Report di Stefano Protti
Foto di Benedetta Gaiani
I Touchè Amorè sono nel nostro cuore da molto tempo, almeno dal 2012 quando la loro musica divampò sul palco del Factory, di fronte ad una folla in attesa dei Converge, regalando un ricordo indelebile (e qualche livido) ai presenti.
Sebbene i californiani non abbiano mai raggiunto quella visibilità che in molti quella sera predissero, la loro produzione discografica si è sempre mantenuta ad un livello qualitativo alto, permettendosi alcune vette di eccellenza (tra cui il doloroso “Stage Four”).
Questo concerto al Legend Club (unica data italiana del tour, ed un gradito sold-out) è una buona occasione per vederli alle prese con le canzoni del nuovo album “Spiral in a Straight Line”, insieme a due band dagli stili, come vedremo in seguito, piuttosto eterogeni (Trauma Ray e Boneflower) e di fronte ad un pubblico decisamente accaldato e coinvolto.
I BONEFLOWER (Madrid) si assumono l’onere di aprire la serata per una platea già numerosa, stregandola con un post-hc ad elevato tasso di emotività, che è già stato ospitato in diversi festival (un esempio su tutti, l’ArcTanGent di Bristol).
La band ha all’attivo due album (consigliamo almeno il più recente “Armour”) e diversi EP, e per l’occasione presenta alcuni brani dalla terza prova in imminente uscita, muovendosi lungo una setlist solida, con brani che si arrendono di tanto in tanto ad improvvise fascinazioni post-rock e a melodie di facile presa.
A chi scrive, la musica dei Boneflower ha ricordato, per l’approccio vocale di Eric Montejo e per la t-shirt dei Mazzy Star indossata dal bassista Rubén Desan, l’epopea emo dei The Get Up Kids, sia pure rivista in tonalità più hardcore. Anche per questo, la band rimane un ascolto coinvolgente, ‘Something to Write Home About’, citando proprio questi ultimi.
Anche i texani TRAUMA RAY hanno un album di recente uscita, il cui titolo (“Chameleon”) si adatta particolarmente ad un gruppo che affonda le proprie radici in tre generi musicali deliziosamente demodé come lo shoegaze, il post-metal melodico dei Deftones e certo indie rock americano anni ’90, capace di cambiare pelle ad ogni brano, lasciando che uno o l’altro stile prenda il sopravvento, con un disturbo della personalità che rende la setlist imprevedibile e molto divertente.
Quando Uriel Avila (il cui viso, tra cappuccio e capelli è letteralmente invisibile) si fissa le scarpe la sua voce scompare tra le distorsioni, complice un bilanciamento non ottimale dei suoni (“Ember”), mentre si erge limpida nei pezzi a cui Chino Moreno farebbe volentieri da padrino (“Bardo”, la stessa “Chameleon”).
Alla fine dello show si ha l’impressione di avere di fronte una band dal grande potenziale, che dovrebbe solo trovare un equilibrio tra le influenze che la animano. Certo, i Trauma Ray rimangono un gruppo derivativo, ma chi è nato a cavallo tra anni Settanta e Ottanta come chi scrive e ha convissuto con questi suoni da sempre, non può certo lamentarsene.
Per una strana distorsione temporale, e come testimoniato dalla maglietta di Nick Steinhardt con impressa “Bad Moon Rising” dei Sonic Youth, quando i TOUCHÈ AMORÈ salgono sul palco sembra che non stiano per suonare al Legend, ma in qualche locale seminterrato ormai chiuso da anni di cui nemmeno ricordiamo il nome, l’impianto di aerazione difettoso e la sala stipata all’inverosimile di persone; insomma, l’ambiente ideale per una band che ha fatto del coinvolgimento e dell’interazione con i fan uno dei suoi punti di forza.
L’apprensione iniziale è per Jeremy Bolm, di cui ricordiamo alcune performance altalenanti, ma stasera il cantante è in gran forma, e percorre urlando, senza una sbavatura, una scaletta ben costruita, che bilancia i brani dell’ultimo “Spiral in a Straight Line” – l’omaggio al cantore dei personaggi borderline “Hal Hashby”, la melodia perfetta di “Nobody’s”, anche se ci spiace non aver sentito “Subversion”, che su disco vede la partecipazione della leggenda indie Lou Barlow – con recuperi del passato prossimo (una “Reminders” da strillare in coro fino a rimanere afoni, “New Halloween”) e remoto (“Face Ghost”).
Musicalmente parlando, la band ormai ha raggiunto un affiatamento che sfiora la perfezione, in una struttura sonora senza respiro, in grado di mescolare aggressività e melodia per un’ora filata, con il proprio climax nel bis, con “Limelight” (da “Lament”, 2020), ed il suo crescendo emozionale.
Si finisce così, felici, esausti, sudati, come da ragazzini, che è vero che domani è martedì e si va a scuola.
Setlist Touché Amoré:
Nobody’s
Art Official
Nine
Praise/Love
Reminders
And Now It’s Happening in Mine
Uppers/Downers
Come Heroine
Honest Sleep
Hal Ashby
Face Ghost
New Halloween
Disasters
Harbor
Palm Dreams
Savoring
Pathfinder
Rapture
Force of Habit
Flowers and You
Limelight
BONEFLOWER
TRAUMA RAY
TOUCHÈ AMORÈ