Report a cura di Emilio Cortese
C’è grande attesa per questo concerto e sin dal pomeriggio il parcheggio del Velvet è affollato di appassionati accorsi da varie parti della regione (e non solo) per godere della prestazione di alcune band che hanno dato alle stampe alcuni tra gli album più belli dell’anno. Noi eravamo là e questo è il racconto di come sono andate le cose.
CORPUS MORTALE
Quando i danesi Corpus Mortale iniziano la loro performance, il locale è ancora ovviamente mezzo vuoto e la prestazione del gruppo non ci esalta in maniera particolare. Il quartetto, in cui militano alcuni ex membri degli Iniquity, è fautore di un old school death metal debitore in tutto e per tutto a realtà quali Deicide, Immolation e soprattutto Morbid Angel. Nulla da dire sulle capacità tecniche dei nostri, ma la scolasticità e anche un po’ la monotonia dei loro pezzi è troppo anche per gli amanti più accaniti del genere. Avremmo anche da ridire sui discorsi del frontman Martin Rosendahl, che potrebbe anche evitare di parlare in growl, se non altro anche solo per stabilire un minimo di contatto umano con il pubblico che reagisce in maniera abbastanza fredda allo show. Ci si inizia a scaldare per gli Ulcerate.
ULCERATE
Autori di uno degli album più esaltanti del 2009, chi scrive nutriva molte aspettative nei confronti del combo proveniente dalla lontana Nuova Zelanda, aspettative che sono state ripagate in pieno! Il pezzo con cui inizia la performance dei nostri è "Tyranny", una scelta molto particolare per aprire un concerto visto che si tratta di un brano dall’incedere lento e paranoico, ma che in questo caso riesce a far calare il pubblico in un vortice di riff e atmosfere talvolta rareffate e talvolta completamente fuori controllo. Con "Withered And Obsolete" lo show, come si suol dire, spicca il volo per raggiungere il suo picco massimo con la splendida "Caecus", dove ad emergere è Jamie Saint Merat che dietro le pelli è di una precisione chirurgica, oseremmo dire meglio che su disco per pulizia e precisione nei passaggi più intricati. Va anche detto che fortunatamente i suoni si sono rivelati all’altezza della situazione: spesso, infatti, le prime band di questi tour con molti gruppi vengono penalizzate da questo aspetto. Stasera, per fortuna, non è stato il caso degli Ulcerate. Si chiude con la magistrale riproposizione della title track di "Everything Is Fire". Rimane un po’ di amaro in bocca per il poco tempo a disposizione, ma chi scrive è rimasto letteralmente annichilito dagli Ulcerate che si sono rivelati una delle migliori sorprese del 2009 e gli amanti di queste sonorità non possono, anzi non devono, assolutamente ignorarli.
GRAVE
Dopo la annichilente performance degli Ulcerate, è ora compito dei Grave rianimare la serata e quando Lindgren e soci salgono sul palco del Velvet il pubblico inizia ad essere bello caldo e numeroso. Poche chiacchiere per gli svedesi che non hanno di certo bisogno di presentarsi, ma che decidono di aprire il loro concerto ‘soltanto’ con "You’ll Never See…", ed è subito putiferio nelle prime file dove parte il primo pogo della serata. Ma è sulle note di "Obscure Infinity", tratta da quello che è considerato uno dei capolavori dello swedish death metal (stiamo parlando di "Into The Grave"), che l’esaltazione di chi scrive raggiunge livelli stellari. Non si può proprio fare a meno di muoversi e squassare la chioma sulle note dell’ignoranza galoppante di questo gruppo per tutta la durata del concerto. Si susseguono brani estratti da un po’ tutta la loro lunga discografia, senza troppo ciarlare e si chiude sulle devastanti note di "Into The Grave". Ancora una volta questa band si è rivelata una garanzia anche in sede live, ad ogni loro concerto ci si sorprende per la capacità dei nostri di trascinare tutti nel loro vortice di ignoranza. Maestri.
KRISIUN
Chi scrive avrebbe visto più volentieri i Grave al posto dei brasiliani, ma a furor di popolo i Krisiun si sono guadagnati con la fatica ed il sudore (soprattutto il sudore), una posizione di rilievo in questo tour. Di band come loro la scena metal in generale ha un bisogno vitale: gente che suona la musica che più ama e che vive per suonare ciò che più ama. La loro attitudine è paragonabile a quella di band come i Vader, che alla fine dei conti fa passare in secondo piano anche l’evidente mancanza di varietà e fantasia compositiva. Alex Camargo, bassista, cantante e frontman di questa band (nonchè uno degli uomini più sudati della storia!), mette una passione in quello che fa che è impossibile non contraccambiare tutto il sincero affetto che alla fine di ogni canzone deve esprimere al suo pubblico. Pubblico che a sua volta contraccambia urlando e pogando su ogni pezzo, che si tratti di "Sentenced Morning", dall’ultimo album, o di pezzi più datati poco importa: alla fine dello show erano tutti contenti.
NILE
Ecco che, dopo una discreta attesa, Sanders e soci calcano il palco del Velvet acclamati a gran voce da un pubblico caldo e numeroso. Ad aprire la performance del Those whom The Gods Detest Tour è proprio "Kafir", l’opener dell ultimo esaltante album. Il pubblico viene investito da un suono caldo e potentissimo e il pogo parte violento sin dalle prime note. Si prosegue forte, anzi fortissimo, visto che a seguire i nostri ci propongono "Execration Text", tanto per chiarire sin da subito che stasera si fa sul serio. Vengono poi estratte due tracce da "Ithyphallic", rispettivamente la title track (la preferita di Dallas Toler-Wade, a detta sua) e la corta ma massacrante "Papyrus Containing the Spell to Preserve Its Possessor Against Attacks From He Who Is in the Water". Dopo tanta adrenalina è tempo di calmarsi un po’, quindi ci si immerge nel lento ed annichilente incedere di "4th Arra Of Dagon" dove Ola Lindgren (vocalist dei Grave) arriva a dare manforte ai nostri durante il ritornello finale. E’ un concerto in cui i Nile non ripropongono i loro titoli più classici, infatti non vengono suonate ad esempio "The Blessed Dead" o "Unas Slayer of the Gods" da "In Their Darkened Shrines", due brani quasi immancabili nelle setlist dei nostri, ma al loro posto viene proposta "Sarcophagus". Così come da "Annihilation Of The Wicked" viene estratta "Lashed to the Slave Stick" anzichè la title track. Ma vista l’intensità con cui vengono riproposti i brani viene da pensare che sia stato meglio così. La chiusura invece è sempre affidata a "Black Seeds Of Vengeance", vero e proprio cavallo di battaglia dei Nile che ancora una volta ci hanno convinto anche in sede live. Applausi.