Introduzione a cura di Marco Gallarati
Report a cura di Alessandro Corno e Marco Gallarati
Foto a cura di Bianca Saviane e Giacomo Astorri
Premessa
Wacken Open Air 2010, 21^ edizione: dal 1990 in costante ed inarrestabile crescendo, il festival metal più imponente e famoso del mondo entra nel suo terzo decennio di vita con un evento dalle ormai consuete proporzioni bibliche, quest’anno probabilmente caratterizzato dalla massima affluenza di pubblico mai registrata – non sbaglieremmo a dire che, a prescindere dalle dichiarazioni dell’organizzazione, le presenze siano ammontate tra le 75000 e le 80000 unità – e dalla massima commercializzazione mai raggiunta. Una manifestazione che, per i suoi fan più agguerriti, rappresenta l’essenza di tutto ciò che vive, respira e ruota attorno all’heavy metal, ma anche un happening che, per chi non apprezza troppo le stravaganze di ogni tipo visibili al Wacken, sta lentamente diventando un carnevale fuori da ogni schema, una gigante fiera metallica in cui truppe di lerci zozzoni – in prevalenza, sottolineiamolo, tedeschi – tendono a credere possibile anche l’impossibile e lo schifosamente deprecabile. Noi di Metalitalia.com, da bravi professionisti quali siamo, non ci schieriamo da nessuna parte e semplicemente documentiamo quanto visto in una 4-giorni di immersione metallica a tutto tondo. Eccovi il Wacken 2010!
Viaggio e Sistemazione
Quest anno ce la siamo presa comoda, ebbene sì! Sarà stata la presenza del sottoscritto – esordio totale sui terreni Wackeniani ad una già veneranda età – ma il viaggio di 1200 km in automobile è stato gentilmente allontanato dai progetti di partenza, memori (i reduci) dell’evacuazione del 2009, assolutamente da non ripetere. Siamo così decollati in aeromobile, destinazione Amburgo-Lubecca Airport, nel pomeriggio di mercoledì 4 agosto, mentre la miriade di band in gara per la Metal Battle già stava dandosi battaglia (e cos’altro?) in loco. Bagagli sani e salvi, breve contrattazione per il noleggio di un pullmino da otto posti ed eccoci, assieme agli amici della Vivo Management, presenti in quanto organizzatori della parte italiana della W:O:A Metal Battle, in viaggio per l’ameno paesello germanico a bordo di un mezzo guidato da un tassista in versione Eddie Irvine pre-Ferrari, ergo pericolosissimo! Recupero accrediti svolto abbastanza agevolmente, pioggerella discreta ad accompagnare l’arrivo nel VIP Camping – sì, altra comodità di questo Wacken 2010 grandemente apprezzata da chi scrive nonostante le rimostranze del suo compare – e rapido montaggio tendame ad orario post-cena. Siamo a posto, il Wacken ora può davvero cominciare!
Organizzazione e Palchi
L’organizzazione di un festival come Wacken ha raggiunto ormai livelli di perfezione altissimi. Tralasciando alcune piccole mancanze e possibili miglioramenti che è normale siano presenti in un evento di siffatte dimensioni, tutto quanto pare girare in modo ideale: sia gli aspetti fondamentali – cibo, bevande, igiene e sanità – sia la cura dei particolari – l’illuminazione notturna, le insegne dei ristoratori firmate – trasudano esperienza e “saperci fare” da ogni poro e, per quanto ci si renda conto di non essere nel posto ideale per farsi una vacanza tranquilla, l’atmosfera che abita Wacken è a tratti contagiosa, sempre festaiola e irriverente quanto basta. I palchi dell’edizione 2010 – intendiamo i palchi adibiti alla musica seria – sono stati cinque: True Metal Stage e Black Metal Stage, al solito uno affiancato all’altro con il Wacckone infuocato di Wacken posto in mezzo e con ben tre maxischermi assolutamente utili e necessari; Party Stage, più piccolo e più isolato alla destra del True Metal Stage; W.E.T. Stage, l’ormai classico tendone emanante tanfo, calore e umidità dove vengono relegate – ahinoi – le formazioni meno degne e dove si sono esibiti i gruppi partecipanti alla Metal Battle; e infine il Wackinger Stage, un piccolo palco montato all’interno del Wackinger Village, sul quale hanno avuto luogo concerti di band prevalentemente pagan e folk metal.
L’Intrattenimento
Sempre più importante e parte fondamentale dell’esperienza Wacken sembra essere diventato il contorno extra-musicale, quell’insieme di attività che il metallaro tedesco soprattutto, ma anche il metallaro sui generis proveniente da ogni dove, reputa divertenti e corroboranti, più che altro quando completamente annebbiato e rimbambito dagli ettolitri di birra ingurgitata: e quindi si va alla grande con la Bullhead City, con i concorsi per la T-shirt bagnata e la lotta femminile nel fango; con il già citato Wackinger Village, ampio accampamento in stile vichingo nel quale si possono provare un po’ tutte le attività risalenti all’epoca, fra cui anche un entusiasmante bagno promiscuo in tinozza tutti vestiti e infangati…; e poi l’enorme Beergarden, recinto a tavoli per animali a due zampe, dotato anche di palco dove far giostrare maestri della baldanza alcolica quali l’esecrabile Mambo Kurt, i pensionabili W:O:A Firefighters e le utilissime Hells Belles. Non dimentichiamo ovviamente il cosiddetto Moviefield, un’area dedicata alla proiezione di materiale metallico, nella quale quest’anno ha trovato posto – e qui siamo assolutamente seri – un tributo a Ronnie James Dio, il cui spettro ha aleggiato su Wacken (o Uochen, come la vedova Dio si ostina a chiamare il festival) ad ogni ora. Insomma, un vero e proprio luna park per metalheads!
La Musica
Eh sì, non temete: a Wacken c’è ancora della buona musica! Lasciati scemare nel corso degli anni gli istinti black e death – se non per show particolari o apparizioni qua e là, comunque in misura minore rispetto ad altri generi – il festival è ormai nettamente tendente al classico e più che altro al richiamo delle grandi masse attraverso i grandi nomi. Ma è giusto così, dovendo alimentare una struttura divenuta nel tempo di certo sempre più complessa e costosa. Ampissima dimostrazione la danno i tre superbig chiamati a presenziare nella giornata di giovedì: Alice Cooper, Motley Crue e Iron Maiden, in scaletta uno dietro l’altro, è davvero raro vederli assieme, se pensate che stiamo comunque parlando di un evento fino a 4-5 anni fa di stampo molto più underground. Tre veri pezzi di Storia dell’hard rock/heavy metal da far luccicare gli occhi! E se a reggere un po’ il peso di questo terzetto da spavento ci hanno pensato gli immarcescibili Slayer e Udo Dirkschneider, ecco invece Fear Factory, Soulfly, Grave Digger (e l’esecuzione per intero del loro storico “Tunes Of War”), Edguy, W.A.S.P., Candlemass ed Immortal fungere un semplice ruolo da attori comprimari. Un bill comunque sostanzioso e piuttosto vario ha contornato il Wacken 2010, anche se un piccolo appunto ce lo permettiamo riguardo la Metal Battle, per chi scrive troppo lunga ed ingombrante, considerato che è iniziata il mercoledì alle 12.50 ed è terminata il giovedì alle 19.55, uno sproposito! Suoni potentissimi e anche fin troppo assordanti sono risuonati dai palchi del festival, in un’orgia di musica che sicuramente avrà fatto esaltare almeno una volta ogni singolo presente!
No circle-pits, no wall-of-death!
E veniamo all’argomento-clou dell’edizione di Wacken da poco terminata: il divieto assoluto, più volte ripetuto e richiesto da parte degli organizzatori, anche con avvertimenti proiettati sui maxischermo, di mettere in scena il rischioso bailamme dei circle-pits (il vorticoso rincorrersi in cerchio in occasione dei pezzi più veloci) e dei wall-of-death (il dividersi della folla in due tronconi per poi scontrarsi a centro pit quando il brano deflagra in tutta la sua violenza). A quanto pare, durante l’edizione 2009, il numero di infortuni è stato parecchio elevato ed in seguito alle riunioni tenutesi tra l’organizzazione, i rappresentanti della città e delle forze di sicurezza e assistenza, il comune accordo è stato quello di vietare le due pratiche, lasciando invece spazio al mosh vecchio stile e al crowd surfing. E’ incontrovertibile che l’uso che i tedeschi fanno di queste pratiche è davvero ad alto rischio, così come è vero che in ogni secondo si rischia l’osso del collo una volta presi nella bolgia, ma non ci siamo potuti esimere dal sorridere quando abbiamo sentito in diretta per la prima volta l’annuncio: un po’ come se il Papa invitasse i fedeli a non pregare… Per l’anno prossimo, vi state chiedendo? Pare che la voce di noi massa metallara si potrà sentire tramite il Forum ufficiale del Wacken, nel quale già da ora possono venire inoltrate argomentazioni serie contro o a favore di circle-pits e wall-of-death, sperando che nei futuri incontri organizzativi le decisioni di quest’anno possano cambiare. Anche perchè tenere a bada migliaia di metallari invasati, con magari il frontman di turno a gasarli (vero, Max Cavalera?), è impresa alquanto ardua…
Tirando le somme
E dunque, anche il Wacken 2010 è terminato. E fa specie ed è significativo come già siano andati a ruba i pacchetti speciali dei biglietti per il Wacken 2011, ad appena due giorni dalla chiusura dell’evento che ancora si può definire attuale e con il solo annuncio di un sedicesimo del prossimo bill. Ciò la dice lunga sulla maestosità raggiunta da questo happening, in cui purtroppo la musica è destinata a passare quasi in secondo piano ed il divertimento extra a venir sempre più considerato. Una manna per alcuni, tristezza e delusione per altri. Noi speriamo che il sentimento di passione e fede metallica che si percepisce e tasta in questi pochi giorni di puro e globale heavy metal riesca a persistere nel tempo, perché alla fine, volenti o nolenti, il W:O:A è una parte importante del nostro universo e va conservato come un gioiello prezioso.
E ora, finalmente, i trafiletti dedicati alle esibizioni che i vostri due inviati hanno seguito saltabeccando da un palco all’altro…
(Marco Gallarati)
MOTLEY CRUE
Kickstart my Heart
Wild Side
Shout At The Devil
Saints Of Los Angeles
Looks That Kill
Live Wire
Don’t Go Away Mad (Just Go Away)
Same Ol’ Situation (S.O.S.)
Mutherfucker of the Year
Ten Seconds To Love
Primal Scream
Dr. Feelgood
Girls, Girls, Girls
IRON MAIDEN
Il Sole è già tramontato quando dalle amplificazioni esce “Doctor Doctor” degli U.F.O e gli headliner degli headliner di questo Wacken 2010 si apprestano ad entrare in scena. La folla di oltre settantamila presenti riempie ogni angolo della platea e attende impaziente l’ingresso di Steve Harris e soci, intonando a più riprese il classico “Maiden, Maiden!!!”. Dopo una intro sinfonica, finalmente il riff di “The Wicker Man” spezza la tensione, le luci si accendono, rivelando una scenografia futuristica in linea con l’imminente nuovo album “The Final Frontier”, e lo show ha inizio. L’attitudine e il look della band sono sempre gli stessi e solo Dave Murray appare piuttosto invecchiato e sovrappeso. Il resto è come da copione, con il solito Steve Harris nelle sue tipiche movenze, Janick Gers che non sta fermo un secondo, Adrian Smith che macina riff nella sua tranquillità, Nicko sommerso dai piatti del suo drumkit e Bruce che corre a destra e sinistra come se avesse vent’anni. Il cantante però, dal punto di vista vocale, questa sera non è al top della forma e soprattutto nei primi brani tende a ‘sparire’ sugli alti. Il susseguirsi di “Ghost Of Navigator”, “Wrathchild” e la nuova “El Dorado”, dal vivo più efficace che nella versione da studio complici anche dei suoni perfetti, rende da subito evidente che ci attende la già nota scaletta standard del tour, infarcita di molti brani recenti e con pochi classici. Ecco dunque l’ottima “Dance Of Death”, la meno brillante “The Reincarnation Of Benjamin Breeg”, “These Colours Don’t Run” e una toccante “Blood Brothers”, che Bruce dedica allo scomparso Ronnie James Dio. Sul fondo del palco si susseguono i tipici sfondi con l’artwork dei rispettivi album e “Wildest Dreams”, “No More Lies” e “Brave New World” concludono la lunga carrellata di brani estratti dall’era post-reunion. La folla, che fino ad ora aveva partecipato con relativa calma, esplode all’attacco di “Fear Of The Dark”, con il classico crowd-surfing che imperversa nelle prime file. C’è poco da fare, la gente vuole i classici e quando vengono proposti la reazione è decisamente diversa e molto più entusiastica, come sull’immancabile “Iron Maiden”, dove fa il suo ingresso un Eddie in versione aliena. Dickinson, la cui voce nel corso dello show è andata migliorando, pur non raggiungendo l’eccellenza vista in altre occasioni, prosegue nella sua maratona da un lato all’altro del palco e solo la pausa prima di “The Number Of The Beast” riesce a fermarlo. Si va verso la fine con l’acclamatissima “Hallowed Be Thy Name”, a cui segue la chiusura di “Running Free” sulla quale Bruce, tra gli applausi, ricorda ai presenti la data di pubblicazione del nuovo album, ennesimo capitolo di una lunga storia che appassiona milioni di fan in tutto il mondo.
(Alessandro Corno)
The Wicker Man
Ghost Of Navigator
Wrathchild
El Dorado
Dance Of Death
The Reincanation Of Benjamin Breeg
These Colours Don’t Run
Blood Brothers
Wildest Dreams
No More Lies
Brave New World
Fear Of The Dark
Iron Maiden
The Number Of The Beast
Hallowed Be Thy Name
Running Free
GHOST BRIGADE
Nell’area dei palchi grandi la folla si ammassa per assistere allo show dei Motley Crue, per cui non stupisce se al W.E.T. Stage, finalmente esauritasi la pletora di band della Metal Battle, siamo in pochini a gustarci il concerto dei finlandesi Ghost Brigade, formazione con all’attivo due album di ottima fattura – “Guided By Fire” del 2007 e “Isolation Songs” del 2009. Sempre a cavallo tra riflessive e decadenti sezioni acustiche dal mood Anathema e fluide esplosioni groovy che ricordano spesso i Katatonia della seconda parte di carriera, i ragazzi di Helsinki forniscono una prova non esaltante ma comunque convincente, trainata dalla dolce violenza di brani quali “My Heart Is A Tomb” e “Into The Black Light”. Ma sono la turbolenta “Suffocated” e la commovente “Secrets Of The Earth” a divenire gli apici del concerto, con un Manne Ikonen ottimamente ispirato e bravo ad interpretare i diversi pattern del suo gruppo. La vecchia “Rails At The River” pone fine ai Ghost Brigade, visti meglio al Summer Breeze dell’anno scorso, ma certo promossi anche a questo giro. Se potete, non perderteli con Amorphis e Orphaned Land a Bologna il prossimo novembre.
(Marco Gallarati)
GOJIRA
Manca poco alle 23 in punto e gli Iron Maiden sono nella fase conclusiva del loro roboante spettacolo. Incappucciato nella sua felpa, il sottoscritto segue, dalla notevole distanza di 20 anni-luce dal True Metal Stage, con un occhio (e con entrambe le orecchie, considerati i volumi) la Vergine di Ferro e con l’altro occhio i preparativi per il set della French Sensation per eccellenza, i Gojira, nel W.E.T. Stage. Joe Duplantier e soci sono accompagnati a Wacken da una nutrita schiera di loro connazionali e probabilmente è per questo che la setlist proposta dal gruppo si rivela un po’ povera di brani recenti e ben equilibrata fra materiale vecchio, compresi pezzi tratti da “Terra Incognita” e “The Link”, e nuovo, per il quale sono assolutamente da segnalare la schiacciasassi “Backbone”, “The Heaviest Matter Of The Universe” e “The Art Of Dying”. Non ci avrebbe fatto schifo ascoltare un capolavoro quale “Oroborus”, ma per questa volta è andata male. Ottima partecipazione del pubblico, che anche nelle posizioni più centrali si è dimenato a più non posso, dondolato e frustato dalla particolare essenza del chitarrismo dei Gojira. Mario Duplantier alle pelli non ha potuto fare a meno di cimentarsi in un breve assolo, ma gli attimi di calma e relax sono stati veramente rari durante uno degli spettacoli migliori e più intensi visti al Wacken 2010, almeno da chi scrive. Ed è dunque ora di chiudere la serata andando a vedere al Moviefield quale tributo a Ronnie James Dio gli organizzatori hanno preparato…
(Marco Gallarati)
AMORPHIS
Dopo una colazione a ciambelle e succo d’arancia e il prologhino dei Dew-Scented, eccoci sotto il True Metal Stage per gli Amorphis, da poco fuori con il DVD “Forging The Land Of Thousand Lakes”. Da quando alla voce c’è Tomi Joutsen, è difficile che lo storico combo finnico sbagli un colpo dal vivo, sia sotto il profilo della prestazione tecnica, sia sotto quello della presenza scenica, vista la verve che l’ormai navigato frontman mette on stage. Si parte con un lotto di composizioni recenti, “Silver Bride”, “Sky Is Mine” e “Towards And Against”, e soprattutto grazie al pezzo d’apertura la platea del Wacken è mezza adorante. I fan degli Amorphis recenti superano di numero quelli che conoscono il vecchio repertorio e ce ne accorgiamo bene quando la band esegue “The Castaway”, tratta dal seminale “Tales From The Thousand Lakes”: un po’ troppo pochi danno segno di riconoscerla. Con la pacata e tranquilla attitudine che li contraddistingue – Tomi Koivusaari sembra come al solito più freddo e distante di un iceberg – i cinque strumentisti affidano completamente a Joutsen l’interazione col pubblico, con i soli Holopainen e Kallio a dispensare sorrisi ogni tanto. “Against Widows” fa decollare il concerto, che con due pezzi più che orecchiabili quali “From The Heaven Of My Heart” e “House Of Sleep” raggiunge i picchi di gradimento. Ma il finale è tutto per i die-hard fan e, con massimo godimento, anche tutto per il sottoscritto: una di seguito all’altra, “Black Winter Day” e “My Kantele” (con tanto di ripresa acustica come outro) sono stati la chiusura perfetta e immacolata. Passano gli anni, ma gli Amorphis si rivedono sempre volentieri!
(Marco Gallarati)
Sky Is Mine
Towards And Against
The Castaway
Alone
Against Widows
From The Heaven Of My Heart
The Smoke
House Of Sleep
Black Winter Day
My Kantele
Call Of The Wild
Black Rain
Power And The Glory
Of The Son And The Father
Evil Is Forever
Time To Rock
Cloudbreaker
THE OTHER
Avendo da poco recensito il loro nuovo album “New Blood”, decidiamo di dare uno sguardo anche ai The Other. Con nostra sorpresa, visto il taglio piuttosto commerciale della band tedesca, sotto al polveroso Wet Stage non troviamo che un manipolo di fan. Il gruppo, contornato da una scenografia che richiama una cattedrale gotica, inizia con l’accoppiata “New Blood”/”Back To The Cemetery”, dall’ultimo lavoro, e presto palesa i suoi pregi e i suoi difetti. Se da un lato i brani, con il loro taglio punk-metal, sono divertenti e diretti, dall’altro non si può certo dire che i musicisti siano granchè dotati in quanto a tecnica e precisione. Anche il cantante, rigorosamente in tenuta nera piuttosto dark e con il suo ciuffo laccato, non va oltre al classico ‘senza infamia nè lode’, cadendo tra l’altro nel fastidioso vizio di parlare solo ed esclusivamente in tedesco in un festival oggi più che mai internazionale. Col passare dei minuti e dei pezzi, tra cui citiamo “Der Tod Steht Dir Gut”, un’acclamata e trascinante “Beware Of Ghouls” e il semi-lento “The Lovesick Mind”, il numero di persone sotto al tendone del Wet Stage aumenta e anche il sostegno al gruppo si rafforza. La chiusura con “Transylvania” e “Blood Runs Cold” ci lascia il ricordo di una band sufficiente, che ha svolto discretamente il suo compito trovandosi però fuori contesto rispetto alle sonorità che vanno per la maggiore al Wacken Open Air.
(Alessandro Corno)
SETLIST
New Blood
Back In The Cemetury
Der Tod Steht Dir Gut
Lover’s Lane
Beware of Ghouls
In the Dead of Night
Hier Kommt Die Dunkelheit
The Lovesick Mind
Transylvania/Blood Runs Cold
ENDSTILLE
Dopo aver trascorso il pieno pomeriggio al riparo dal Sole e vagando da un palco all’altro alla ricerca di qualcosa di interessante da vedere, capitiamo in orario 90° Minuto al Black Stage, dove stanno per salire sul palco gli Endstille, una delle formazioni black più amate in assoluto dai tedeschi. Abbiamo infatti ancora negli occhi la quantità smisurata di magliette della band viste due anni fa al Summer Breeze: a Wacken la situazione è meno tragica, anche perché qui il pubblico è sicuramente di un target più commerciale e quindi meno interessato alla Musica della Fiamma Nera. Il palco sul quale si esibiscono Cruor e compagni, fra i quali riusciamo ad apprezzare il nuovo cantante Zingultus, è attrezzato a trincea, con tanto di basse palizzate avvolte da filo spinato, per meglio ambientare il war black metal parossistico ed ossessivo che gli Endstille mettono sul piatto…o meglio, sul campo da guerra. Non vanno sempre alla velocità della luce però, questi tedeschi, ed esempio ne è il brano “Depressive/Abstract/Banished/Despised”, alquanto ‘pacato’ nel suo evolversi. Gli Endstille ci sanno fare: sono teutonici e quindi non hanno quell’aura particolarmente malvagia e sinistra di parecchi loro colleghi scandinavi, però hanno dalla loro la proverbiale testardaggine germanica, che li porta a spingere come indiavolati sul pedale dell’acceleratore. La setlist ha il suo punto più elevato – certo non nel nome del Signore – quando per gli ultimi due brani viene invitato on stage anche Lugubrem, screamer che prese il posto di Iblis prima dell’entrata in pianta stabile di Zingultus: ebbene, con la presenza di Lugubrem, lo show compie un notevole salto di qualità, in quanto dapprima il bianco-nero pittato si versa addosso un bottiglione di sciroppo d’acero (o ciliegia che fosse) impiastricciandosi per bene, e poi, con grande dimestichezza, si autolesiona la lingua per tre volte ferendosi con un coltello, per poi sputacchiare sangue sul microfono ad ogni successivo strillo. Se sia stato un trucco non ci è dato saperlo, fatto è che dai maxischermo è sembrato tutto molto true. True black metal, ovviamente!!
(Marco Gallarati)
Feindfahrt
Endstilles Reich
…Of Disorder
Depressive/Abstract/Banished/Despised
Conquest Is Atheism
Unburied In The Sun
Bastard
When Katharina Falls
Biblist Burner
Dominanz
Fruhlingserwachen
Dominanz (reprise)
EVILE
Gli Evile sono tra i gruppi emergenti di cui più si è parlato negli ultimi tempi, sia per il brillante esordio “Enter The Grave” che per la precoce scomparsa del bassista Mike Alexander. Non ci stupiamo dunque se alle sei e mezza del pomeriggio il tendone del Wet Stage sia stracolmo di gente, al punto che c’è da farsi largo a fatica per entrare. I thrasher inglesi attaccano con la titletrack dell’ultimo, e a parere di chi scrive piuttosto scarso, “Infected Nations”. Ottima la risposta del pubblico che si lancia in un pogo forsennato, sollevando una polvere tale che a tratti si fatica a vedere la band. Nulla ad ogni modo se paragonato allo scompiglio che genera l’acclamatissima “Thrasher”. Non siamo su uno dei palchi principali, ma il suono è discreto, complice anche una prestazione precisa e anche più convincente di quella vista nel 2008 di spalla ai Megadeth, sopattutto vocalmente e in fatto di precisione del riffing. Tocca quindi alle più scialbe e sicuramente meno trascinanti “Time No More”, sulla quale Matt ricorda il defunto bassista, e “Metamorphosis”. Non a caso, entrambi i brani sono estratti da “Infected Nations” e l’impressione è che anche dal vivo i pezzi presenti su questo disco siano piuttosto noiosi e fatichino a coinvolgere l’audience. La prova arriva alla fine di questa mezz’ora di show con la platea che torna ad agitarsi, cantare ed applaudire sulle note di “Enter The Grave”. Alti e bassi, dunque, non come performance ma a causa dei brani proposti. Certo è che a questo gruppo non mancano i numeri e il seguito per fare molto bene. Speriamo nel terzo e atteso lavoro.
(Alessandro Corno)
Infected Nations
Thrasher
Time No More
Metamorphosis
Enter The Grave
ARCH ENEMY
Tocca agli Arch Enemy di Michael Amott e Sua Carinità Angela Gossow introdurre il gran finale del penultimo giorno del Wacken 2010: la band, da qualche anno a questa parte, non sembra più riscuotere l’apprezzamento di un tempo, anche se la scelta di rimpiazzare Johan Liiva con la Gossow, a lungo andare, si può dire che abbia dato i suoi frutti, soprattutto a livello commerciale, molto meno sotto il profilo della qualità interpretativa. E anche on stage, nonostante la folla sia acclamante ed assolutamente ben disposta, la band al 60% svedese non riesce a convincere appieno, trascinandosi un po’ sciapita in una setlist ben eseguita ma a larghi tratti noiosa ed insipida. La Gossow, spiace sottolinearlo per l’ennesima volta, pur sfoderando una grande presenza scenica, dal vivo proprio non ce la fa…o comunque si barcamena con la grinta e l’ormai accumulata esperienza. “Ravenous”, “We Will Rise” e “Dead Eyes See No Future” sono i pezzi che più abbiamo apprezzato, anche se, in tutta sincerità, nel mentre ascoltavamo la massima libidine ci era fornita da un kebab d’altri tempi! Sempre troppo in disparte il fratellino Christopher e l’ottimo Sharlee D’Angelo, per una formazione che si sta adagiando su allori neanche troppo meritati. Ma, come detto, il pubblico è dalla loro e dunque applausi agli Arch Enemy.
(Marco Gallarati)
SETLIST
The Immortal
Revolution Begins
Ravenous
Taking Back My Soul
My Apocalypse
Dead Eyes See No Future
Dead Bury Their Dead
We Will Rise
Nemesis
Fields Of Desolation