Report a cura di Edoardo De Nardi
Fotografie di Elena Arzani
Il primo giorno di Firenze Rocks 2019 si apre sicuramente con le sonorità più aspre e pesanti del suo palinsesto, presentando due band a loro modo iconiche nel panorama alternative degli anni Novanta e Duemila – Tool e The Smashing Pumpkins – insieme ai fieri portabandiera americani del prog metal più raffinato, i Dream Theater. Anche quest’anno non sono mancate le discussioni riguardo una scaletta stranamente assortita nella sua composizione, con una figura di minor rilievo per Petrucci e compagni; ma al di là di ciò ogni band ha saputo mostrare nel tempo a sua disposizione le proprie caratteristiche migliori con grande professionalità. Una cornice confortevole e ben attrezzata, nonostante le grandi vampate di caldo che hanno colpito nel pomeriggio l’Ippodromo fiorentino, ha comunque reso piacevole una giornata dai contenuti ricchi e dalle diverse sfaccettature, che andiamo a raccontarvi di seguito…
BADFLOWER
Sono le note dei Badflower ad abbattersi per prime contro il solleone che imperversa sull’ampio prato del Visarno, brulicante dei primi arrivati che iniziano a conquistare le loro posizioni. Il sound leggero e rock oriented degli americani comincia ad espandersi dal potente impianto del palco in realtà con poca energia, relegando ai pochi momenti più concitati le uniche avvisaglie di interesse mostrate da parte del pubblico, forse poco convinto anche dalla voce poco cantata e molto interpretata del cantante Josh Katz, che sembra fare del sarcasmo proprio sul poco trasporto dei presenti. Ad ogni modo, la formazione losangelina sembra divertirsi on stage, cercando di rendere una prestazione precisa e corretta, che effettivamente non ha evidenziato particolari scivoloni, così come però nessun momento particolarmente significativo.
SKINDRED
Se lo spettacolo dei Badflower è risultato quindi alquanto scialbo, certo non si può dire lo stesso dei successivi Skindred, gente che ha fatto di pacchianeria ed eccentricità il proprio credo artistico. Guidati dall’improbabile figura del vocalist Benji Webbe, gli Skindred portano avanti da oltre quindici anni il loro singolare miscuglio di sonorità metal, reggae, hip pop e disco con grande audacia e strafottenza, una miscela pronta ad esplodere a Firenze in tutta la sua spacconeria. Mentre basso e chitarra macinano riff groove metal dal gusto moderno e ‘pompato’, Webbe intesse col pubblico un vero e proprio show nello show, rendendo accattivante un po’ per tutti la scaletta dei britannici, mentre campionamenti di qualsiasi tipo si abbattono a volumi spropositati ad opera del Dj. E’ un marasma collettivo, che sembra però rapire i presenti e li costringe a seguire il frontman tra urla, offese, incitamenti e cori collettivi in uno spettacolo che varia continuamente il proprio registro, citando un po’ tutto e un po’ niente dal punto di vista contenutistico, ma sicuramente risultando pungente e ben congegnato a livello di intrattenimento: se la missione era quella di incendiare il pubblico senza eccessive pretese musicali, quella degli Skindred può definirsi sicuramente riuscita.
DREAM THEATER
I tempi di attesa iniziano ad allungarsi durante i preparativi per i Dream Theater, attenti senza dubbio a fornire la miglior resa sonora possibile anche in un contesto open air in pieno pomeriggio come quello di questa occasione. Attesa che saprà fortunatamente farsi ripagare dalla prestazione impeccabile dei musicisti nel corso della serata, salutati con un boato al loro ingresso sul palco dai tanti accorsi proprio per loro. La band è ancora fresca dalla pubblicazione dell’ultimo “Distance Over Time” e sono molti infatti gli estratti da esso, a partire dall’opener “Untethered Angel”, con in più ben tre altre canzoni che occupano metà scaletta del concerto, lasciando spazio per il resto ad alcune delle perle più note e significative nella carriera dei Dream Theater, quali “As I Am”, “The Dance Of Eternity” o “Pull Me Under”, canto del cigno di questa performance e manifestazione ultima dell’assoluta preparazione tecnica messa in scena ancora una volta, in barba a una resa sonora e ad una posizione in scaletta certamente non delle migliori. Per esprimere appieno il proprio spirito più intimo e sentito, questa musica necessita sicuramente di un contesto più accorto e curato che è mancato qui, finendo per mettere in risalto più le folli peripezie strumentali tra Petrucci, Myung e Rudess, i violenti contrappunti di Mangini alla batteria e la nitidezza degli acuti di LaBrie, piuttosto che le emozioni più sofisticate che possiedono molti dei brani in scaletta; ‘colpa’ sicuramente imputabile ad un sound generale non adeguatamente nitido, soprattutto per quanto riguarda chitarra e batteria. Poco male, diranno alcuni, se ad emergere maggiormente é stato il lato più roccioso della loro proposta, consolazione che in effetti rende più accettabile un concerto nel complesso un po’ mutilato nel mostrare tutti gli umori che i Dream Theater sanno interpretare invece negli svolgimenti delle loro canzoni.
Setlist:
Untethered Angel
As I Am
Fall Into The Light
Barstool Warrior
In The Presence Of Enemies, Pt. I
The Dance Of Eternity
Lie
Pale Blue Dot
Pull Me Under
THE SMASHING PUMPKINS
Tutto è pronto per un vero e proprio salto nel passato di oltre vent’anni, una celebrazione di agitazioni ed insicurezze adolescenziali perfettamente descritte da Billy Corgan da metà anni ’90 fino ad oggi, giorno in cui i suoi The Smashing Pumpkings tornano su un palco italiano per sprigionare la loro energia rock a tutto tondo. Sono proprio “Siva” e “Zero” a trasportarci nella storia più remota del gruppo, inni generazionali che scatenano emozioni sopite nel pubblico fin dalle prime battute. I suoni delle chitarre sono stavolta massivi e travolgenti sulle ritmiche, slabbrati e lisergici invece sui numerosi assoli che tutti e tre i chitarristi sono pronti a riversare sulle masse, indice di una chiara reverenza di matrice anni ’70 che interessa lo stile musicale del gruppo e che non stona affatto con lo scorrimento più hard di queste canzoni. Il tempo di una rapida presentazione prima di passare invece a “Solara” e “Knights Of Malta”, canzoni dell’ultimo album dotate invece dello spirito più ricercato che ha interessato la produzione della band nella seconda parte di carriera e tramite perfetto per comunicare sensazioni più soffuse alla platea. A ben vedere, sarà proprio la capacità di gestire improvvisi sbalzi di rabbia (“Bullet With Butterflies Wings”, “Cherub Rock”) facendoli convivere con l’indole più insofferente e disillusa che aleggia sulla scaletta delle Zucche (“Eye”, “Disarm”) a catturare completamente la platea, sospesa in un limbo di potenza e tristezza che lascia letteralmente senza parole al termine delle canzoni. Corgan, accompagnato da due terzi della storica formazione, appare sicuro e sornione, tanto appassionato nel proporre “1979”, quanto sferzante nelle sonorità simil-Tool di “Superchrist” o nel groove infettivo di “The Everlasting Gaze”, prima di una versione stellare di “Wish You Were Here” e la catatonica e conclusiva “The Aeroplane Flight High”, entrambe arricchite da sezioni solistiche veramente eccezionali. Un bel legame col pubblico, una setlist robusta, suoni bombastici e grandi capacità musicali sono sicuramente gli ingredienti essenziali che hanno reso trionfale la presenza dei The Smashing Pumpkins, band che ha saputo dare coerenza e credibilità alla propria carriera e per niente intimorita da posizioni prestigiose come quella assegnata loro in questo Firenze Rocks.
Setlist:
Siva
Zero
Solara
Knights Of Malta
Eye
Bullet With Butterflies Wings
Tiberius
Glow
Disarm
Superchrist
The Everlasting Gaze
Ava Adore
1979
Cherub Rock
To Sheila
Wish U Were Here
The Aeroplane Flight High
TOOL
La notte è calata, il caldo è cessato e tutte le condizioni sembrano perfette per godersi appieno lo spettacolo principale previsto dalla serata. Che i Tool non siano soliti imbarcarsi in numerosi e capillari tour europei è già cosa nota, così come la loro proverbiale reticenza a concedersi eccessivamente in veste live, elementi che già basterebbero a presenziare con interesse a questo appuntamento; l’imminente uscita del nuovo album e ben due nuove tracce presenti in scaletta, inoltre, rendono definitivamente imperdibile questo concerto per tutti gli appassionati delle musica degli americani, cresciuti notevolmente negli ultimi tempi proprio grazie ad una posizione così privilegiata come quella di headliner ad un evento di grande portata come questo Firenze Rocks. A priori, si potrebbe pensare che uno stile musicale così complesso e stratificato, un impianto lirico e tematico così complicato e delle scelte di palco piuttosto inusuali rendano i Tool il classico gruppo anti-mainstream per eccellenza, assioma distrutto però in pochi secondi di fronte alle milioni di copie vendute in carriera, alle masse oceaniche (quasi sessantamila persone qui) presenti e, soprattutto, all’esperienza multisensoriale e stratosferica a cui avremo modo di assistere. Il comparto musicale, infatti, così storto, pesante, visionario e cangiante non è altro che una faccia del dado irregolare dei quattro musicisti, intenti a regalare sensazioni pulsanti ed omnicomprensive grazie a giochi di luci impressionanti e ausili video tutt’altro che secondari, ma anzi fondamentali per calarsi completamente e senza riserve nel fosco immaginario dei Tool. Ogni elemento della band è assolutamente funzionale al suo ruolo, non ci sono protagonismi (lo stesso Keenan non verrà mai direttamente illuminato da alcuna luce sul palco, preferendo l’ombra ed una posizione dimessa accanto alla batteria, invece che al centro della scena), nessuna trovata scenica clamorosa o eccessiva, ma solo un rigoroso e studiatissimo senso del dovere che fa coincidere ogni parte secondo meccanismi matematici, non fallibili, algoritmi viventi capaci di condurre verso i lembi più reconditi ed inesplorati del Sé, pericolosamente emotivi talvolta, crudamente industriali ed inumani in altri. I pochi, ponderati brani selezionati per la serata si sposano l’un l’altro in un’armonia che sembra prendersi gioco degli anni che dividono gli album da cui sono stati estratti, quasi in un unico flusso di coscienza su cui si stagliano meravigliose le due nuove composizoni, “Descending” ed “Invincible”, perle ancora misconosciute di tenerezza ed inquietudine che vanno ad unirsi senza singhiozzi al precedente materiale sonoro della band. Niente è fuori posto, niente è più di quello che dovrebbe essere, riuscendo nel miracolo di dare vita a qualcosa di molto, molto più significante rispetto alle singole parti che lo compongono, riuscendo ad incantare in novanta minuti una platea persa senza riferimenti dietro alle rivelazioni musicali dei suoi beniamini, costantemente sospinta da ritmiche ipnotiche, poliritmie labirintiche e segnature di tempo irregolari a non dare niente per certo, a non lasciarsi sopraffare dall’abitudine e stimolare, invece, il proprio orecchio ed il proprio cervello in maniera sempre critica ed attenta. Si è trattato di un percorso denso, significativo, dove un’ora e mezzo è sembrata il doppio e grazie alla quale si continuerà a riflettere a lungo sul tipo di spettacolo visto, fenomeno dalla strana natura e dai risvolti di abissali profondità.
Setlist:
Aenema
The Pot
Parabola
Descending
Schism
Invincible
Sweat
Jambi
46 + 2
Vicarious
Stinkfist