacranti le prime e avvolgenti le seconde. Un death metal brutale, tecnico e progressivo che sa di Florida, Cynic, Gojira e Isis, procrastinato da un gruppo quasi timido e dimesso, ma che spacca veramente! Si spera che brani quali “Caecus” e la splendida “Everything Is Fire” abbiano fatto proseliti!
GRAVE
Dalla complessità alla pura ignoranza in un batter d’occhio: i Grave incendiano letteralmente la platea con la loro valanga di note 100% old-school Swedish death metal! La partenza fa davvero male, con una “You’ll Never See…” buttata in faccia al pubblico improvvisamente scatenato, che non subisce il colpo ma anzi reagisce e tributa ad Ola Lindgren e compari un pogo furioso. I suoni sono particolarmente efficaci e la quadratura, nonché l’affiatamento, dei quattro svedesi permettono al gruppo di creare un impatto sonoro devastante ed assolutamente compatto. Le perplessità sull’acustica dei Magazzini Generali – enormi dopo aver seguito Amorphis e Before The Dawn ad inizio mese – paiono essere svanite e di ciò non possiamo far altro che rallegrarci vivamente! I quaranta minuti a disposizione dei Grave sono volati via veloci, con la band che ha fatto su e giù per il suo repertorio – tra una “Bloodpath” ed una “Obscure Infinity” – mantenendo però costanti aggressione, velocità e potenza all’altezza delle parti più monolitiche e cadenzate. “Into The Grave” ha posto la pietra tombale su di un live che – in quel di Milano e per chi scrive – ha dato la paga a tutti gli altri, Nile compresi. Svezia padrona!
KRISIUN
Se gli Ulcerate hanno colpito per la loro proposta e per la loro pacatezza di movimenti, discorso opposto va fatto per i brasileiros Krisiun, una band nella scena (inspiegabilmente?) da tantissimi anni: fin troppo convinta delle sue capacità, almeno per il sottoscritto, la formazione dei fratelli Kolesne e di loro cugino Alex Camargo ha dato prova di saper suonare velocissimo e basta, durante una setlist tutto sommato noiosa e stancante che ha visto avvicendarsi una serie di brani lanciati a velocità stellari, ma che in tutto avranno sommato soltanto una decina di riff diversi, non di più. Se in studio i Krisiun sono andati migliorando col tempo, dal vivo hanno l’attitudine tipicamente paracula delle band che aspettano l’ovazione al minimo sputacchio. Se per far urlare il pubblico bisogna tirare dieci porconi gratuiti di fila, secondo chi scrive dietro a tanta blasfemia c’è una sorta di vuoto cranico difficilmente colmabile. L’audience ha comunque mostrato gradimento, sebbene alla lunga – cinquanta minuti è durata l’esibizione dei carioca – abbia perso qualche colpo. “Sentenced Morning” e “Vengeance’s Revelation” sono solo due dei brani eseguiti dai Krisiun, ma sinceramente crediamo che citarne uno voglia dire citarli tutti. Quando la violenza porta apatia.
NILE
Giunge finalmente l’ora degli attesissimi headliner Nile: sono le 22.30 quando George Kollias, ormai elevato a status di batterista principe del brutal death metal, si siede alla guida del suo drumkit in attesa che termini l’intro; spuntano poi Chris Lollis – il bassista/vocalist ingaggiato per il tour – Dallas Toler-Wade e Karl ‘Cortobraccio’ Sanders, e quindi “Kafir”, opener del disco che dà il nome al tour, può deflagrare in tutta la sua potenza, forte di quel ritornello ‘there is no God but God’ già diventato un must per i fan della band. I suoni sono ottimi, sebbene non precisi come durante i Grave, e i ragazzi sembrano in buona forma, anche se li abbiamo visionati in passato in condizioni migliori. La discografia dei Nile inizia ad essere corposa e piuttosto carica di classici, quindi in un’ora il gruppo deve riuscire a ben bilanciare la giusta proposizione di brani tratti dal lavoro in promozione con l’obbligata esecuzione di quei pezzi che hanno portato Sanders e compari dove sono ora. “Black Seeds Of Vengeance” e “Cast Down The Heretic” sono fra questi ultimi, mentre non trovano spazio tracce monumentali del calibro di “The Blessed Dead” e “Unas Slayer Of The Gods”, ben sostituiti comunque da “Execration Text” e dall’immancabile “Sarcophagus”. Potentissime ed epiche le song tratte da “Ithyphallic”, la title-track e “Papyrus Containing The Spell…”. Il trio di vocalist – Dallas più sul digrignante, Lollis growl classico e Sanders growl Cthulhoide – fa sempre la sua bella figura, mentre a livello strumentale poco si può dire di negativo della prova dei deathsters americani. Nessun bis concesso dalla band dopo la chiusura al grido di ‘black seeds of vengeance!’, ma non c’è davvero modo di lamentarsi al termine di una serata realmente appagante per chiunque mastichi e respiri il death metal più estremo e ferale.