Report di Vanny Piccoli e Chiara Franchi
Foto di Enrico Dal Boni
A soli otto mesi dall’edizione 2022, tenutasi eccezionalmente a settembre, il Venezia Hardcore Fest è tornato al CS Rivolta di Marghera con il tradizionale appuntamento di maggio.
L’attesa è stata breve, ma forse proprio per questo la posta in gioco era alta: il festival lagunare può dirsi definitivamente risorto dopo la pandemia, come auspicava la fenice protagonista del flyer della scorsa edizione? A posteriori, forti di circa duemilacinquecento presenze e dell’atmosfera di festa che si è respirata nella due giorni veneziana, la crew del VEHC dice di sì.
Questa edizione, però, era importante anche da un punto di vista simbolico, dal momento che cade esattamente a dieci anni dal concerto in sala prove che per primo prese il nome di Venezia Hardcore Fest (come abbiamo raccontato nello speciale in proposito).
Per quanto riguarda il weekend appena trascorso, possiamo dire che la sensazione è stata quella di un ritorno a casa: sia chi tornava effettivamente, ma anche chi approdava per la prima volta oltre i cancelli del Rivolta, è stato accolto dalla consueta atmosfera al tempo stesso intima e piacevolmente chiassosa, animata da una variopinta amalgama di punk, metallari, rocker, hipster, skater e gente che non appartiene a nessuna sottocultura in particolare, di tutti i generi e di tutte le età. Un’amalgama che riflette fedelmente il programma musicale, che come da tradizione unisce metal e hardcore, veterani e nuove leve, nomi consolidati e band di tendenza, operando una sintesi fresca tra il passato e il presente e preferendo il ricambio alle riconferme.
Largo al nuovo, quindi, ma questo VEHC è stato anche l’edizione di alcuni grandi ritorni: su tutti, quello dei Raein, protagonisti di un live memorabile; quello dei The Secret con tutto “Solve Et Coagula”; quello degli ED, che proprio per questa occasione celebrano la reunion. Un bill rutilante, quindi, da vivere come hardcore comanda: nessuna transenna, nessuna distanza tra band e pubblico, stage diving e crowd surfing ininterrotti, spettatori che salgono sul palco a cantare, musicisti che cercano il contatto fisico con la platea fino a farsene fagocitare, per riemergere, spesso, sollevati da terra a forza di braccia. Tutto questo in due sale dove la capienza è relativamente ridotta, dove il clima è quello di una foresta tropicale e dove bisogna fiondarsi di gran carriera tra un cambio palco e l’altro, per non restare a seguire il set dalle porte aperte. E se si resta fuori, comunque, non tutto è perduto: il tempo fino al prossimo live vola tra le evoluzioni degli skater, le bancarelle dell’area merch e il piacere di stare anche solo a chiacchierare con gli amici.
A questa celebrazione gioiosa della musica underground e della sua capacità di unire le persone sono mancati, purtroppo i Güerra, colpiti dalla gravissima alluvione che in questi giorni ha devastato l’Emilia Romagna. A loro, alle loro famiglie e a tutte le persone coinvolte da questa tragedia sono andati e vanno tuttora il nostro abbraccio, oltre a quello dell’intero festival.
VENERDÌ 19 MAGGIO
La serata del 19 maggio comincia con una delle grandi consuetudini del Venezia Hardcore Festival: la pioggia. Per fortuna il tempo sarà abbastanza clemente, con rovesci contenuti alternati a lunghe parentesi di cielo coperto. Come accennato nell’intro, gli emiliani GÜERRA hanno dovuto rinunciare a partecipare per occuparsi di questioni enormemente più grandi e urgenti. Saltati per ineludibili difficoltà anche gli ETERNO RITORNO, che avrebbero dovuto esibirsi in coppia coi padovani GREASEBALL: a quest’ultimi, quindi, il compito di aprire il Venezia Hardcore Fest 2023 con il loro beatdown acido, ben rappresentato nell’unico demo che al momento hanno all’attivo.
In pochi minuti l’Open Space si riempie di spettatori, intenzionati a non perdersi neanche un secondo di mosh e headbanging.
Meno di mezz’ora ed è già tempo di correre al Nite Park, per ballare al ritmo della frizzante miscela di punk, rock e funk dei vicentini DIPLOMATICS. La band non si risparmia, lanciandosi tra il pubblico e contorcendosi sul palco, in un crescendo di buonumore che scorre attraverso l’armonica a bocca e batte sui sonagli di un tamburello, seguendo le note dell’ultimo “Is It Time To Fly?”.
Altro giro, altra corsa e siamo di nuovo in Open Space per l’ennesima sterzata stilistica: stavolta è il turno dei ROUGH TOUCH, una delle novità più apprezzate di questa prima giornata del VEHC. Il quartetto di Ferrara, in cui militano Luca Zironi (qui in veste di cantante) e Alessandro Sansone dei Game Over, scarica sul pubblico il suo mix maleducato di crossover e thrash metal, che attualizza in modo convincente le suggestioni degli anni ‘80-’90. Bastano un paio di canzoni, per lo più inedite, perché in platea inizi a turbinare il circle-pit e partano i primi, carichissimi stage diving.
Nemmeno il tempo di concedersi una birra fresca in uno dei punti di ristoro (presenti in ogni settore del Rivolta) che è ora di tornare al Nite Park per uno dei comeback più attesi del festival. Stiamo parlando dei THE END OF SIX THOUSAND YEARS, band protagonista, nei primi Duemila, della scena italiana più swedish-oriented e tornata in questi giorni con un EP dopo quasi un decennio di silenzio. La lunga attesa, però, è lautamente ripagata: i nostri portano in laguna uno show feroce ed emozionante, scolpendo sul solido piedistallo della scuola svedese un bassorilievo che rimanda all’immaginario black e blackened hardcore. La setlist apre sul memorabile “Isolation” per poi inoltrarsi tra le costellazioni che titolano i brani di “Perpetuum” e culminare nei brani della nuova, omonima release. Saranno i primi, ma non gli ultimi, a chiudere la loro esibizione con un pensiero per gli alluvionati dell’Emilia-Romagna, terra di una parte dei componenti della band.
Prendiamo due boccate di aria fresca allontanandoci dalla sala più scura per intrufolarci nuovamente in Open Space dove sono pronti ad esibirsi i bolognesi CAGED. Ancora prima che inizi il loro show, il quartetto vegan/straight-edge hardcore detiene già il primato per il maggior numero di fan che esibiscono fieri il loro merchandise. Passano un paio di minuti, la sala è ancora una volta colma di gente e la temperatura inizia a salire parecchio. I nostri ruotano una serie di brani martellanti, tratti sia da “A Prison Built To Slowly Die”, che dall’EP “Burning Rage Of A Dying Planet”. La loro scaletta trova soluzioni vincenti nei breakdown che fomentano il mosh sotto palco ed il crowd surfing generale. Gli astanti apprezzano decisamente la proposta dei Caged, che culmina in un singalong infinito e con ‘abbracci’ al microfono tra i fan ed il cantante.
A questo punto, raccogliamo le forze per assorbire l’urto gli IMPLORE, che si abbattono sul Nite Park con la mazza del loro death/grind a tinte fosche. La loro performance violentissima non lascia scelta: essere spazzati via dal blast-beat incalzante e dai riff furibondi delle chitarre, o tentare di stare a galla saltando, arrampicandosi sul palco e sulla folla, spingendosi a vicenda nel pogo più selvaggio visto finora in questa edizione. Il cantante Gabriel ‘Gabbo’ Dubko passa una parte considerevole dello show urlando le linee vocali da sopra il pubblico, che lo solleva in crowd surfing quasi fino al soffitto. Il set, partito subito col piede sull’acceleratore in una sequenza di pezzi ‘storici’ tra “Subjugate” e “Depopulation”, dà respiro anche al recente “The Burden Of Existence”, che in sede live risulta ancora più convincente. A fine concerto, sudati, stanchi e visibilmente emozionati, gli Implore si abbracciano dietro il palco: hanno portato a casa quello che con ogni probabilità è lo show più partecipato e travolgente di questa prima serata veneziana.
Nel frattempo, sopra il palco dell’Open Space hanno appena terminato il line check i PLAKKAGGIO. Il collettivo di Colleferro (in provincia di Roma), conosciuto precedentemente come Plakkaggio HC, si presenta sul palco con una formazione a cinque: batteria, due chitarre e due bassi. La band definisce la propria proposta ‘New Wave Of Black Heavy Oi’: è una descrizione efficace, dal momento che i nostri propongono un hardcore oi! fortemente contaminato da ‘cavalcate’ e duelli di assoli che richiamano la scena classica, dai Judas Priest agli Iron Maiden.
La scaletta è composta quasi esclusivamente da brani tratti dalle ultime due release, sparati a un ritmo trascinante e accompagnati da pogo e cori incessanti. “Ziggurath”, “Rivolta”, “Birra In Lattina” e “Missione Disagio” risultano particolarmente apprezzate dai fan ed il culmine dello show arriva con “B.P.D.”, brano colorato da bestemmioni cadenzati (chiaramente approvati dai veneti astanti) che continueranno anche durante la successiva pausa. Il set termina con “I Nostri Anni”, rivisitazione in chiave NWOBHO de “Gli Anni” degli 883, riconducibile allo stile dei 666 (side-project di alcuni membri dei band sul palco).
Dal Nite Park, intanto, arrivano urla femminili su una graffiante base di synth. Sono gli HIDE, cupissimo duo elettronico di Chicago, che più che un concerto mette in scena una vera e propria performance artistica. Fautori di un’electro minimale e gelida, sulla quale la frontwoman Heather Gabel costruisce linee vocali dal sapore mansoniano, gli Hide si esibiscono illuminati solo da due faretti che sparano dei flash stroboscopici di luce bianca (a tale proposito, ci permettiamo di raccomandare attenzione alle persone fotosensibili anche nella visione dei video live). Nel corso del set, Gabel si spoglia del lungo soprabito nero per rivelare una mise punk-sadomaso che la lascia quasi nuda, a sottolineare la fisicità e la provocatorietà della loro proposta. Un’esperienza intensa, ipnotica, che punta a mettere a disagio lo spettatore.
A chiudere la prima serata del Venezia Hardcore Fest 2023 ci pensano gli ARMA X, pronti ad alzare nuovamente il tiro in Open Space. La formazione spagnola mette subito in chiaro le cose con una precisazione: dietro le pelli troviamo il secondo chitarrista, il quale ha imparato la scaletta in tempo record per sostituire il musicista originario, assente per cause di forza maggiore.
Il quartetto di Madrid – pure in questa strana configurazione – parte incazzoso e deciso permettendo al pubblico di picchiarsi nuovamente a tempo di ‘tupa-tupa’. I brani tratti dal nuovo disco “Violento Ritual” hanno un bel tiro ignorante, con qualche rimando crossover/thrash che aiuta a rendere più personale la loro proposta. I locali apprezzano caldamente, tanto da aprire un side-to-side violentissimo e l’intesa con gli spagnoli cresce all’istante. “The stage is yours, this is a junge!”, urlato al microfono prima dell’ennesima raffica di pugnalate porta ad inevitabili salti dal palco e continua sbracciate. L’ultimo tuffo spetta al cantante, estremamente divertito e grato per il feedback dei fan, i quali chiedono con entusiasmo il classico ‘one more song’. Non troveranno positiva risposta purtroppo, ma nonostante ciò abbandoneranno la stanza pienamente soddisfatti per questa prima giornata di festival.
SABATO 20 MAGGIO
Non sono ancora scattate le quattro del pomeriggio quando i JORELIA inaugurano la seconda giornata del Venezia Hardcore Fest 2023. Il giovanissimo quartetto pavese dà il via al giorno due del festival lagunare al suono di un hardcore dalle schiette influenze metal, pescate soprattutto dalla scena americana ‘90-’00 (Korn, su tutti). La performance è sostenuta principalmente dalle accordature basse dell’EP “Me, You, Everyone Else” e dei più recenti singoli, oltre che da una notevole padronanza del palco.
A questo battesimo pienamente riuscito fa seguito il debutto sui palchi del VEHC degli STEGOSAURO, altra nuova formazione della scena. Con all’attivo solo un EP omonimo uscito a marzo, ma già forte di un discreto seguito, la combo emo-math vicentina elettrizza con la sua miscela di ironia e sentimento un Open Space già pienissimo: chi non è entrato da loro fan, ne è quasi sicuramente uscito tale.
Note oscure, intanto, rimbombano dal Nite Park, dove gli IF I DIE TODAY, prossimi all’esibizione, stanno terminando il loro line-check. Il quartetto piemontese colpisce in pieno petto con una scaletta che vede protagonista l’ultimo “The Abyss In Silence”, tra fischi di hardcore caotico e rallentamenti che strizzano l’occhio allo sludge. Il frontman Marco Fresia scende dal palco per urlare tutta la malinconia insita nella propria musica in faccia ai presenti, che fino all’ultimo sostengono la band con una intensa partecipazione tanto emotiva quanto fisica.
Ci facciamo strada in un Rivolta sempre più affollato per raggiungere gli STIGLITZ. Il trio genovese parte subito alla carica con il suo “turbo Oi!”, che anima il pubblico di un Open Space pienissimo fin dai primi accordi. I brani ruotano bene e con facilità, arricchiti da accenni melodici nei riff più catchy: per farvi un’idea, potete recuperare il singolo “Giullare” o l’ultimo EP “Déjà vu”, uscito a dicembre 2022.
Il mood dominante in Nite Park, almeno fino a questo momento, ha a che fare con sonorità più cupe e pesanti. Lo confermano i BLAIR: la proposta della formazione romana è un metalcore di tendenza ultimi anni 2000, tutto groove, tempi storti e breakdown, con l’aggiunta di qualche richiamo ai più attuali Vein.fm. La sensazione è quella da concerto pomeridiano in una palestra del Midwest statunitense: tanti ragazzi giovani e una folla impazzita che si esalta sulle martellate di “…And We Watch Our Lives Slip Away”.
Non si arretra di un millimetro, in termini di cattiveria, con i DA4TH. La band è dal 2008 in forza al CBC, fucina di realtà come Fulci e Face Your Enemy. Non a caso, è proprio insieme a questi due ottimi compagni di collettivo che i Da4th hanno inciso la titletrack del loro ultimo lavoro, “God Bless Evil pt.II”. I quattro trascinano l’Open Space in una mischia squisitamente beatdown, sostenuta da suoni massicci e da una voce poderosa. Se fino a poco fa eravamo nel Midwest, ora siamo da qualche parte tra l’East Coast e la Louisiana.
Ritroviamo le sonorità più ‘core’ del momento con i REGROWTH, direttamente da Cagliari. La formazione sarda suona un hardcore melodico accostabile allo stile dei primi Counterparts e agli Empty Handed, che trova maggior apprezzamento negli astanti grazie ad un paio di breakdown strategici e a qualche coro pulito nei ritornelli. I brani del loro ultimo album “Lungs” e qualche singolo successivo hanno un buona presa sugli spettatori, pronti, dopo l’ennesimo tributo di mosh e crowd surfing, a dirigersi in Open Space per lo show degli STRAIGHT OPPOSITION.
I veterani abruzzesi urlano la loro ‘antifascist hardcore fury’ forte, chiara e rabbiosa, in una scaletta che non lascia un secondo di respiro. Il set è improntato più sui brani del passato che sul recente “Path Of Separation”, cui è comunque affidata l’esplosiva chiusura con “Delusion Of Omnipotence”.
Torniamo quindi in Nite Park, pronti ad assistere allo show degli SLUG GORE. I ragazzi della Romagna stanno riscuotendo un consenso abbondante in giro per lo Stivale, nonostante siano usciti con l’EP di debutto solamente tre mesi fa. Poldo e soci, che per l’occasione indossano delle ignorantissime camicie hawaiane, alternano i brani di “Extraterrestrial Gastropod Mollusc” agli inediti, in un susseguirsi di martellate che culmina in una cover di “Unsilent Death” dei Nails. Nel delirio generale del pubblico spicca la presenza di tanti giovani e lo stage diving di un tizio in completo da cerimonia.
In Open Space, intanto, hanno avviato i motori gli SPEEDWAY. Il quintetto di Stoccolma, nato ad inizio pandemia, è appena entrato a far parte del roster di Revelation Records ed è una delle poche band estere di questa edizione del festival. I pezzi dei due EP, “Paradise” e il self-titled di debutto, offrono uno show dritto e quasi ballabile, all’insegna di un hardcore classico dai vaghi rimandi melodici.
Nel frattempo, l’orario dell’aperitivo sta per terminare. Mentre la gente si mette in coda per l’ennesimo spritz, tra i banchetti delle distro e l’enorme rampa per gli skater viene allestito un piccolo palco a terra, dedicato esclusivamente all’esibizione dei MENAGRAMO. Il duo milanese è l’unica band ad esibirsi nell’ampissimo Hangar del Rivolta, in una situazione inedita che però riscuote fin da subito un discreto successo. Una cinquantina di spettatori partecipa divertita a questo inaspettato show acustico, chi cantando a memoria i pezzi della coppia folk punk, chi battendo le mani, chi solo godendosi la dimensione intima dello spettacolo. Contemporaneamente però, sui due palchi principali, le band non hanno mai smesso di esibirsi.
Infatti, in Nite Park troviamo gli OVERCHARGE, una delle proposte più di area metal tra quelle in cartellone. Il trio, originario di Varese, offre mezz’ora di speed metal dalle sonorità grezze e sporcate di punk (non a caso, proprio “Metalpunx” è il titolo del loro ultimo album, datato 2020). L’attitudine e il sound rimandano ai power trio d’altri tempi, come Mötörhead e Venom: ritmi drittissimi, riff diretti, voce graffiante.
Dopo gli Overcharge, è l’ora di un doppio show, quello di 3ND7R e SILVER. Le band condividono quasi interamente le line-up, formate da componenti storici della scena locale e sezioni fondanti di band come Knightzz, Cioran, Doom Patrol e i sopra citati Rough Touch. La resa di entrambi i set è pressappoco la medesima: i pezzi hanno sezioni decisamente ignoranti (in termini positivi) e rallentate, a cavallo tra beatdown e hardcore mosh, che portano al pogo cavernicolo sotto palco. I Silver propongono un buon set di brani inediti, eseguiti a dovere, per poi, a seguito di un rapidissimo cambio-strumenti, permettere agli altri padovani di eseguire tutti i pezzi di “Solid In A Melting World”. Intanto, sulle gradinate a lato dell’Open Space, incrociamo lo sguardo di un paio di fan che sfoggiano la divisa del Venezia Calcio- probabilmente supporter sfegatati, sia del festival che dello sport.
Cambio di sala e nuovo cambio di tono con i QUERCIA. La band screamo di Cagliari sta raccogliendo parecchi consensi, come testimonia la difficoltà di trovare un buon posto nel pur spazioso ambiente del Nite Park. Il loro show è un bagno di folla e lacrime, alternando le canzoni recenti prese da “Di Tutte Le Cose Che Abbiamo Perso E Che Perderemo”, con le più conosciute, tratte da “Non È Vero Che Non Ho Più L’età”: le chitarre sospingono nell’aria umida melodie cariche di malinconia e pathos, sostenute da una sezione ritmica incalzante quanto basta.
Quest’edizione del Venezia Hardcore Fest offre, a questo punto, un altro reunion show con il ritorno degli ED: il quintetto skatepunk bolognese aveva appeso gli strumenti al chiodo a fine 2015, dopo quasi dodici anni di attività live e una ricca discografia. L’Open Space viene investito in pieno dal ritorno in grande stile dei nostri, che sfoggiano l’abilità tecnica di chi non ha mai veramente smesso di suonare. Il tiro dei brani è pazzesco, a tratti thrashcore; ma è soprattutto l’attitudine della band a lasciare senza fiato i fan sotto palco e le decine di persone che intravedono lo show da fuori, attraverso gli accessi laterali.
È ora il turno degli ØJNE. La band milanese ha recentemente annunciato l’uscita del nuovo disco “Sogno #3”, prevista per il giugno prossimo, e può cavalcare l’onda dell’ottimo show dei colleghi Quercia. Il loro screamo da pioggia e lacrime, incrostato da blast-beat che volano come frecce, viene accolto fin da subito con cori entusiasti sotto (e spesso sopra) il palco. La scaletta praticamente vola via con “Prima Che Tutto Bruci”, tra parti cadenzate, colpi di batteria vertiginosi e aperture più melodiche e cantabili.
Il cerchio screamo si avvia verso la sua conclusione, per la quale ci attende il ritorno dei RAEIN. Senza nulla togliere alle altre ottime performance viste finora, se c’è stato un evento di questa edizione che rimarrà negli annali del VEHC è proprio il live dell’iconica band romagnola, che regala a un pubblico in visibilio una resa live straordinariamente intensa di “Il N’y A Pas De Orchestre”. Sui primi brani, il pubblico canta così forte che non si sente la band, mentre sotto il palco vediamo le persone sbracciarsi per cercare con le mani Andrea Console, che si lascia fagocitare dall’abbraccio dei suoi fan. Qualcuno, nelle prime file, è in lacrime. Per chi era un ragazzino vent’anni fa, quando il disco è uscito, questo è un momento magico. Il live è qualitativamente eccellente, ma quello che lo renderà indimenticabile per chi c’era sono le emozioni condivise in quegli spettacolari quarantacinque minuti. Ci avviamo ormai agli atti finali di questo Venezia Hardcore 2023. La prossima tappa è di nuovo al Nite Park, per il set di un’altra band che si concede col contagocce e che ha scelto, per l’occasione, di suonare per intero il suo album migliore.
I THE SECRET calcano infatti per la seconda volta in carriera il palco del fest veneziano con tutto “Solve Et Coagula”, oltre che con una line-up d’eccezione: alla batteria, infatti, rivediamo il batterista originale Christian Musich (già membro dei Grime). Siamo costretti a spostarci più volte nel corso del set per per trovare un angolo da cui si senta bene – oltre ad un po’ ossigeno in un Nite Park ormai soffocante – ma vale la pena assistere al ritorno della band triestina. L’esibizione è impeccabile e condensa l’altera malignità che contraddistingue la proposta dei The Secret, e offre una sorta di esperienza immersiva nelle sonorità brutali e caotiche del loro full-length del 2010 targato Southern Lord, aggiungendo un paio di extra pregevoli rispetto al programma, “Love Your Enemy” e “Agnus Dei”.
A chiudere lo spettacolo del festival per quanto riguarda il palco Open Space, ci pensano gli HIGH VIS. Il quintetto britannico è una delle band più di ‘tendenza’ nel mondo hardcore punk degli ultimi anni e sono prossimi ad esibirsi oltreoceano a eventi come il Sound And Fury e il Riot Fest. In “No Sense No Feeling”, uscito nel 2019, e nel recente “Blending”, la band ha trovato una quadra vincente tra l’hardcore punk e il pop di casa loro, che conquista anche il pienissimo Open Space.
Stavolta nemmeno correndo riusciamo ad accaparrarci un posto in sala: non ci resta che seguire lo show degli High Vis da fuori, approfittandone per goderci un po’ la temperatura primaverile e per concederci finalmente una birra fresca mentre ascoltiamo “Talk For Hours”.
A chiudere l’edizione 2023 del Venezia Hardcore Fest ci pensano i BONGZILLA, che dal Winsconsin sono sbarcati in Europa per un esteso tour che li ha portati anche al Desert Fest di Berlino. Da una coltre di fumo verde veleno, il trio statunitense ipnotizza il pubblico veneziano con un continuo scambio di brani tra “Weedsconsin”, uscito due anni fa, e la prossima release “Dab City”, disponibile del prossimo mese. Il loro show non è la classica pioggia di riff monolitici, ma un flow tranquillo, quasi una jam session di assoli caldi e riff desertici, impreziositi dal sound unto e ottavizzato che sa di terre desolate. I pezzi rotolano con molta facilità uno dopo l’altro, aggiungendo varie sezioni cadenzate alle psichedelie devianti. Chiudono con “Greenthumb”, tratto da “Gateway”, del 2002, che vede Mike Makela, al basso, protagonista di un’epica fumata ininterrotta senza mai togliere le mani dalle corde. La band rifiuta il bis, ma propone di incontrarsi a fine concerto per condividere insieme chiacchiere più o meno psicotrope. Quale miglior conclusione, per questo Venezia Hardcore?