Report a cura di Giacomo Slongo
Mentre nel capoluogo lombardo – rispettivamente al Carroponte, al Legend e al Magnolia – Gojira, Youth of Today e Eyehategod andavano a imporsi nell’ultima domenica di un luglio che passerà alla storia per le sue temperature roventi, in quel di Parma, più defilati, si assisteva al passaggio della tournée black metal dell’estate. Un tandem d’attacco ormai collaudatissimo, quello composto da Uada e Panzerfaust, che a distanza di tre anni dall’ultima apparizione sul suolo italico (era il giugno 2019) si ripresenta ai nostri occhi più in forma e compatto che mai, rimarcando la piena consacrazione dei primi e la definitiva messa a fuoco dei secondi. Ad ospitarli, nella periferia industriale della città, il Circolo MU, location finora poco sfruttata per date di questo tipo ma che, tra una configurazione outdoor molto accogliente e un impianto sonoro egregio, ha permesso ad entrambe le band di esprimersi al meglio di fronte ai fedelissimi radunatisi per l’occasione, il cui numero contenuto (una quarantina di persone) è stato più che sopperito dal trasporto e dalla risposta durante gli show. Vediamo quindi com’è andata…
Sono circa le 21.30 e il cielo sopra le nostre teste inizia a sfumare nella notte quando i PANZERFAUST, dopo un’intro pre-registrata dai toni apocalittici, prendono possesso del palco. Come già sottolineato in sede di recensione parlando dell’ultimo capitolo della trilogia “The Suns of Perdition”, fuori da poco più di una settimana, la formazione canadese sta chiaramente attraversando la fase più alta della sua carriera (ad oggi, quantomeno), e basta davvero poco per prendere atto della cosa ed assaporarne anche in sede live i frutti. Con il gigantesco frontman Goliath a troneggiare dietro a una sorta di leggio, a sua volta collocato in posizione sopraelevata alle spalle del drum-kit, il quartetto di Mississauga appare convintissimo dei propri mezzi sia dal punto di vista strettamente musicale, sia da quello relativo alla presenza scenica, dimostrando di non essere più la formazione acerba e poco caratterizzata antecedente alla firma del contratto con Eisenwald. Il bassista Thomas Gervais e il chitarrista Brock Van Dijk (impegnato anche alle voci) si posizionano con sguardo e postura autoritari ai lati dello stage, lasciando al vero fenomeno della line-up – il batterista Alexander Kartashov – tutta la visibilità del caso. Per quest’ultimo, alla pari di un Jamie Saint Merat o di un George Kollias, si potrebbe benissimo parlare di spettacolo nello spettacolo, visto l’incredibile numero di finezze e numeri da circo dispensati durante tutto l’arco del concerto, e a conti fatti sono proprio questi elementi – presenti anche su disco – a far compiere al già eccellente materiale del gruppo il definitivo salto di qualità. Attorno alla tentacolare prova del musicista, quindi, il black metal ora dissonante, ora marziale, ora trascendente dei Nostri, ispirato soprattutto a quello della scuola polacca e islandese, prende forma e alterna momenti di pieno/vuoto con una propulsione fuori dal comune, facendo sì che episodi come “Promethean Fire” o la recente “Tabula Rasa” investano e quasi stordiscano la platea con un muro di suono ricchissimo di stratificazioni e dettagli. Classe, impatto, personalità: in quarantacinque minuti di spettacolo i Panzerfaust fanno loro questi concetti e ricompensano nel migliore dei modi chi ha deciso di essere a Parma per sostenerli, congedandosi dopo un lungo, sentito applauso che dice molto su quanto avvenuto sul palco. Esibirsi dopo una performance simile metterebbe più di una band in soggezione e difficoltà, ma non è ovviamente questo il caso degli UADA. Il gruppo del cantante/chitarrista Jake Superchi, già celebre in passato per la sua straordinaria compattezza in sede live, ha trascorso gli ultimi mesi a suonare in maniera pressoché ininterrotta fra Nord e Sud America, con tanto di date a supporto di realtà come Amorphis ed Emperor, e non stupisce che anche stasera si presenti affiatatissimo e intenzionato a reclamare la corona della scena melodic black metal contemporanea. Missione compiuta, diremmo noi, dal momento che non ci viene in mente nessuno, all’interno del sottogenere, che possa competere con l’attuale prestanza del gruppo di Portland. Lasciatisi ormai alle spalle gli ingombranti paragoni con Mgla e Dissection, i quali rappresentano comunque la base della proposta in questione, i Nostri vivono la loro musica come un flusso irrefrenabile; il getto di una cascata che travolge e ristora a seconda delle circostanze, e in cui le varie soluzioni – dalle scariche di blast-beat agli intrecci melodiosi imbastiti dalle chitarre, passando per gli ululati al microfono del leader – suonano come i versi di un incantesimo, tanta è la loro capacità di stregare chi vi si approccia. Niente pause, nessuna interazione con il pubblico, solo la ‘botta’ offerta da brani come “The Purging Fire”, “Devoid of Light” o “Black Autumn, White Spring”, per una setlist che ha come unico difetto quello di ignorare un po’ troppo “Djinn”, dal quale viene pescata solo l’orecchiabile e ritmata titletrack. Poco male, comunque: potendo anche contare sulla natura ‘bucolica’ della location, sul favore delle tenebre e su un impianto luci minimale ma azzeccato, gli Uada si rendono protagonisti dell’ennesimo show inattaccabile per intensità e cura della resa finale dei pezzi (sembrava di stare ascoltando un CD!), dandoci la buonanotte in un’escalation di euforia che non vediamo già l’ora di rivivere sul nuovo album, atteso in teoria entro la fine di quest’anno.