Report di Giacomo Slongo
A dieci anni (quasi) esatti dalla loro ultima calata sul capoluogo lombardo e a pochi mesi dalla pubblicazione dell’eccellente “Cutting the Throat of God”, gli Ulcerate tornano a Milano per ribadire lo strapotere di una delle proposte più influenti, personali e visionarie della scena estrema contemporanea.
Un suono allucinante e incredibile da sempre, ma che solo di recente, complice la svolta ‘melodica’ avviata da “Stare Into Death and Be Still” (2020), si è affacciato oltre la nicchia dell’underground più ostico e sperimentale, tanto da garantire ai death metaller neozelandesi – anche in un paese solitamente poco ricettivo come l’Italia – un locale con tutti i crismi come può esserlo il Legend Club di Viale Enrico Fermi, richiamando poi un pubblico numeroso (circa 250 persone) determinato a partecipare nonostante l’affollamento di concerti, il big match di Champions League Real Madrid-Milan e il nebbione calato in serata sulla città.
In apertura, direttamente dal Sud America, i Selbst, già compagni di etichetta del terzetto e unitisi al tour proprio per questa data…
Da Santiago del Cile, il progetto del cantante/polistrumentista N – che in sede live, per forza di cose, si avvale di una serie di turnisti – non è sicuramente una bestia da palcoscenico.
Nel momento in cui fa capolino da dietro le quinte, la band (e in particolar modo il suo leader) appare infatti schiva, quasi intimidita dal contesto, facendoci lì per lì temere la più classica delle performance dimesse e ‘contratte’, imputabile a musicisti tutt’altro che abituati a suonare dal vivo.
Invece, per la fortuna dei presenti in sala, bastano poche battute per realizzare che, dietro una presenza scenica lungi dall’essere esplosiva, il quartetto riesca a replicare le complesse e stratificate trame della sua proposta con una scioltezza notevole, dimostrando di non essere stato chiamato a ricoprire il ruolo di opener per una realtà ‘ingombrante’ come gli Ulcerate per caso.
Nello specifico, siamo dalle parti di un black metal prettamente moderno e atmosferico, fatto di ritmiche tortuose e di chitarre in grado di combinare armonia e dissonanza secondo un gusto figlio di chissà quante ore di ascolto dei classici di Mgła, Misþyrming e ultimi Deathspell Omega, per un risultato finale piuttosto intrigante, anche se magari non ancora caratteristico.
L’impressione data dai SELBST è quindi quella di una formazione solida e capace, la quale – forte dei riscontri ottenuti dagli ultimi “Relatos de angustia” e “Despondency Chord Progressions” – potrebbe entrare nel giro di quelli che contano davvero già dal prossimo full-length.
Bisogna essere onesti: un concerto degli ULCERATE è da sempre l’occasione perfetta per riempiersi la bocca di aggettivi come ‘alieni’, ‘mostruosi’ o di espressioni come ‘esperienza catartica’, ‘trip mentale’ e via discorrendo. C’è da dire, però, che è anche difficile non ricorrere a tali pensate per descrivere la caratura della loro performance e le sensazioni prodotte sul corpo e sulla mente da un loro show.
A due anni dalla loro ultima tournée europea, quando si presentarono come supporto diretto dei Mgła portando finalmente sul palco lo straordinario “Stare Into Death and Be Still”, i tre neozelandesi arrivano oggi a Milano all’apice dei riscontri e della popolarità underground, e consapevoli di questo status scelgono di non guardarsi indietro, puntando tutto (o quasi) sulla produzione recente per imbastire uno spettacolo in cui avanguardia, dissonanza e melodia collimano in una serie suite avvolgenti e densissime, sorrette da un guitar work dal taglio orchestrale e da una prova dietro i tamburi – quella del leader Jamie Saint Merat – semplicemente fuori scala, fuori parametro, fuori dal mondo.
Si può dire che i Nostri, completati da Michael Hoggard alla chitarra e dal cantante/bassista Paul Kelland, non facciano granché a parte suonare, dal momento che sia i movimenti, sia le interazioni con il pubblico appaiono ridotti al minimo, ma questo non rappresenta ovviamente un malus, anzi. Vista la natura della proposta, è giusto che sia esclusivamente la musica a parlare, anche per consentire agli spettatori di sprofondare del tutto nel vortice prodotto dal death metal lisergico del suddetto “Stare…” e del recente “Cutting the Throat of God”, cosa verificatasi puntualmente con il passare dei minuti e dei brani.
Un’immersione totale in un universo freddo e alieno (appunto!), ma che nel suo avanzare regala anche aperture maestose su costrutti melodici eleganti, intensissimi e mai banali, immortalati al meglio dai crescendo di “Further Opening the Wounds”, “Dissolved Orders” e della title-track dell’album pubblicato a giugno.
Quasi un’ora e mezza di concerto che, sancita dall’encore di “Everything Is Fire” (unica concessione al repertorio pre-2020), ha ricordato a tutti perché questi musicisti, da un angolo sperduto e defilato di mondo, sono riusciti a scalare le vette del genere e del metal estremo più visionario e sperimentale.
Prova di forza impressionante.
Setlist:
To Flow Through Ashen Hearts
Drawn Into the Next Void
Further Opening the Wounds
Dissolved Orders
The Dawn Is Hollow
Cutting the Throat of God
To See Death Just Once
Stare Into Death and Be Still
Everything Is Fire