MASTODON
Quarantacinque minuti di set per i quattro di Atlanta, alla prima prova su un palco di tali dimensioni e in un’arena così capiente. Il concerto dei Mastodon, almeno concettualmente, è l’opposto di quello che poco dopo vedrà impegnati i Tool. Copertina del disco più recente come sfondo e poco altro, stack di amplificatori, batteria con foto di Randy Rhoads e un sacco di rumore. La band suona divinamente e i pezzi del nuovo album sembrano, più di quelli del passato, essere stati concepiti per l’esecuzione dal vivo. “Crystal Skull” e “Colony Of Birchmen”, che su disco avevano beneficiato delle ugole di Scott Kelly e Josh Homme, si rivelano incendiarie anche in assenza dei guest, così come “Sleeping Giant”, il brano più meditativo di “Blood Mountain”, non perde nulla della propria evocatività rimbalzando sulle volte del PalaMazda. Peccato per un mixing scellerato con bassi onnipresenti e fastidiosi. Purtroppo questa pare essere la sorte delle band di spalla. Un paio di brani anche da “Leviathan”, tra cui “Hearts Alive”, che conclude lo show, e i nostri si ritirano. Ottimo antipasto, che prefigura performance devastanti da headliner.
TOOL
Smantellato il palco, a dire il vero piuttosto minimale, dei Mastodon, viene rivelata l’enorme scenografia dei Tool. Quattro pannelli bianchi, che scopriremo essere teli su cui vengono proiettate le immagini, grandi pile di fari e uno sfondo mobile che riporta dettagli della grafica di “10.000 Days”. Non bisogna aspettare molto per l’apparizione del quartetto. James Keenan, l’eremita, il sociopatico che tutti aspettavano di vedere, si presenta con maschera antigas con microfono incorporato che non toglierà nemmeno alla fine del concerto e canta da par suo, forse l’unico della band ad aver restituito una performance realmente ineccepibile. Per gli altri si tratta di routine e, a parte qualche variazione in brani come “Schism” (rallentata all’inizio, velocizzata alla fine), la band non sembra essere in vena di clamorose sperimentazioni. Nella cornice del Mazda Palace la musica dei Tool suona forse più psichedelica e meno progressiva, aiutata anche da proiezioni e luci di varia natura (tutte discrete, sebbene coi laser verdi la pacchianeria sia a un passo…) che richiamano l’immaginario estetico costruito intorno alla band da più di un decennio di splendidi videoclip. Tutto dura poco meno di due ore e poi a casa. Non saranno simpatici, né particolarmente empatici nei confronti del pubblico, ma, è indubbio, ci sanno fare. Le riserve sul fatto che ‘sti quattro laser comprati di seconda mano dai Venom avessero qualche utilità, comunque, non si sciolgono.