Report a cura di Lorenzo Ottolenghi
L’estate è, da sempre, sinonimo di festival e, anche se siamo lontani da paesi come la Germania (dove praticamente ogni fine settimana da giugno a settembre si tiene un open-air metal), tante realtà si stanno affermando e stanno crescendo, contribuendo a creare “dal basso” quei grandi eventi che, nel nostro paese, sono sempre stati organizzati senza alcuna passione, ma con puro spirito di lucro. Così, con vero piacere, abbiamo seguito la seconda edizione del festival di Truemetal.it, tenutosi al Legend 54 di Milano. La location si è rivelata azzeccata, sopratutto in un afoso pomeriggio di metà luglio, con ampi spazi all’aperto che hanno permesso ai numerosi presenti di distribuirsi e potersi dedicare a parlare e bere birra in un’atmosfera molto piacevole. La scelta è doppiamente vincente, se se si pensa che l’area concerti è piuttosto piccola (oltre ad avere un palco funestato da una colonna, contro cui hanno sbattuto capocce più o meno celebri); il pubblico ha, infatti, avuto modo di godersi la serata al fresco ed entrare per seguire solo i gruppi di proprio interesse, creando uno scambio che ha mantenuto accettabili le condizioni della sala (considerando il periodo dell’anno e la temperatura). Insomma, dal punto di vista organizzativo, tutto molto ben riuscito e corroborato da un’atmosfera molto rilassata. Purtroppo non abbiamo potuto seguire tutte le band, anche perché -giunti al Legend 54- siamo stati quasi subito intercettati per una lunga chiacchierata con i Manilla Road (di cui vedrete presto il resoconto). Svolto il nostro dovere di cronaca, facciamo appena in tempo a sentire le ultime note degli Icy Steel (che già avevamo visto nell’edizione 2013 del Metalitalia.com Festival in una performance di ottimo livello e con Rhino come guest star), berci una birra ed essere pronti per i due main event della giornata.
WOTAN
Band leggendaria che, ahinoi, ultimamente capita raramente di vedere live, i Wotan si presentano sul palco carichi e pronti a fornire una massiccia dose del loro epic metal. Purtroppo la maledizione dei Nibelunghi, come la chiama il vocalist Vanni rivolgendosi al pubblico, perseguita la formazione che, durante “Spartacus”, vede Sal perdere una corda del basso. Imperterrito guerriero, però, continua la performance, riuscendo a sopperire alla mancanza del LA (ci pare, ma la memoria potrebbe tradirci). La setlist degli epic metaller meneghini spazia dagli esordi (con la già citata “Spartacus”) al seminale “Carmina Barbarica” (da cui spiccano un’ottima “Under The Sign Of Odin’s Ravens” ed una travolgente ed anthemica “Lord Of The Wind”), passando per “Epos” e i due recenti EP. Vanni si conferma un frontman dal notevole carisma, in grado di ammaliare e guidare il pubblico che, più di una volta, si lancia in sing-along e che tributa alla band il giusto onore. I Wotan hanno un buon repertorio ed una teatralità che si adatta perfettamente al genere proposto, partendo dal calice a teschio che domina in “Drink In The Skull Of Your Father” e concludendo col finale dello show, quando la band innalza tre spade. Insomma, tutto quanto ci si può aspettare da una band come i Wotan. Eccessivo? Forse a tratti, ma è parte dello spettacolo che il gruppo ha preparato e contribuisce a creare l’atmosfera epica e marziale che rende il concerto speciale e che stacca Vanni, Mario e Sal dalla moltitudine di “manowar wanna be”, facendone dei professionisti di cui il nostro paese deve andar fiero. Come per molte altre band di casa nostra, viene da chiedersi dove sarebbero oggi i Wotan se fossero nati in Germania o in Scandinavia… Un paio di note a margine: impressionante Alessio ‘Einsamkeit’ Del Ben, che sostituiva il titolare Wrathlord dietro le pelli e che -a detta della stessa band- ha imparato la setlist del concerto in tre giorni; una nota di demerito, invece, al sound che dà qualche problema e, in un paio di occasioni, risulta avere volumi completamente sfasati. Crediamo che la cosa non sia da imputare alla band, troppo ‘navigata’ per certi errori.
Setlist:
Hussar de la Mort
Spartacus
Under The Sign Of Odin’s Ravens
Drink In The Skull Of Your Father
Thermophilaes
Balmung
Lord Of The Wind
Iron Shadow
MANILLA ROAD
Innegabile che la maggior parte degli accorsi fosse qua per loro. Autentica leggenda, una band che ha attraversato tutta la storia dell’heavy metal, capitanata fin dal 1977 dall’inossidabile Mark Shelton (classe 1957), che con la sua attitudine ‘true’, il suo aspetto tra il metallaro e l’hippy e la sua voce graffiante e nasale, ha saputo conquistare generazioni di adepti. Chiamatelo ‘The Shark’ o il vichingo di Wichita, trovatelo pure attempato, ha poca importanza: basta che salga sul palco ad accordare la sua vecchia chitarra per mandare in visibilio gli astanti, e quando inizia a suonare “Flaming Metal Systems” dal seminale “Crystal Logic” (be’, da una sua ristampa, ma non dilunghiamoci troppo) non ci si può che inchinare. E così fanno i molti defender presenti, alcuni con t-shirt d’annata dei Manilla Road (o di band più o meno coeve come Angel Witch, Cirith Ungol o Satan) che, in un attimo, affollano tutta la sala concerto. La lunghissima performance (quasi due ore di set!) attinge ai classici, concedendo solo “Only The Brave” al recente “Mysterium” e costruendo una setlist con i primi sei album o -se preferite- con solo materiale degli anni Ottanta; la scelta è corretta (la band manca dal nostro paese da ben cinque anni e sa bene che il pubblico vuole sentire i classici) e ripaga i Manilla Road con un coinvolgimento dei presenti a livelli altissimi. Pezzi come “Hammer Of The Witches”, “Crystal Logic” e “Necropolis” sono vere pietre miliari del genere e la formazione le esegue alla perfezione, ricreando quell’atmosfera epica ed evocativa tipica del suo sound e guidando il pubblico che partecipa, con numerosi sing-along, ad uno show strepitoso. L’apice, forse, lo si tocca con le lunghe “The Ninth Wave” e “Cage Of Mirrors”, due pezzi che fondono perfettamente heavy metal, rock, progressive e psichedelica, in un mix che ha portato la band del Kansas a diventare ciò che è oggi. Purtroppo, proprio durante i momenti più intensi dello spettacolo, i problemi tecnici che si erano iniziati a manifestare durante il concerto dei Wotan si palesano del tutto, tra aste del microfono che non riescono a venir bloccate (Shelton è costretto a cantare per parecchi minuti con un roadie che sostiene il microfono davanti a lui) ed i livelli della batteria confusi, che paiono aver dimenticato completamente i piatti. I Manilla Road sono, comunque, dei navigati professionisti e -sicuramente- nella loro lunghissima carriera avranno dovuto suonare in condizioni ben peggiori; così Bryan Patrick, istrionico frontman che non cede all’ingombrante personalità di Shelton, prosegue imperterrito. Tra up-tempo, rallentamenti quasi doom, arpeggi ed assoli, le intricate costruzioni dei pezzi della band conquistano ed ammaliano, portandoci in luoghi lontani e carichi di magia. Ad ognuno dei numerosi “do you want some more?”, la scontata risposta non cambia. Così, quando i Manilla Road annunciano la fine del concerto, guardiamo distrattamente l’orologio e ci accorgiamo che sono passate quasi due ore, due ore in cui la band non si è risparmiata ed ha regalato un compendio perfetto della sua arte. “Heavy Metal To The World” chiude la setlist, che lascia un pubblico sfiancato ma più che felice. Un plauso ai ragazzi di Truemetal.it per aver riportato in Italia una grande realtà storica che mancava da troppo tempo e per aver organizzato un’ottima serata di Heavy Metal, proprio di quello con le lettere maiuscole.
Setlist:
Flaming Metal Systems
Masque Of The Red Death
Death By The Hammer
Hammer Of The Witches
Witches Brew
Open The Gates
Only The Brave
Divine Victim
Road Of Kings
The Ninth Wave
Cage Of Mirrors
Mystification
The Ram
The Riddle Master
Crystal Logic
Necropolis
Encore:
Up From The Crypt
Heavy Metal To The World