A cura di Maurizio “morrizz” Borghi
Foto di Francesco Castaldo
Il giorno dopo il Sonisphere di Roma, Volbeat e Kvelertak passano dal Milano Alfa City Sound, manifestazione che all’interno dell’Ippodromo del galoppo (l’estate 2014 è l’estate degli ippodromi!) raccoglie gli artisti più disparati: in un mese la location ha visto i Linkin Park attirare 30mila paganti, i Motorhead un po’ zoppicanti far discutere sui sopraggiunti limiti d’età e gli ZZ Top giustificare il loro status di leggende viventi. Gli scalmanati Airbourne si uniscono alla festa per portare un po’ del loro rock made in Australia. Un bill variegato ed interessante dunque, anche se la maggior parte degli accorsi è presente per gli headliner e, come vedremo poi, non verrà assolutamente delusa…
KVELERTAK
L’apertura cancelli era prevista per le 18.30 e i norvegesi avrebbero dovuto iniziare alle 19.00, ma per qualche problema tecnico non precisato l’arena resta chiusa fino alle 19.30, momento in cui viene permesso l’ingresso e la band inizia a suonare. Un sound deboluccio e ancora da mettere perfettamente in carreggiata e un palco fuori dimensione per il sestetto, che comunque abbassa la testa e fornisce il solito show senza sbavature. Prediligono giustamente i brani più orecchiabili, per venire incontro alle sonorità rock della serata; per loro sfortuna, però, ora che gli accorsi si son forniti di birra e panozzo, il loro set ha oltrepassato la metà. Una serata che poteva essere decisamente migliore per quello che rimane uno dei gruppi più interessanti degli ultimi anni.
AIRBOURNE
Un cambio palco velocissimo porta sul palco del City Sound, dove i fratelli O’Keeffe e soci inscenano il solito spettacolo a base di AC/DC e Rose Tattoo, dopo l’esilarante intro col tema di Terminator 2. Li osserviamo con occhio distaccato e ci chiediamo se il simpatico Joel si renda conto di come l’interesse sugli Airbourne stia progressivamente svanendo. Bastano pochi brani per capire che non se ne rende minimamente conto: davanti a cento persone o a diecimila, il suo sguardo è sempre divertito (e un po’ tonto) e senza indugiare un secondo esplode in un turbine di energia, come un diavolo della Tasmania, per tutto il tempo a disposizione. Si rivolge al pubblico, fa esplodere un paio di lattine picchiandosele sulla testa, si sente il fottuto re del mondo. Sul prato, però, la reazione è molto tiepida e si ha la netta sensazione che il fenomeno si stia sgonfiando clamorosamente. Una volta perso il sostegno della potente etichetta discografica rimarranno in piedi?
VOLBEAT
Il cambio palco questa volta è decisamente più lungo, mentre a Milano comincia a scurire e a far fresco. C’è una crew molto numerosa al lavoro, e chiacchierando con qualche addetto ai lavori veniamo a conoscenza di come il ritardo all’ingresso sia stato causato proprio dalla messa a punto dello stage show. Ad un certo punto viene alzato un telone per creare suspence, e notiamo come l”outlaw’ mascotte della band abbia la faccia coperta da una bandiera dell’Italia! Dal boato si capisce perché il pubblico, composto anche da numerosi stranieri, ha pagato il prezzo del biglietto. Parte anche la musica di introduzione, si accendono i mega schermi a lato palco e il livello di adrenalina si alza: arrivato al climax, lo sguardo è catapultato in alto da razzi che vengono sparati in cielo e, quando ricascano, una serie di esplosioni in cima alla struttura fanno cadere il telone, per mostrare i danesi alle prese con “Doc Holliday”. Bocche aperte, esaltazione e sgomento mentre Poulsen, divertito, afferra tutti per la collottola e prende il comando della serata. I suoni sono eccellenti, Caggiano è esaltatissimo e la band è ‘on fire’. Ci vuol poco perchè tre giganteschi scudi si alzino sul retro, sputando scintille, creando un gioco di luci super spettacolare che, di pari passo all’impianto luci maiuscolo, ad ogni volto cambia colorazione alla coreografia. Scorrono le varie “Hallelujah Goat”, “Boa [JDM]”, “Lola Montez” e “Sad Man’s Tongue”, del tutto galvanizzanti, quando al cinema si aggiunge anche il fuoco: parliamo di una vera pioggia di fuoco, di quelle che scaldano la faccia a trenta metri dal palco. Una dimostrazione di potenza inaudita dunque, un investimento enorme e uno spettacolo che raramente si vede in un evento di medie dimensioni, categoria dove al momento sono costretti i Volbeat in Italia. Complimenti a Michael e alla chitarra dello sceriffo, perchè oltre a tanto fumo ha dimostrato la straordinaria costanza della band e la determinazione nel puntare sempre più in alto, dove James Hetfield li vuole accompagnare. Arrivare a “Still Counting” senza rendersi conto della lancetta dell’orologio che corre, è la prova della qualità del concerto; ma non c’è da preoccuparsi, perchè gli encore sono belli succosi: “Pool of Booze, Booze, Booza”, “The Hangman’s Body Count”, “Guitar Gangsters & Cadillac Blood” e “The Mirror and the Ripper” allungano la festa e concludono lo show dei Volbeat con gloria, mettendo la ciliegina su una di quelle date che sarà ricordata e per la quale si potrà dire ‘io c’ero’. Niente male per una band che nel 2007 si esibiva al pub ristorante Black Horse di Cermenate (con tutto il rispetto)!