WILD SIDE
Il venerdì si apre all’insegna dell’hard rock con i Wild Side, band locale che fonda il proprio credo sull’energia e sull’adrenalina! I Wild Side, con il loro stile figlio degli Ac/Dc, riscaldano l’ambiente grazie a brani propri ed una serie di cover quali “Tie Your Mother Down” dei Queen, “Riff Raff” e “Dirty Deeds Done Dirt Cheep” della già citata formazione capitanata dai fratelli Young. Ottima la prova del singer e degli altri ragazzi che, pur non facendo gridare al miracolo, svolgono a dovere il compito di “gasare” la folla per gli act successivi.
FIRE TRAILS
In un festival dedicato alle sonorità più classiche del metal poteva forse mancare Pino Scotto, pioniere italiano della scena grazie agli indimenticati Vanadium? I Fire Trails arrivano orfani dello storico batterista Lio Mascheroni, ma nonostante questa grave perdita non smettono mai di premere l’acceleratore fino alla fine! I migliori classici dei Vanadium vengono tutti proposti, ed anche i più giovani sembrano godersi a dovere il fragoroso muro sonoro scaturito dalle immortali “Wild Fire” e “Street Of Danger”. Pino Scotto si conferma animale da palcoscenico, così come non dimentica mai di sparare a zero su quel music business che con i Vanadium non è stato certo benevolo, purtroppo i soliti problemi di tenuta alla voce vengono fuori dopo tre-quattro pezzi. Lo show dei Fire Trails gode di un momento toccante grazie alla ballad “Goin’ On”, ma non è finita perché Pino e compagni deliziano le nostre orecchie con una rockeggiante cover di “Long Live rock’n’Roll” dei sempreverdi Rainbow. Complimenti quindi ai nostri alfieri del rock!
PINK CREAM 69
I Pink Cream 69 sono una delle rivelazioni del Tradate Iron Fest! In molti erano perplessi su questa band che in studio non ha mai sprigionato una eccessiva dose di potenza ma, appena saliti sul palco, tutti si sono dovuti ricredere. I nostri prodi infatti, pur mantenendo prioritaria la componente melodica dei loro brani, dal vivo acquistano una carica inaspettata ed una forza che ha lasciato di sasso gli ascoltatori. Le canzoni proposte dai Pink Cream 69 sono molto varie, dalla veloce “Hell’s Gone Crazy” alla più lineare “Lost In Illusion”. La performance della band merita tutti i nostri elogi, ed in particolare il singer David Readman è riuscito ad imporsi con una prova ben superiore alle nostre aspettative. Come ultima chicca, i tedeschi improvvisano un medley che mescola il reggae di “No Woman No Cry” di Bob Marley con il pop/rock di “Lonely”, firmata Sting.
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AXEL RUDI PELL
Uno dei campioni dell’intero festival, il chitarrista tedesco Axel Rudi Pell, dal vivo è stato una vera rivelazione. Insieme al compagno di ventura Johnny Gioeli (Hardline), l’axe-man ci ha deliziato con un concerto sognante e di gran classe che ha ricalcato tutta la carriera della band. “Strong As A Rock”, “Fool Fool”, “Casbah”, “Carousel” e molti altri estratti hanno incantato la folla grazie ad un Johnny Gioeli semplicemente superbo (benché non si dimostri propriamente un animale da palcoscenico sul fronte intrattenimento), grazie ad un Mike Terrana devastante, ma soprattutto grazie al leader della band, quell’Axel Rudi Pell che tanto deve al maestro Ritchie Blackmore. Momento topico dell’intero show è l’intermezzo acustico in cui la band esegue “Oceans Of Time” e “Forever Angel”, due song magistralmente rielaborate in chiave unplugged in cui Gioeli riesce quasi a commuovere il pubblico rimasto ormai senza fiato. Il concerto a Tradate rappresenta il debutto in terra italica per Axel Rudi Pell ed il risultato è stato così soddisfacente che la band stessa ha promesso di tornare il prossimo anno. Noi ce lo auguriamo con tutto il cuore!
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GOTTHARD
Così come per Axel Rudi Pell, anche per i Gotthard (eccezion fatta per la data di supporto agli Ac/Dc in quel di Torino) il palco del Tradate rappresenta una sorta di battesimo in quanto mai scesi prima dalle nostre parti. L’entrata di Steve Lee, Leo Leoni e compagni è decisamente energica, così come la tonante “All We Are”, opener del nuovissimo disco in studio “Lipservice”. Proprio da questo disco verrà estratta la maggior quantità di brani e questa scelta, almeno per chi scrive, non si rivela delle migliori in quanto il disco, al momento del concerto, non era ancora nei negozi! Tralasciando queste considerazioni, sul versante musicale la band ha mostrato energia da vendere nei brani più grintosi come “Drem On”, “Lift U Up” e “Anytime Anywhere” e gran feeling nelle ballad (“Everithing I Want” su tutte). Come ricordavo, pochi sono gli estratti dal repertorio passato della band che tocca “Human Zoo”, “G” e l’esordio discografico con la cover di “Hush”. Unico neo della serata, i frequenti problemi di carattere tecnico che hanno afflitto il chitarrista Leo Leoni, per il resto anche i Gotthrad hanno lasciato un buon ricordo!
BATTLE RAM
I Battle Ram sono una formazione che, pur ancora relegata nel panorama underground italiano, si è fatta conoscere in giro grazie ad un amore smisurato per quel sound metallico ed epico che spopolava negli anni Ottanta. Il concerto di Tradate si è svolto nel migliore dei modi, la band era carica di energia e sin dall’opener “the burning” anche il pubblico presente è rimasto affascinato dalla band ed ha dimostrato un grande supporto per i ragazzi sul palco. I defender più incalliti hanno gioito quando i Battle Ram si sono cimentati nella cover “In The Fallout” dei Fifth Angel, una sorta di tributo per una band che non ha mai ricevuto tutti gli onori meritati. Il sipario cala con “Battering Ram” e la formazione si congeda davanti ad un’audience che, seppur non numerosissima, ha dimostrato di gradire il potente show.
VICIOUS RUMORS
La power thrash band californiana, purtroppo penalizzata da una posizione in scaletta a dir poco deficitaria, non delude comunque le aspettative del pubblico accorso per vederla on stage sotto un sole a dir poco cocente. La discreta acustica ha permesso alla band di affrontare un concerto più che dignitoso, sfornando un lotto di song massicce e accattivanti al tempo stesso come “Down In The Temple”, “Against The Grain” e “Don’t Wait For Me”. I musicisti sono apparsi a proprio agio sul palco, merito anche della buona prestazione dietro il microfono del carismatico singer Brian O’Connor, sempre pronto ad incitare il pubblico e ad interpretare le canzoni con sincera passione. Un buon inizio di giornata, dunque…
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BRAINSTORM
Dopo la prova dei Vicious Rumors è il turno dei tedeschi Brainstorm, forti dell’ultimo fantastico disco “Liquid Monster”. Come era lecito aspettarsi, la band propone molto della sua ultima fatica, scaldando il pubblico con il suo power in classico stile teutonico, rinvigorito da suoni tremendamente attuali. Il combo dimostra di essere a proprio agio sia negli episodi più heavy come “Inside The Monster”, sia in quelli più melodici come “All Those Words”, e manifesta intelligenza e mestiere nell’adattare i pezzi più datati al sound creato con l’ultimo album. I Brainstorm sfruttano al meglio l’ora abbondante a loro disposizione, confezionando uno show compatto, con la coppia di chitarristi Milan Loncaric/Torsten Ihlenfeld intenta a macinare riff poderosi, efficiente e scrupolosa anche dal punto di vista canoro nell’accompagnare Andy B. Franck ai cori. Riteniamo doveroso spendere due parole in favore di Andy, un cantante validissimo, autore, come sempre, di una performance pressoché perfetta; oltre alle sue indiscutibili doti tecniche, il singer ha dimostrato di essere un vero trascinatore, stabilendo fin dall’inizio dello spettacolo un rapporto di complicità con i suoi fan, i quali hanno dimostrato di gradirlo molto. Concludendo, possiamo tranquillamente affermare che i Brainstorm sono stati capaci di offrire una prova convincente sotto tutti i punti di vista, lasciando in noi la forte sensazione di essere finalmente pronti a spiccare il grande salto verso una maggiore popolarità.
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RIOT
Ci si aspettava molto di più dalla performance della band di New York, guidata dal magrissimo e timido chitarrista Mark Reale. Mike Tirelli (Holy Mother, Messiah’s Kiss e Burning Starr) rimpiazza il dimissionario e dotato singer Mike Di Meo – che ora risulta in pianta stabile nei The Lizards – regalandoci una prestazione tecnicamente ineccepibile, ma dal punto di vista scenico davvero pessima. Tirelli si muove in modo impacciato, emulando le movenze del recente Rob Halford (a tal proposito dal pubblico sono sorte battutacce da osteria sulle presunte preferenze sessuali di codesto singer, ndA) e a livello visivo lo spettacolo è risultato deficitario soprattutto per il motivo appena descritto. Se poi contiamo che il volume delle chitarre è risultato sin troppo basso per tutta la durata del concerto e che la band si è limitata a svolgere il proprio compito senza regalare forti emozioni, possiamo tranquillamente affermare di trovarci di fronte ad una mezza delusione. Comunque sia, l’eccellente “Outlaw” apre lo show in modo non del tutto soddisfacente, essendo suonata a velocità ridotta, come se durante l’esecuzione si fossero scaricate le pile della band. “Hard Lovin’Man” pescata dal bellissimo “Restless Breed” viene suonata con maggior grinta, così come la rockeggiante hit “Swords And Tequila” presente nel masterpiece “Fire Down Under”. Il picco dello show si raggiunge con la terremotante “Thundersteel” e la fantastica “Flight Of The Warrior”, autentiche gemme di puro power metal americano. Non poteva mancare la rilettura di “Burn” dei Deep Purple, eseguita in modo più che soddisfacente dal punto di vista strumentale, anche se il buon Tirelli ha invertito goffamente le strofe del pezzo in questione, lasciando interdetta una buona fetta del pubblico. Peccato.
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SENTENCED
Il pomeriggio di sabato al Tradate Iron Fest è stato giovato dal tipico clima festivaliero, non eccessivamente caldo e con il cielo a tratti oscurato da nuvole che, fortunatamente (o sfortunatamente), non hanno costretto i presenti a una doccia fuori programma. I suoni, nelle esibizioni precedenti, si erano distinti per un’equalizzazione all’altezza delle aspettative e il palco, ingrandito senza badare a spese, era il teatro ideale per qualunque performance. Anche per il funeral-concert italiano dei Sentenced, attesi soprattutto da chi non potrà presenziare al W:O:A e godersi l’ultimate show di fine carriera. A ben vedere l’Italia è stata fortunata, una delle poche nazioni ad avere il privilegio di ospitare per l’ultima volta i cinque suicider, e di ospitarli in un festival organizzato con vera passione come il TIF. Inutile dire che le aspettative del pubblico erano molto alte, i fan si sono assiepati sotto il palco con largo anticipo, speranzosi e forse un po’ tristi al pensiero di questo concerto d’addio. Sono circa le 18.15, in perfetta sintonia con il running order, quando i Sentenced compaiono sulle note old-style di “Where Waters Fall Frozen”, che ha sostituito l’intro precedente, “Konevitsan Kirkonkellot”. Li accolgono applausi e ovazioni calorose, a dimostrazione dell’affetto che l’audience nazionale nutre per la formazione finlandese. Tutti i membri della band appaiono davvero in forma, imbottiti di alcol a dovere e pronti a regalare momenti memorabili. Arrivano l’humor nero di “Excuse Me While I Kill Myself” e l’up-tempo di “May Today Become The Day”, veramente buona in versione live. I suoni sono ottimi, il pubblico è partecipe e i brani tratti da “The Funeral Album” hanno una presa notevole. Si susseguono la gelida “Ever Frost” e la violenta “Vengeance Is Mine”. È il tipico show dei Sentenced con tutti i crismi, quand’è riuscito, senza un attimo di noia. Ville, al solito, è il vero mattatore: oltre a fornire una prova vocale ineccepibile ed emozionante, si produce in brindisi, ringraziamenti ai fan e battute macabre sulla fine dell’avventura dei Sentenced. Brandisce come un’arma una bottiglia di vodka e si agita nel suo modo consueto, rubando ovviamente la scena agli altri componenti. E dire che non indossava nemmeno la sua T-Shirt portafortuna, quella che lo identifica come “Super Gay”! Si prosegue, non mancano il classico omaggio alcolico di “Nepenthe”, la disperazione dell’inimitabile “The Rain Comes Falling Down” e poi ancora “Neverlasting”, “Broken”… fino allo stop, inspiegabilmente dopo solo tre quarti d’ora di esibizione condotta magistralmente. Non ci è dato sapere perché i Sentenced non abbiano sfruttato i quindici minuti che restavano, lasciando i fan con l’amaro in bocca. Ville, incontrato poco dopo, era troppo ubriaco per articolare spiegazioni plausibili… dispiace accontentarsi quando il concerto stava riuscendo così bene… è stata un’ultima occasione non sfruttata al meglio. Ma i Sentenced hanno comunque ribadito le loro capacità e la loro esperienza sul fronte live, riuscendo a coinvolgere tutti, nonostante il breve tempo concesso. E non si può neanche dire alla prossima… nemo ante mortem beatus.
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RAGE
Quello dei Rage è stato senza dubbio uno dei migliori concerti di questa terza edizione del Tradate Iron Fest! Il gruppo del buon Peavy Wagner (che sta veramente ingrassando a vista d’occhio!) ha dato prova di essere tornato ad essere una vera macchina da guerra in sede live, con un Mike Terrana precisissimo dietro le pelli e un Victor Smolski finalmente più attento a macinare riff che a produrre in continuazione assoli di dubbio gusto e utilità (che Peavy gli abbia detto qualcosa?). La scaletta ha ovviamente pescato per lo più dagli album più recenti dei nostri ma per fortuna non sono mancate perle come “Don’t Fear The Winter”, “Higher Than The Sky” e soprattutto “Black In Mind” e “Firestorm”, queste ultime suonate addirittura in rapida successione! Proprio “Firestorm” – uno dei brani più belli del capolavoro “The Missing Link” – si è rivelato l’apice dello spettacolo: la song è stata riproposta in maniera magistrale e il suo micidiale riff portante ha coinvolto davvero tutti in un headbanging assolutamente furioso, una cosa che chi scrive non vedeva ad un concerto dei Rage da tantissimo tempo! Pezzi come “Set This World On Fire” e “War Of Worlds” hanno poi accontentato anche gli amanti del lato più melodico del terzetto, i quali non hanno smesso un secondo di cantare i loro orecchiabilissimi ritornelli. Alla fine lo show – grazie anche a dei suoni eccellenti – è risultato quindi ottimo sotto tutti i punti di vista: bella scaletta, esecuzione perfetta e partecipazione del pubblico alle stelle. Bravissimi, Rage!
JON OLIVA’S PAIN
Nonostante il moniker facente riferimento al progetto solista del cantante/tastierista Jon Oliva, in realtà possiamo tranquillamente parlare di tributo ai Savatage, in quanto gran parte degli estratti proviene dal repertorio della grandissima band americana. Jon Oliva si dimostra in gran spolvero, allegrissimo e sempre pronto a divertire il pubblico con le sue teatrali mimiche, ma anche nel momento di proporre buona musica il singer si dimostra un pezzo da novanta. Ovviamente gli estratti più apprezzati non derivano tanto da “Taje Mahal”, quanto dall’eredità dei Savatage: “Gutter Ballet”, la commovente “Believe” (dedicata da Jon al fratello Criss), “Hall Of The Mountain King” e “Power Of The Night” sono solo alcuni degli estratti che hanno letteralmente mandato in visibilio tutti i presenti. La band di supporto a Oliva si è dimostrata molto preparata e i suoi membri, seppur carenti sul lato carismatico, tecnicamente hanno reso tutti i dovuti onori al prestigioso passato di Jon. Con un concerto così è lecito chiedersi se e quando i Savatage torneranno alla ribalta con un nuovo disco, di progetti solisti ormai ne abbiamo abbastanza!
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SAXON
Spetta ad una delle band simbolo dell’heavy metal inglese chiudere la prima giornata del festival, regalandoci due ore di spettacolo ben calibrato tra nuove e vecchie song della loro ricca discografia. La recente “Lionheart” inaugura lo show di Byford & C. che in due ore piene dimostrano ancora una volta di meritare la posizione da headliner di un festival metal. Il biancocrinito singer regge bene all’urto del lungo concerto esaltando i potenti riff di “Motorcycle Man” e “Wheels Of Steel” con la sua instancabile ugola al vetriolo. Segnaliamo le ottime riproposizioni delle old time classic “Heavy Metal Thunder”, “Strong Arm Of The Law”, “20.000 Feet” e “Dallas 1 Pm”, che a distanza di venticinque anni continuano a far venire la pelle d’oca, risultando fresche e attuali. Notevole la prestazione del bravo chitarrista Paul Quinn, autentico riffmaker, che per tutta la durata del concerto ha tessuto instancabilmente ritmiche e guitar solo di gran gusto senza sbagliare un colpo, supportato dal valido guitar work di Doug Scarrett. Le accattivanti “Dogs Of War”, “Witchfinder General” e “Solid Ball Of Rock” sono lo specchio degli ultimi quindici anni del Saxon sound che, pur avendo subìto delle naturali evoluzioni stilistiche, è sempre rimasto unico con il trascorrere del tempo. La cupa “The Eagle Has Landed”, l’epica “Crusader”, e le scatenate “Princess Of The Night” e “And The Band Played On” regalano cascate di watt che investono i metal kid presenti oramai stanchi, ma sempre ricettivi e pronti a cantare le canzoni assieme alla band. L’inno “Denim And Leather” – autentica dichiarazione d’intenti dei nostri – chiude ottimamente la prima giornata del festival. Buona notte.
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EXCITER
Forti come dei macigni, taglienti come dei rasoi, questi sono gli Exciter! Appena salita sul palco, la band canadese rivela subito le sue intenzioni di devastare letteralmente tutto e chiunque grazie ad un metal che da venticinque anni non concede pietà! L’iniziale “The Dark Command” risalta tutta la grinta e l’estensione vocale di un Jacques Belanger sugli scudi, a suo agio sia nel momento di tuonare growl infernali sia quando intona acuti degni del miglior Tim “Ripper” Owens. Sullo stage di Tradate si alternano brani recenti e classici come “Violence And Force”, “Heavy Metal Maniac” e “Violator”, in più c’è spazio per un inedito, “Immortal Fear”, che presenzierà sul prossimo studio album dei canadesi. Il tempo purtroppo è tiranno e gli Exciter si congedano velocemente, ma con la soddisfazione di aver lasciato il segno grazie ad una performance superlativa. E’ bello constatare che i vecchi dinosauri abbiano ancora una classe ed un’energia che molti giovani novizi possono solo sognare!
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ANVIL
La band canadese guidata dal carismatico chitarrista/cantante Lips viene ben accolta dal pubblico annidato sotto il palco di una domenica pomeriggio afosa e, sebbene il nostro non abbia più l’ugola potente di un tempo, si dimostra un abile frontman ed intrattenitore, sempre pronto a scherzare e ad interloquire continuamente con i fan. Spazio dunque alle storiche “666”, “Mothra”, “Forged In Fire”, “Smoking Green” e “Metal On Metal”, canzoni ben accolte da un pubblico sempre pronto a fare headbanging e ad alzare i pugni ad ogni riff, e a cantare a pieni polmoni i ritornelli delle song. C’è spazio anche per la strumentale “White Rhino” pescata dal recente “Still Going Strong”, abile trampolino di lancio per il drum solo del buon Robb Reiner che corona una prestazione convincente. Promossi.
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ONKEL TOM ANGELRIPPER
Concerto breve e onesto quello di Onkel Tom. Il frontman dei Sodom ha riversato sull’accaldatissima folla le sue solite canzoni da birreria riviste in chiave thrash’n’roll, entusiasmando una discreta parte dei presenti e coinvolgendola in canti sguaiatissimi. Ad essere sinceri, però, il sottoscritto avrebbe preferito assistere ad uno show dei Sodom veri e propri o magari di un’altra band: Onkel Tom infatti sarà anche tutto sommato spassoso, ma alla lunga le sue canzoni finiscono per assomigliarsi tutte e inoltre chi non conosce la lingua tedesca non può per nulla cogliere le battute presenti nei testi; chi scrive non è rimasto del tutto impassibile durante il concerto ma poco ci è mancato! Probabilmente la stessa cosa accadrebbe se i nostri Prophilax andassero a suonare in Germania… quanta gente riuscirebbero realmente a smuovere? Alla fine comunque non si può dire che il gruppo tedesco abbia suonato male: di sicuro ha soddisfatto i suoi fan e ha scaldato ulteriormente coloro che sotto il palco stavano già attendendo i Destruction.
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DESTRUCTION
I Destruction hanno purtroppo goduto dei suoni peggiori della giornata, che li hanno messi nelle condizioni di dover avere a che fare in continuazione con delle chitarre impastatissime! Un gran peccato, visto che il trio teutonico era apparso sin dalle prime battute di ottimo umore e più che mai desideroso di offire uno show memorabile. Delle iniziali “Curse The Gods” e “Nailed To The Cross” purtroppo si è riusciti a capire poco o nulla, idem per parte di “Mad Butcher”. Schmier e Mike però hanno tenuto come al solito il palco nel migliore dei modi e non si sono mai risparmiati nel cercare di coinvolgere il pubblico (che, a dir la verità, non ha minimamente badato ai succitati inconvenienti tecnici). Col passare dei minuti comunque i suoni sono un pochino migliorati e ciò ha permesso alle varie “Metal Discharge”, “Thrash ‘Til Death” ed “Eternal Ban” di deflagrare in quasi tutta la loro potenza, facendo nascere anche un pogo di discrete dimensioni nelle imediate vicinanze del palco. Schmier ha anche dato prova di conoscere alcune frasi in italiano e ciò non ha fatto altro che divertire ancor di più il pubblico, in quale, incurante dell’afa e della fastidiosissima polvere, nelle conclusive “Total Disaster” e “Bestial Invasion” si è esaltato definitivamente, cantando a squarciagola ogni singola parola e pogando senza esclusione di colpi. I Destruction, tutto sommato, vengono quindi promossi anche questa volta: si spera di rivederli presto con dei suoni maggiormente convincenti e magari con alcuni nuovi brani nella setlist.
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DISSECTION
Attesissimi da gran parte del pubblico presente – nonostante fossero l’unica formazione realmente estrema presente nel bill della manifestazione – i Dissection non hanno per nulla deluso le aspettative, fallendo nell’impresa di replicare l’ottimo concerto del novembre scorso esclusivamente a causa di alcuni problemi tecnici in cui è incappato il leader Jon Nödtveidt con la sua chitarra. Canzoni come “Where Dead Angels Lie”, “Heaven’s Damnation”, “Soulreaper” e “The Somberlain” hanno comunque ottenuto ampi consensi e la folla è sembrata divertirsi un mondo nel corso dell’intera esibizione della band svedese. Rispetto a sette mesi fa i Dissection sono apparsi ancora più affiatati, con il chitarrista Set Teitan e il bassista Brice Leclercq ancor più coinvolti nello show (nonostante non si siano mai spostati eccessivamente dalla loro posizione di base) e con Nödtveidt sempre più disposto ad interagire con gli astanti. Ora la band tornerà in studio per incidere il suo terzo full length album… si spera dunque di rivederla presto dal vivo, magari con del materiale all’altezza di quello storico (anche se alla luce dell’ascolto del singolo “Maha Kali” c’è poco da stare allegri…).
CANDLEMASS
La prima calata italica della storica doom metal band svedese è risultata semplicemente strepitosa, facendo impazzire di gioia i fan accorsi per vederli dal vivo e coinvolgendo alla grande il pubblico che sino a quel momento ha ignorato le loro gesta. Già dalla cupa intro si respira un’atmosfera speciale, cosicché si presentano sul palco il drummer Janne Lindh, i due chitarristi Lasse Johansson e Mats Bjorkman, il bassista Leif Edling sino ad arrivare alla devastante entrata del mitico singer Messiah Marcolin, che si rivelerà durante la loro performance il vero mattatore del gruppo. “Black Dwarf” viene accolta da un autentico boato dai metal kid accalcati sotto il palco, scatenando un tanto inaspettato quanto divertente pogo. Il singolare singer vestito da frate appare davvero emozionato (infatti non manca di ribadire le sue origini italiane, per la precisone i genitori sono di Murano, dimostrando anche di parlare un italiano comprensibile che va al di là del solito “mille grazie” o “ciao Tradate”, ndA), presentando ogni song ad un pubblico sempre più in delirio. L’esibizione dei nostri viene valorizzata da un sound potente e cristallino e infatti la band, consapevole del valore qualitativo della loro ultima opera, esegue “Copernicus”, “Seven Silver Keys” e “Assasin Of The Light” conquistando i meritati applausi che si tramutano poi in standing ovation durante l’esecuzione delle evergreen “Solitude”, “Dark Reflections”, “Samarithan”, “At The Gallows End” e “Sorcerers’ Pledge”. L’esibizione dei nostri è stata semplicemente perfetta, non una sbavatura, non un passaggio a vuoto, non una steccata o un calo di tensione. La palma del miglior gruppo della seconda giornata va indubbiamente a Edling & C., sperando di poter assistere in tempi brevi ad un nuovo show nel Bel Paese. Immensi.
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DIO
L’immortale folletto dell’heavy metal, a sessant’anni suonati, non finisce ancora di stupire con le sue peripezie vocali, proponendoci una setlist a dir poco da brividi. “Killing The Dragon” viene scelta come opener del concerto seguita a ruota dall’ammaliante “Egypt (The Chains Are One)”, capace di incantare le persone presenti con le sue cupe melodie, spavaldamente sovrastate dalla voce di Ronnie James. Con “Stargazer” l’atmosfera inizia seriamente a riscaldarsi, resa ancor più magica dall’improvviso diluvio scatenatosi sopra le nostre teste (la nuvola fantozziana dei festival estivi quest’anno ha colpito ancora, ndA), causando la ritirata per una buona parte del pubblico che preferisce rifugiarsi dentro i gazebo delle riviste metal, mentre i die hard fan sono comunque assiepati sotto il palco ad ammirare le gesta del proprio eroe. “Stand Up And Shout”, “Holy Diver” e “Don’t Talk To Strangers”, vengono cantate a gran voce da quasi tutti i presenti, sbalzandoci violentemente nel 1983, anno di uscita del debut album dei Dio, indiscusso capolavoro della sua discografia. L’ottima acustica rende grazia al solido lavoro svolto dal motore ritmico targato Rudy Sarzo e Simon Wright, sulla quale il buon guitar work svolto da Craig Goldy permette di far apprezzare pienamente le canzoni proposte dalla band. “The Last In Line” e “We Rock” non mostrano affatto i segni del tempo, mentre il climax del concerto si raggiunge con l’immortale “Heaven And Hell” e “Neon Nights”, quest’ultima track conclusiva che scatena un’autentica standing ovation da parte del pubblico, contornata da cori da stadio che ci porta alla fine di un festival che tante emozioni ha regalato a questo grande pubblico che ha supportato con calore le esibizioni di quasi tutte le band presenti, scatenando un’autentica festa di musica durata due lunghi ed intensi giorni. Applausi… questa volta per tutti, nessuno escluso.
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