Report a cura di Simone Vavalà
Per una sera Milano sembra quasi Londra, con una serie di proposte musicali molto appetibili e variegate, per il pubblico metal, a sovrapporsi e creare magari qualche dubbio sul da farsi. Noi, rispetto a Uriah Heep e alla combo Hypocrisy/Septic Flesh abbiamo scelto l’impatto sonoro, a ben vedere di alta qualità, con il pacchetto di tutto rispetto portato in Italia dagli amici di Cerberus Booking: thrash metal ad alto contenuto di cervello, ma anche – come vedremo confermato sul palco – la giusta dose di sudore e cattiveria che ci permette di tornare indietro nel tempo con godimento. Ben quattro band, affini eppure tutte con le loro apprezzabili peculiarità, che scaldano il pubblico a partire dall’orario dell’aperitivo, anche se si parte subito a fare sul serio, niente salatini all’ingresso…
ALGEBRA
Spetta agli ALGEBRA aprire le danze, e nonostante mezz’ora secca di esibizione, i quattro svizzeri portano a casa il risultato senza problemi. A parte un paio di estratti dai dischi più vecchi, il grosso dello show si basa sul recente “Chiroptera”, disco che abbiamo incensato a dovere su queste pagine. Ed Nicod, unico membro costante della band, si dimostra ottimo nella duplice veste di cantante e chitarrista, oltre che bravo nell’aver scelto i nuovi compagni di avventura; la sezione ritmica non sbaglia un colpo, e sugli assoli gli incroci tra lo stesso Nicod e Abery regalano un tocco old-school di buona fattura. Da questo punto di vista, anzi, i brani stessi sembrano subire un trattamento vintage generale, dato che la sotterranea componente hardcore e più moderna che emerge su disco, specie in certi passaggi vocali, diventa qui pura violenza thrash. Potrebbe essere migliorata la presenza sul palco, volendo trovare una pecca, dato che la band si dimostra un po’ statica, e disomogenea a livello di look: niente di grave, ovviamente, la musica parla da sé; ma in certi momenti la sensazione del gruppo di amici in sala prove prevale sull’aura da ‘concerto’. Più che confermate, comunque, le buone sensazioni e gli scapocciamenti già vissuti con l’ascolto su disco.
COMANIAC
Un’altra proposta dalla Svizzera, e restiamo bene o male nello stesso alveo musicale con i COMANIAC. La principale differenza che salta all’orecchio, come del resto traspare già nei loro dischi, è una maggior propensione verso elementi più virati al death tecnico in certi passaggi, sensazione acuita forse dalla presenza sul palco, come turnista, di Fabian Völker e del suo basso a sei corde, chiaro segnale di un approccio tecnico di un certo tipo. Anche la loro esibizione non presenta particolari sbavature e riesce a trovare un’ottima quadra tra passaggi intricati e impatto sonoro; altra analogia – forse inevitabile – con gli Algebra sta nella scaletta, anche in questo caso incentrata per buona parte sulla release più recente (“Holodox”, con ben cinque estratti), anche se i pezzi più datati e più ritmati contribuiscono non poco ad aumentare il dinamismo di un concerto di ottima fattura, in cui i quattro divertono e si divertono apertamente; lo dimostrano fino al gran finale affidato alla trascinante “1, 2 Rage”, primo brano del loro primo disco, assurto evidentemente a manifesto di certo modo di suonare, durante il quale, non a caso, si scatena il primo circle pit della serata.
CRYPTOSIS
Al di là dell’impeccabile – ma più che prevedibile – esibizione degli headliner, sono a nostro parere i CRYPTOSIS gli autori dello show più stupefacente della serata. Personalmente “Bionic Swarm”, l’unico disco pubblicato dopo il cambio di pelle e la fine dell’avventura a nome Distillator, ci aveva convinto come qualità ma non era riuscito a conquistarci appieno, vuoi per una sotterranea sensazione di eccessi ‘cervellotici’, vuoi per l’approccio vocale aspro ed efficace, ma poco personale e variegato. Dal vivo, il terzetto ribalta invece le aspettative, a partire dall’assalto sonoro davvero mostruoso; la sinergia tra gli strumenti è impeccabile: a tratti sembra incredibile sentire solo tre musicisti all’opera, che per di più non sbagliano un attacco o un cambio di tempo. Una perfezione confermata anche dalla gustosa scelta di trasmettere su due schermi le riprese in sincrono della band mentre suona in studio l’intero disco in sequenza, esattamente come viene presentato questa sera: certo, facile con l’uso dei clic, ma efficace per sottolineare la perizia tecnica e la precisione. Le diverse componenti a cui la band si ispira riescono a trovare momenti di piena espressione con un amalgama inaspettato: i riff rocciosi che si rifanno ai Kreator, i momenti più tecnici di scuola Megadeth, che dal vivo riescono in maniera encomiabile a non passare la soglia dell’onanismo, i frequenti ‘strappi’ in cui gli olandesi ricordano di amare, e non poco gli Slayer – urletto à la Araya/”Angel Of Death” compreso. Come accennato, è in generale da applausi la prestazione di tutti, con particolare menzione per il lavoro di Laurens Houvast dietro il microfono, che riesce a trasformare i brani rendendoli molto più catchy e dinamici del previsto. A questo punto, attendiamo il prossimo disco con una certa impazienza.
VEKTOR
Dopo quasi tre ore all’insegna del puro downtuning, tocca alla band che ha per certi versi ridefinito i canoni del thrash – anche in termini di accordatura, appunto, coloro che hanno saputo prendere il testimone dei Voivod senza appiattirsi sul loro sound o su quella estetica ‘siderale’ ciecamente, bensì dimostrando, disco dopo disco, che persino lo statico mondo thrash può evolvere, senza per questo perdere in mordente e impatto sonoro.
Introdotti da quello che ci sembra il main title di “Predator”, i VEKTOR mettono in piedi uno spettacolo pressoché perfetto, un’ora e un quarto in cui nulla è lasciato al caso, a partire dalla scelta della scaletta. Se si esclude il bis, affidato alla tutt’altro che trascurabile “Asteroid”, il set principale è un vero e proprio viaggio nello spazio introdotto e chiuso dai due lunghi e cupamente psichedelici capitoli di “Charging/Recharging The Void”, perfetti per settare e riassumere l’atmosfera di un concerto durante il quale la tensione non cala nemmeno per un secondo; la perizia tecnica, anche dei nuovi arrivati alla sezione ritmica, che vediamo per la prima volta all’opera, è indiscussa: nei passaggi più complessi non si perde, né si impasta una nota, e tuttavia non c’è un momento in cui ciò si trasformi in un mero show of hands. Sarà per la ricchezza del concept che la band americana porta avanti da anni, sarà perché i riff e i pezzi ci sono, eccome, a differenza di quanto avviene – ai due estremi del loro universo musicale – con le più becere fotocopie del thrash americano anni Ottanta, e parimenti con le band fatte di freddi esecutori di scale complicate, ma fatto sta che i Vektor meritano un posto nel gotha della Musica con la M maiuscola. Oltre ai Voivod, nella loro proposta gli echi arrivano fino a mostri sacri come i Pink Floyd – compreso un inserto evidente -,e i confini, semplicemente, spariscono. Ampio spazio, in termini di minutaggio, al capolavoro “Terminal Redux”, ma oltre alla succitata “Asteroid” trovano posto anche la titletrack di “Black Future” e un altro paio di brani, senza soluzione di continuità in termini di impatto.
Nota di pura simpatia: bello vedere un David DiSanto sorridente, coinvolto ed evidentemente felice di stare in mezzo ai suoi fan, come farà anche a fine concerto con i rimasti (alternando strette di mano al carico di persona della strumentazione sul tour bus!), con altre questioni, private e che tali dovevano forse rimanere, ormai alle spalle.
Setlist:
Charging The Void
LCD (Liquid Crystal Disease)
Black Future
Dead By Dawn
Tetrastructural Minds
Collapse
Recharging The Void
Asteroid