Introduzione e report di Roberto Guerra
Fotografie di Moira Carola
Come per il concerto che ha visto come protagonisti principali gli Alestorm, anche per la serata odierna si applica un discorso dalle connotazioni similari, seppur con numeri inferiori: un evento orientato quasi esclusivamente al puro intrattenimento immediato, musicale e visivo, in compagnia di una delle power metal band più discusse degli ultimi anni, ovvero quei Twilight Force che ancora tanti considerano una vera e propria carnevalata messa in musica, ma che in molti di più ritengono una ventata di relativa aria fresca in un panorama bisognoso di realtà ispirate, come di fatto è il power metal. Se poi consideriamo che dentro c’è anche un pezzetto del panorama italiano, la nostra voglia di assistere allo show in questione non può che incrementarsi; senza tenere conto dello special guest, rappresentato in questo caso dai già noti Seven Spires e dai promettenti Silver Bullet. Ora, sperando che questo trittico porti un po’ di magia all’interno del Legend Club di Milano (anche il nome della venue è appropriato), prendiamo un paio di birre al bar e ci posizioniamo di fronte al palco in attesa dei primi rintocchi. Buona lettura!
Come già accennato nella intro, iniziamo proprio coi finlandesi SILVER BULLET, il cui terzo album “Shadowland” è approdato sul mercato proprio nelle prime settimane dell’anno appena iniziato, con risultati di gradimento tutto sommato non disprezzabili, e ci fa molto piacere notare che dal vivo questi ragazzi possono rendersi artefici di una performance di tutto rispetto, con suoni ottimi e pezzi che in sede live funzionano ancora più che su disco. Pur essendo forse la band più derivativa del lotto, il groove trasmesso dal loro power metal classico e dai singoli strumenti, in particolar modo chitarre e batteria, risulta davvero trascinante per i presenti.
Sei pezzi sono pochi, ma comunque sufficienti a farci un’idea delle capacità di questo combo, il cui frontman rappresenta forse l’unico relativo punto debole – seppur parzialmente – per via di un’attitudine non sempre al top abbinata ad un’esecuzione essenziale, anche se abbiamo apprezzato tantissimo la sua fluidità nell’uso dell’italiano.
Vi consigliamo di dare un ascolto a qualche pezzo dei Silver Bullet, come ad esempio “Shadow Of A Curse”, “The Thirteen Nails” e “The Witches Hammer”, tutte e tre presenti questa sera e canticchiate dagli astanti anche durante la successiva pausa.
Proseguiamo con un’esibizione per cui invero nutriamo una notevole curiosità, considerando che alla testa dei SEVEN SPIRES vi è la apprezzatissima Adrienne Cowan, membro attivo anche degli Avantasia e considerata già oggi una delle cantanti più versatili del panorama. Il genere suonato dagli americani viene definito genericamente come metal sinfonico piuttosto che power metal in senso stretto, il che rende il sound di questa band qualcosa di tutto sommato molto personale, caratteristica sempre apprezzabile; volendo fornire qualche linea guida, potremmo collocare nel loro sound degli sprazzi di Kamelot ed Epica, con in più una componente più lugubre supportata anche da parentesi cantate con voce sporca.
Purtroppo però le nostre ottime aspettative si schiantano irrimediabilmente con un comparto sonoro che passa dall’ottimo dei predecessori al quasi insufficiente, con i suoni di chitarra appena percettibili se non in fase solista, e la voce stessa di Adrienne persa nell’impianto di diffusione nelle fasi non esageratamente spinte. L’apice di questa problematica giunge quando, nei momenti finali, entra in scena come ospite la bella Kristin Starkey (voce femminile a supporto degli headliner della serata): per un momento è come se i fonici perdessero del tutto il segno, azzerando quasi tre quarti di ciò che proviene dal palco, per poi rialzare il tutto cercando di far quadrare gli elementi. Questa gestione dei suoni mina letteralmente l’intero concerto, non permettendoci di godere di pezzi come “The Cabaret Of Dreams”, “In Sickness, In Health” e “This God Is Dead”, anche se la grinta della frontwoman rimane un tratto innegabile, almeno quanto il talento dei musicisti che la accompagnano. Speriamo di poter godere ancora in seguito della loro presenza, magari con qualche problema in meno.
Ebbene, la nostra avventura sta per decollare nel momento in cui si palesa sul palco questa bizzarra compagnia di eroi appena usciti da una sessione di “Dungeons & Dragons” o del videogioco “Divinity: Original Sin”. Il look dei TWILIGHT FORCE è il loro marchio di fabbrica, e notiamo con simpatia che il nostrano Alessandro Conti (qui alla sua prima apparizione in territorio italiano dal momento del suo ingresso nella band), si è ormai perfettamente ambientato, e lo dimostra anche scherzando sul suo outfit in stile Jon Snow tra uno sfoggio vocale e l’altro, seppur sostenuto dalla sopracitata aggiunta femminile alla line-up, il cui contributo è utilissimo per raggiungere determinate ottave, oltre ad arricchire un repertorio ben confezionato anche in sede live, malgrado la mole di elementi presenti. A parte ciò, è bene non dimenticare che questi bizzarri svedesi sono una formazione musicale con tutti i crismi, ben assemblata e con un repertorio che si è appena arricchito dell’uscita del quarto album, da noi accolto con una votazione alquanto positiva.
L’apertura è affidata alla più datata “Dawn Of The Dragonstar”, capace tuttavia di creare l’atmosfera perfetta su cui poi andrà a svilupparsi uno show fatto di tutto ciò che ci piace dei Twilight Force, incluse quelle caratteristiche ultrafiabesche che ancora stuccano parte del pubblico metal, evidentemente poco incline a determinate derive: i pezzi selezionati caricano tantissimo, in particolar modo la recente “Twilight Force”, la lunga “Blade Of Immortal Steel” e le più classiche “Ancient Dragon Of Wisdom” e “The Power Of The Ancient Force”, anche grazie a un comparto sonoro migliorato rispetto a prima ed eseguite in modo ottimale, senza lesinare sulle orchestrazioni possenti e assoli degni di uno shredder degno del nome. Performance inframezzate da siparietti volti a intrattenere gli astanti, tra battute in italiano e improbabili cerimonie di investitura con protagonisti fan vestiti ad hoc. Tutte cose che non solo ci fanno esaltare a ritmo di power metal luminoso e a suo modo esagerato, ma che ci fanno sorridere e divertire come bimbi, e questo non può che fare del bene in un periodo in cui tendiamo a dimenticarci del valore e della spensieratezza di quel fanciullo con appesi in camera poster raffiguranti draghi di varia natura. Inoltre, teniamo a segnalare che qui abbiamo ben due virtuosi nel loro campo, visto che Alessandro non ha perso una virgola di voce negli anni, e Philip Lindh alla chitarra solista rende perfettamente giustizia al modello che impugna (una Carvin, Jason Becker signature). Meno utile a livello strumentale il biondissimo spilungone elfico Anders Johansson alla chitarra ritmica, che però compensa con un’estetica che fa invidia almeno a metà degli uomini presenti in sala, tra altezza, prestanza atletica e capelli degni del Thranduil de “Lo Hobbit” cinematografico. Il tutto con alle spalle il simpatico tastierista Daniel Beckman, che di fatto funge da narratore con la sua voce comica, quasi da parodia di un Gandalf qualsiasi.
Insomma, ancora una volta una serata in cui magari non si è tenuto troppo acceso il cervello, ma sicuramente ci si è goduti un po’ di musica sognante in buona compagnia, e trattandosi di un sabato sera la bevuta di gruppo in taverna (o al pub), successiva al completamento della magica quest, è pressoché d’obbligo.
SILVER BULLET
SEVEN SPIRES
TWILIGHT FORCE