A cura di Gennaro Dileo
Ecco a voi il resoconto di un grandissimo concerto, che testimonia ancora una volta la classe di una band – facente parte della categoria “dinosauri del rock” – che ha offerto uno show efficace, coinvolgente ed indimenticabile.
ULI JON ROTH
Sono da poco passate le 20 e l’Alcatraz è (come inizialmente pronosticato dal sottoscritto) semi-deserto. Passano circa dieci minuti e sul palco sale l’ex chitarrista dei primi Scorpions che, con eleganza e gusto, ripropone delle variazioni sul tema delle “Quattro Stagioni” di Antonio Vivaldi. Roth è supportato da un preparatissimo tastierista, che si occupa dei campionamenti e di effettistica varia. Peccato che l’impegnativa rielaborazione perpetrata dal sottovalutato e misconosciuto axeman biondocrinito non sia valorizzata da una vera orchestra, che avrebbe reso la sua performance decisamente più calda. Nella seconda parte del concerto i due strumentisti procedono tra vari intermezzi (“Hey Joe”, “Burn”) e il rifacimento dell’immortale “All Along The Watchtower”, penalizzata dal suono artificioso e sintetizzato della batteria. Alle 21:10 il nostro si congeda applaudito da quasi tutto il pubblico presente (che negli ultimi venti minuti della sua esibizione si è fatto via via sempre più numeroso), e l’attesa per gli Ufo si fa sempre più concitata…
U.F.O.
…Alle 21:35 l’attesa viene spezzata dall’ingresso sul palco del quintetto albionico, accolto da un boato da parte di tutti i rocker presenti nel locale, e già dallo sguardo d’intesa tra Mogg e Way intuisco che si assisterà a un concerto di notevole spessore. Tesi confermata dalle prime note di “Midnight Train” scandite dalla chitarra dell’ottimo Vinnie Moore, chiamato a rimpiazzare il “buon” Micheal Schenker, e confesso onestamente che la mancanza di quest’ultimo non l’ho minimamente sentita, grazie alla sua stupenda prova di forza alla sei corde che erutta poderosi riff e lancinanti assoli dai Marshall, conquistando senza esitazione il pubblico. Phil Mogg è in forma strepitosa visto che per tutta la durata del concerto non ha mancato nemmeno una nota (identificabile come puro rocker di razza!). Pete Way è semplicemente l’anima del gruppo, visto che non ha fatto altro che correre avanti e indietro per il palco, non mancando sovente di incitare i kid. Il pacato Paul Raymond sostiene in modo compatto tutte le song, occupandosi delle ritmiche di chitarra e tastiere, spianando la strada al “tour de force” di Mr.Moore. Jason Bonham si è dimostrato un drummer dallo stile fottutamente classic rock, capace di spaziare egregiamente dal tocco morbido al tocco deciso sullo scarno drumkit. Track strepitose come “Lights Out” (mentre la eseguivano ero in una sorta di Nirvana), “Too Hot Too Handle”, “Mother Mary”, “I Am A Loser”, “Rock Bottom” e la celeberrima “Doctor Doctor” (cantata a squarciagola da quasi tutti!), sono state accolte come manna dal cielo, dimostrando per l’ennesima volta che la classe non è acqua e che il rock’n’roll non morirà mai. Amen.