In questa fredda serata di metà dicembre, giungiamo a Bologna pronti a cogliere l’occasione che il Thrashfest Classics 2011 ci dà per rivivere anche solo per una sera i fasti oramai trascorsi del thrash metal nella sua forma originale. Cinque band storiche presenti, ognuna con i propri meriti e le proprie colpe nell’aver contribuito a definire questo genere, ma tutte con l’indubbia fierezza di chi è appunto in giro dagli anni Ottanta ed il thrash l’ha visto crescere, raggiungere l’apice, scendere, vivacchiare e poi riprendersi grazie ai nomi di chi da sempre lo ha rappresentato e alle nuove leve. Ed è proprio questa fierezza il leit motiv della serata: armate solo delle canzoni di pochi vecchi album, le cinque thrash metal band si presentano al pubblico dell’Estragon nude e crude, nella loro forma più primitiva e bestiale, pronte a riportare in auge le sonorità e l’ingenua sincerità che hanno reso grandi gli anni ’80. Nell’articolo che segue vi raccontiamo i quattro show cui abbiamo assistito, perdendoci gli Exodus a causa di un letale cocktail di lontananza da casa, ora tarda e lavoro il giorno successivo, cercando di portare la nostra attenzione specialmente sulle reazioni di un pubblico mai visto così carico…
MORTAL SIN
I primi a salire sul palco sono gli australiani Mortal Sin, qui presenti nel triste ruolo di ultima ruota del carro (qualcuno dovrà pur esserlo, comunque) ma a ben vedere anche loro considerabili come storici, essendo stati uno tra i primi gruppi thrash internazionalmente noti proveniente dalla terra dei canguri. Attivi anch’essi dagli anni ’80, hanno attraversato una turbolenta storia fatta di abbandoni, scioglimenti e reunion, a dimostrazione che la stabilità non è mai stato il vero pane della band. Tornati alla ribalta nel 2007 con un nuovo, dirompente album, i cinque australiani onorano il tema ‘classics’ del concerto pescando per i loro quaranta minuti dagli album precedenti al primo split, portando al pubblico un po’ di sano thrash sullo stile Anthrax/Testament, caratterizzato come supponibile da grandi velocità e riff possenti. La performance sul palco è buona e i cinque non mostrano di dispiacersi della loro posizione in scaletta: tengono infatti lo stage con serietà e maturità, donandoci uno show che, anche se magari difetta un po’ in coinvolgimento, ci mostra tutta la serietà e la determinazione di una band che vuole superare le burrasche passate e continuare a dire la sua anche per i prossimi anni.
HEATHEN
La Bay Area è sicuramente la patria del thrash metal grazie alla presenza di tre dei Big Four, ma occorre sempre ricordarsi che anche altre thrash band si sono formate nella stessa zona, più o meno nello stesso periodo. La storia poi non ha voluto che la maggior parte di esse raggiungesse il grado di popolarità dei loro più famosi corregionali, complici magari cambi di line-up o split, ma è giusto considerare quali band storiche anche queste meno famose formazioni degli anni ‘80, meritevoli di menzione anche solo per il fatto di stare credendo in un genere che in quel momento era solamente in crescita e non aveva ancora raggiunto il suo apice. A rappresentare la bandiera della seconda linea delle Bay Area thrash band ci pensano insomma gli Heathen, anch’essi alfieri di una certa maniera di fare thrash ed attivi fino ai primi anni ’90, e poi silenziosi sino al vigoroso comeback del 2009, “The Evolution Of Chaos”. Pescando a piene mani dai due album pre-reunion, i cinque americani si rendono autori di uno show compatto ed energico, forse giusto un po’ carente dal punto di vista adrenalinico e del coinvolgimento. La lezione di Testament e Slayer sembra essere stata appresa dalla band, così come anche il materiale proveniente dalla NWOBHM e dal metal più classico. La proposta degli Heathen è infatti un impasto di thrash e proposte provenienti da una frangia meno estrema di heavy metal, e ci presenta l’unico cantante veramente pulito della serata. La maggior melodicità nei soli, un maggior controllo della furia durante il fraseggio e le vocals meno aggressive contribuiscono a rendere la proposta interessante, ma limitano appunto l’impatto della performance stessa. Certo, con questo non vogliamo dire che gli Heathen ci siano andati con i guanti sul palco dell’Estragon, anzi, la loro esibizione è comunque incentrata sulla alta velocità e sulla prova maiuscola del batterista Darren Minter; è d’uopo solo far notare in sede di report come le caratteristiche di originalità della band (le influenze dall’heavy classico) risultino in qualche modo fuori contesto all’interno di questa serata incentrata sull’impatto. Comunque interessanti e sicuramente bravi, gli Heathen tengono la testa alta e ci fanno muovere anche loro per quaranta minuti, scaldando la sala per l’arrivo dei Destruction.
DESTRUCTION
Il viaggio alla riscoperta del periodo d’oro del thrash porta i presenti in terra germanica, precisamente al confine con la Svizzera, in una piccola città vicino a Basilea. Weil am Rhein è infatti patria dei Destruction, terza band a salire sul palco dell’Estragon stasera. “Ehi, raga… forse è meglio che ci moderiamo giusto quell’attimino che serve per arrivare alla fine della serata…”: questo il commento sentito da uno stravolto fan alla fine del concerto dei tre tedeschi. Ebbene, parole migliori non potrebbero esserci per descrivere la performance di cui i Destruction si sono resi protagonisti nell’ora appena trascorsa. Un massacro! Un massacro sia sonoro che fisico, grazie ad una serie di pezzi violenti, brutali, diretti, buttati sul pubblico con una foga che viene placata soltanto nei momenti in cui il frontman Schmier si ferma tra una canzone e l’altra per deliziare i presenti con dei bestemmioni urlati a squarciagola. Anche se sul palco sono presenti solo tre musicisti, l’impatto sonoro è dieci volte quello mostrato sinora da Mortal Sin e Heathen, con buona pace delle due comunque ottime band. Il basso suonato da Schmier fa tremare il pavimento sotto i piedi dei pochi presenti che riescono a stare fermi, mentre l’unica chitarra presente nelle mani del riccioluto Mike Sifringer passa incessantemente da ritmiche forsennate ad assoli taglienti come lame di rasoio. La prestazione del piccolo chitarrista è inversamente proporzionale alle sue proporzioni fisiche: monumentale! C’è da scommettere che l’eco degli abrasivi riff del Nostro abbiano risuonato a lungo nelle orecchie dei presenti, anche a concerto finito… Accompagnati dal più furioso drummer della serata, il mastodontico Vaaver, i Destruction conquistano palco e folla, sfondando parecchi padiglioni uditivi e spaccando diverse ossa sotto il palco. Ottimi, oltre che dal punto di vista musicale, anche da quello scenico, con Schmier che si alterna incessantemente tra tre diversi microfoni adornati da teschi e un Mike sempre impegnato in pose da guitar hero. I Destruction vincono senza dubbio la palma di show più bestiale tra quelli cui abbiamo abbiamo avuto il piacere di assistere. Distruttivi, come dice il nome. Non ci sono altre parole.
SEPULTURA
Sicuramente la curiosità della serata era tutta per la band brasiliana. Destruction ed Exodus, band attualmente in palla come non mai, garantivano infatti a priori uno show di qualità superiore, mentre i robusti ritorni discografici di Heathen e Mortal Sin facevano ben sperare in performance con le quali cercare di riprendersi lo scettro di band importanti, titolo che gli anni ’90 avevano finito con lo strappargli. Il caso dei Seps è invece atipico: pur non essendosi mai arresi e avendo continuato per la propria strada anche dopo split enormi come l’abbandono in tempi diversi dei fratelli Cavalera, i Nostri hanno spesso portato molti fan a sperare il contrario. “Roorback” e “Nation” sono dischi che nessuno si sarebbe augurato di sentire da loro e, anche se con gli ultimi “A-Lex” e soprattutto “Kairos”, i carioca stanno dando segni di risalire la china, ci si rende facilmente conto di come la vetta sia ancora lontana. Però bisogna anche riconoscere ai Sepultura il fatto di avere spesso messo a segno diversi centri anche nel loro periodo più nero quando attivi sul palco, e dunque l’occasione di vederli alle prese esclusivamente con materiale proveniente da “Arise”, “Chaos A.D.” e “Beneath The Remains” rimane decisamente ghiotta per tutti. E, tutto sommato, dobbiamo ammettere che stavolta a farci ammutolire non è stato il rammarico di vedere quanto sono calati come band rispetto agli esordi, ma, piuttosto, lo stupore di vedere quanto bene sono ancora capaci di rendere dal vivo veri e propri inni quali “Territory” e “Arise”. Con un Kisser ai massimi livelli come fucina di riff ribollenti, un Paulo Jr. sempre presente – anche se nascosto ai margini della scena – e un Derrick Green arcigno ed incazzato, finalmente degno successore della “Infected Voice” di Max Cavalera, i Sepultura ci mandano chiaro e tondo il messaggio che loro non sono mai morti; e che, anche se più di tutte le band presenti hanno sperimentato e magari deluso, le loro radici thrash, forti nella musica come le radici sudamericane nel loro DNA, non le hanno mai veramente perse. Lo show risulterà alla fine magari meno preciso rispetto agli Heathen e sicuramente meno violento rispetto ai Destruction, ma a livello di coinvolgimento emotivo ed energia liberata nel moshpit sotto al palco non ci sono davvero paragoni: la palma di ‘più presenti’ della serata va di sicuro al quartetto di Belo Horizonte. Menzione a parte la merita Eloy Casagrande, il più giovane tra i musicisti, ma anche il più bravo dei batteristi ammirati nella serata. Dall’alto (o dal basso) dei suoi appena vent’anni mostra a tutti cosa vuol dire suonare con energia e passione, e cosa significa vivere il sogno rock’n’roll con una band storica della scena thrash. Impeccabile dietro i tamburi, metronomico nella doppia cassa e furioso come non mai, si rivela senza ombra di dubbio il mattatore della serata. Lo show prosegue dunque solido e coinvolgente nei suoi punti forti e le varie ed attese “Beneath The Remains” e “Mass Hypnosis” si alternano ad inaspettate sorprese quali una mirabile “Kaiowas” (suonata da tutti i batteristi di tutte le band presenti con l’aggiunta di Green dietro ad uno dei tamburi) e l’arrivo di un simpatico Gary Holt (Exodus) alle prese con uno spettacolare duello con Kisser nell’arcinota “Refuse/Resist”. Grandi Sepultura, questa volta!
Setlist:
Intro
Beneath The Remains
Territory
Dead Embryonic Cells
Desperate Cry
Mass Hypnosis
We Who Are Not as Others
Altered State
Infected Voice
Subtraction
Inner Self
Kaiowas
Refuse/Resist
Arise
EXODUS