Report a cura di Edoardo De Nardi
Il Cycle Club di Firenze torna ad essere teatro di nefandezze estreme per l’unico appuntamento italiano del supergruppo angloamericano Venonous Concept, comprendente al suo interno Embury ed Herrera dei Napalm Death e Kevin Sharp e Dan Lilker dei Brutal Truth, ovvero la storia dell’intero genere grindcore sullo stesso palco e nella stessa band. A dodici anni dal distruttivo esordio “Retroactive Abortion” e a ben otto dal successivo “Poisoned Apple”, la celebre crust band torna a calcare i palchi europei in occasione dell’uscita del nuovo “Kick Me Silly – VC III”, portandosi dietro la sua carica sarcastica ed irriverente che fin dal monicker, sorta di scimmiottamento dei seminali Poison Idea, viene ostentata fragorosamente dai cinque musicisti. A variare la portata ci pensano i Suicidal Causticity, nome già sentito all’interno della scena death metal italiana, e gli One Day In Fukushima, assoluta novità, almeno in territorio toscano, e forieri di un assalto grindcore piacevolmente preparatorio al resto della serata. Pochi fronzoli ed ancor meno orpelli quindi, per uno show dove a farla da padrone è stato l’entusiasmo generale ed il sudore speso sul palco dai Venomous Concept e da tutti gli altri…
ONE DAY IN FUKUSHIMA
Questi quattro ragazzi di stanza ad Eboli, Campania, hanno fondato gli ODIF giusto un paio di anni fa e non hanno perso tempo rilasciando in questo breve lasso di tempo, sempre in forma rigorosamente indipendente, qualche demo ed uno split album, sintomo di una “fame” compositiva per niente deprecabile per il genere in questione, un grindcore aggressivo e terremotante dettato da un’urgenza particolarmente sentita dal giovane combo salernitano. Durante il loro set, non mancano infatti roboanti passaggi al fulmicotone dove si esalta la velocità degli strumenti, sempre aggressivi al punto giusto, anche se non viene mai completamente abbandonata – ma anzi esaltata nei pochi momenti di quiete – una vena melodica che lega indissolubilmente le intenzioni del gruppo a quelle dei Nasum e dello swedish grindcore in generale. Più che discreta quindi la prestazione delle chitarre, abbastanza amalgamate nel complesso, mentre un poco assente risulta il ruolo delle quattro corde, non coadiuvate a dovere da una distorsione ed una presenza sonica che si rispetti per cotanta violenza, accompagnate fortunatamente alla sezione ritmica da un drumming forsennato quanto basta, anche se ancora non privo di sbavature nei momenti più caotici e concitati. La simpatica presenza scenica del singer, inoltre, fa da contrappeso ad una prestazione vocale decisamente sul pezzo, capace di tenere filo a ritmiche e riff molto serrati. Nel complesso insomma, l’impatto e l’attitudine degli One Day In Fukushima hanno fatto centro durante l’esibizione, riuscendo a coprire parzialmente l’ancora acerba esperienza dei ragazzi in situazioni di questo tipo: poco male comunque, il palco e la strada sapranno aggiungere alla band quella profondità in più che potrebbe esaltare ulteriormente una proposta di partenza ben promettente.
SUICIDAL CAUSTICITY
Si cambia registro con l’entrata in scena dei Suicidal Causticity, autori un paio di anni fa di un interessante debut album particolarmente gradito su queste nostre stesse pagine. Il tasso tecnico e la preparazione esecutiva raggiungono con la band fiorentina il punto massimo dell’intera serata, ed i quaranta minuti a loro dedicati saranno caratterizzati da un appesantimento generale dei suoni e delle ritmiche, della voce e dei beat batteristici, che spostano le coordinate sonore verso il metal vero e proprio, in questo caso nell’accezione più death-oriented e brutale possibile. Oltre a qualche estratto da “The Spiritual Decline”, eseguito con assoluta dedizione e fedeltà dai cinque toscani, si decide di presentare una quantità considerevole del nuovo materiale che andrà a costituire il secondo full-length album, presentando quindi nel concreto molti inediti nel corso della serata. Nonostante una buona resa delle nuove canzoni, dovuta primariamente alla qualità del songwriting e a scelte in fase di arrangiamento particolarmente fluide e dinamiche, si percepisce talvolta un’eccessiva fatica nel far filare tutto liscio, finendo per deteriorare a tratti la scorrevolezza dei brani e quindi la fruizione da parte del pubblico. Si tratta naturalmente di pochi attimi isolati, ma che risaltano abbastanza se paragonati alle asciutte ed impeccabili prestazioni a cui i Nostri ci hanno abituato in passato; e, anche ‘a causa’ di un impianto audio fedele e di qualità, non viene trasmesso quel senso di compatto annichilimento che il death metal porta con sé quando eseguito a dovere. Precisiamo ancora che abbiamo riscontrato questo calo di intensità solamente in occasione dei nuovi episodi in scaletta, elemento questo che ci lascia pensare che forse i Suicidal Causticity avrebbero fatto meglio a preparare con più calma le nuove composizioni per la sede live, e continuare a proporre quantomeno i loro brani migliori dal vecchio repertorio. Possiamo capire l’eccitazione legata alla presentazione di materiale ancora mai suonato, ma forse un pelo di equilibrio in più avrebbe reso giustizia, come le altre volte, alle indubbie capacità che questa band propone con la sua musica.
VENOMOUS CONCEPT
Il tempo di togliere rapidamente la strumentazione delle band di apertura che i Venomous Concept guadagnano il palco per un fugace check dei suoni prima di partire a rotta di collo: è bene tenere presente che, ad eccezione del nuovo acquisto John Cooke alla chitarra “solista”, visto di recente in forze ai Napalm Death in sostituzione del defezionario Mitch Harris per la data italiana del Deathcrusher Tour, i ragazzi iniziano a contare svariati anni di attività sulle proprie spalle, dispensando ugualmente un’ora abbondante di hardcore grind dagli effetti devastanti. Kevin Sharp è, ancora una volta, il mattatore assoluto della serata: capelli sporchi di qualche settimana, piedi scalzi e microfono in tasca sono il biglietto da visita con cui si presenta al pubblico italiano ad inizio concerto, sprigionando un umorismo contagioso che dilaga di lì a poco in tutto il locale. Un’atmosfera pacifica e distesa, quindi, che non impedisce però di rimanere seriamente coinvolti nelle bordate a dir poco trascinanti che vengono create con una naturalezza disarmante dai semplici riff che compongono le canzoni, dagli stacchi sui piatti un po’ confusionari di Danny Herrera, dalle liriche talvolta deliranti di uno psicotico Sharp al microfono: un’attitudine insomma ostentatamente “no professional”, come sottolineato tra l’altro dagli stessi Venomous Concept tra un pezzo ed un altro, pienamente in linea con la filosofia grind portata avanti da un trentennio, ormai, da Napalm Death e Brutal Truth; ma proprio per questo portatrice di un’energia pura, non inquadrata, che rende ogni singolo momento di musica un’esperienza sincera, meritevole di essere vissuta. La scaletta segue un percorso a ritroso nel tempo, partendo con brani prettamente nuovi sulle prime ed arrivando via via ad omaggiare con diversi estratti anche il primo, ormai fondamentale, “Retroactive Abortion”, uscito all’epoca per la disturbata Ipecac Recordings dell’amico Mike Patton, senza dimenticare per strada anche le hit migliori del secondo disco. Piace constatare come, a differenza di nomi grossi del metal mainstream mondiale, in circuiti estremi underground la presenza di una all-star band come quella vista in questa occasione possa davvero considerarsi ancora come sinonimo indubitabile di qualità musicale, suonata da chi un genere lo ha concepito, realizzato e reso grande in tutto il mondo, ma soprattutto che continua tutt’oggi a nutrirsi di quelle stesse sensazioni forti, intense, che il punk, l’hardcore, il metal ed il grind hanno sempre trasmesso, incarnando sulla propria pelle l’essenza stessa della musica senza compromessi.