A cura di Luca Filisetti
Autunno caldissimo per gli amanti dell’hard rock settantiano. Ultimi di una lunga serie di grossi nomi, ecco sbarcare a Milano gli Uriah Heep, band che di certo non ha bisogno di presentazioni. Per l’occasione il Rolling Stone è quasi completamente pieno, dimostrando, se ancora ce ne fosse bisogno, che la musica di qualità attira sempre. Come previsto il pubblico è piuttosto eterogeneo e si passa da vecchi rocker a intere famiglie con tanto di pargoli al seguito, da true metaller incalliti a celebrità della scena del bel paese con in mezzo spezzoni di varia umanità. Tra gli altri segnaliamo un entusiasta Enrico Paoli giustamente piazzato in linea retta con la sei corde di Mick Box. La maggior parte dei presenti dimostra di conoscere a menadito i classici della band, inciampando invece sulle nuove composizioni, evidentemente non ancora assimilate o, più probabilmente, volutamente trascurate. Comunque sia è un piacere trovarsi nel mezzo della venue durante l’esecuzione di brani storici e sentire nel pubblico quell’ondata di energia positiva che solo gli Uriah Heep riescono a sprigionare. Di seguito il resoconto dell’evento.
URIAH HEEP
Coloro i quali hanno già visto gli Uriah Heep dal vivo sanno benissimo che razza di concerto sono in grado di imbastire i britannici: d’altronde con più di venti album alle spalle, la maggior parte dei quali di qualità superlativa, le combinazioni per mettere insieme una scaletta memorabile sono quasi infinite. In questo caso i nostri hanno optato per una scelta coraggiosa, che taglia tanti classici per dare spazio all’esecuzione completa di tutti i brani dell’ultimo “Wake The Sleeper”; se da un lato va apprezzato il fatto di dare spazio a del nuovo materiale nel quale la band crede molto, d’altro canto va segnalato che non tutti i brani dell’ultimo lavoro sono all’altezza della fama della band. “Wake The Sleeper” è un signor album, ma ha al suo interno due o tre canzoni che sono decisamente inferiori al resto e che potevano essere tranquillamente escluse dal live. La band si presenta in forma smagliante, tirata a lucido e sempre sorridente e divertita. La voce di Bernie Shaw è meravigliosa e sembra migliorare con il tempo: durante il concerto il biondo singer ha preso delle ottave altissime con un’intensità ed una potenza che lascia sbalorditi. Il vecchio Mick Box gioca con il pubblico e con la sua sei corde, regalandoci l’ennesima prestazione eccellente della sua infinita carriera. Da applausi anche le prove di Phil Lanzon alle tastiere, da sempre asse portante del sound degli Heep, e di Trevor Bolder al basso, concreto ma anche fantasioso. Il migliore della serata è stato comunque Russell Gilbrook dietro le pelli: il drummer, uno dei più ingiustamente sottovalutati della storia del rock, sfodera una performance precisa e potentissima e dona a tutte le canzoni una marcia in più. La band ha suonato per un’ora e quaranta minuti concedendo un solo bis, la storica “Lady In Black”. La scaletta, oltre agli estratti dell’ultimo lavoro, comprende i classicissimi “Easy Livin'”, “Gipsy”, “July Morning”, una strepitosa versione di “Look At Yourself”, “Sunrise” e “Stealin'”, tutte risalenti all’era Byron. Clamorosamente escluse dopo anni “Birds Of Prey” e “Return To Fantasy”. In definitiva il live è stato divertente, a tratti entusiasmante, ma ha sofferto del troppo spazio concesso a “Wake The Sleeper”. Il numeroso pubblico a fine serata è comunque uscito soddisfatto e felice dal Rolling Stone, conscio di aver assistito comunque ad un concerto di altissimo livello.