02/08/2012 - WACKEN OPEN AIR 2012 @ Wacken - Wacken (Germania)

Pubblicato il 30/09/2012 da

Introduzione a cura di Alessandro Corno
Report a cura di Matteo Cereda, Alessandro Corno e Claudia Panciroli
Foto a cura di Wacken Open Air e Alessandro Corno

Ogni anno la Germania ospita alcuni tra i festival musicali più importanti del mondo e sicuramente il Wacken Open Air può essere considerato un punto di riferimento per la scena metal. Con le sue 75.000 presenze e una serie infinita di attrattive è praticamente il festival (prettamente) metal per eccellenza. Un’organizzazione mastodontica che nel corso degli anni ha saputo ingrandire progressivamente non solo lo spazio dedicato all’evento, ma anche la varietà della propria offerta. Il Wacken Open Air dei giorni nostri è dunque una vera e propria immensa macchina sempre meno underground e sempre più incentrata sui concerti delle band metal più in voga e che, accanto all’aspetto musicale, affianca una serie infinita di attività. Giungendo a Wacken dall’Italia tramite auto o aereo, si rimane a dir poco a bocca aperta nel vedere la cura maniacale dei dettagli e delle procedure. Indicazioni stradali, percorsi, bancarelle, gazebo della sicurezza, eccetera… Pure l’acquedotto, tutto ormai è marchiato con il logo ‘W:O:A’, tutto è perfettamente montato, illuminato e mantenuto in ordine. Varcando la soglia dei campeggi, si viene indirizzati alla propria area da personale apposito e il tutto è supervisionato da un imponente servizio di forze dell’ordine. Una volta montate le tende, nel nostro caso nell’area riservata alla stampa – ma chi scrive è stato anche nell’area del pubblico – ci si trova a familiarizzare con fan di tutto il mondo. Gli stereo sparati a tutto volume, i rumori dei generatori, le bevute di gruppo, le grigliate, le gare a chi monta la struttura o la simil-tenda più bizzarra, i mezzi di trasporto più assurdi, gente in costume da carnevale, fan che scorrazzano ubriachi inciampando nei picchetti delle tende… questo e molto altro offrono un esempio di che atmosfera si respiri nei grandi campeggi del Wacken Open Air, da molti giustamente considerati il vero aspetto divertente del festival. C’è poi, come detto, la lunga serie di divertimenti e attrattive su cui un fan può fare affidamento nei momenti precedenti l’apertura della grande arena concerti oppure quando non ci sono band di proprio gradimento. In questo senso l’edizione 2012 ha segnato il picco massimo, in quanto, al già noto e sempre presente Beergarden con il suo palchetto, al Metal Market ormai di dimensioni di un mercato cittadino e all’area vichinga ulteriormente arricchita di stand con articoli medievali e combattimenti tra guerrieri, ha trovato posto anche un campo denominato Thrash Of The Titans, dove hanno avuto luogo mostre di macchine in stile post-apocalittico alla Mad Max e spettacoli col fuoco. Poi, una scelta incredibile in quanto a stand gastronomici con cucine di diverse nazionalità, un supermercatino di generi alimentari e bevande a prezzi ridotti rispetto a quanto in vendita nel resto del festival, e angoli bar dove poter fare colazione. Le docce e i servizi igienici ormai son discretamente dimensionati e puliti, anche se le code epiche del mattino continuano a permanere. Tutto questo all’esterno dell’arena concerti, anzi, per la precisione, dellE arene concerti. Già, perchè uno dei grossi miglioramenti del Wacken 2012, rispetto agli anni precedenti, è stata la presenza di una seconda grande arena, coperta da una delle tende mobili più grandi del mondo, che ha ospitato due palchi, Headbanger Stage e W.E.T. Stage, dedicati alle band minori o di culto e al concorso per band emergenti Metal Battle, a cui l’Italia quest’anno non ha partecipato, e un ring su cui si son svolti incontri di wrestling. L’arena principale invece ha ospitato come sempre i grandi palchi, denominati True Metal Stage e Black Stage, e il più piccolo Party Stage, oltre ad un’altra serie di stand di cibi vari, CD e merchandising. Un evento dunque enorme, che ha però dovuto fare i conti con le peggiori condizioni meteo mai trovate a Wacken da chi scrive, in tredici anni di trasferta. Fortissimi temporali hanno messo a dura prova concerti, pubblico, campeggi e strutture. Se dal punto di vista puramente tecnico, non si è spenta nemmeno una lampadina, da quello della vivibilità è stato una vero e proprio disastro. Il fango e l’acqua hanno reso estremamente difficoltoso muoversi per i grandi spazi del festival, uscire con le macchine a fine evento, e gli acquazzoni hanno spesso colto alla sprovvista i fan appostati di fronte ai palchi, mettendone a dura prova la resistenza fisica soprattutto nelle ore notturne. E qui arriva la prima vera critica che in anni ci sentiamo di rivolgere ad un’organizzazione che in altre occasioni, sebbene meno drammatiche, ha saputo ovviare al problema, rimuovendo il fango con le ruspe o spargendo paglia. Sarà stato per via di una condizione troppo estrema per mettere in atto alcun tipo di contromisura o forse una non adeguata valutazione della situazione? Difficile dirlo, sebbene l’impressione sia stata quella di un servizio impeccabile sotto la maggior parte degli aspetti, ma carente nel contrastare la difficile situazione meteo. Di responsabilità dell’organizzazione non si può invece certo parlare per quanto riguarda la scomparsa di un ragazzo, deceduto nella propria tenda per intossicazione causata dai gas di scarico del suo generatore. Una tragica fatalità o un errore umano pagato a caro prezzo. Ma il Wacken Open Air è soprattutto musica e, come ogni anno, i concerti hanno lasciato i loro segni indelebili nei ricordi dei fan. A voi quindi il resoconto di tutti gli show a cui noi di Metalitalia.com abbiamo potuto assistere.

 

GIOVEDI’ 2 AGOSTO

 

SEPULTURA – Black Stage – 17:30-18:45

Dopo lo show tributo degli Skyline e il concerto-cabaret del comico Jim Breuer, si incomincia a fare sul serio con i Sepultura, band che, a dispetto delle dipartite eccellenti dei fratelli Cavalera, continua a riscuotere un discreto successo, almeno a giudicare dal buon numero di fan che occupano l’arena per godersi lo spettacolo. La band brasiliana aveva suonato anche nella precedente edizione del festival, ma questa volta lo spettacolo viene alimentato dalla presenza dei Les Tambours Du Bronx, band transalpina di soli percussionisti costituita da sedici elementi. Il cospicuo gruppo francese, grazie al notevole input ritmico, valorizza al meglio le composizioni dei Sepultura, rendendo efficaci un classico del calibro di “Refuse/Resist” e la più recente “Sepulnation”. Dopo il botto iniziale lo show si spegne, allorchè la band brasiliana, senza il supporto dei colleghi francesi, esegue alcune composizioni dell’ultim’ora quali “Kairos”, “Mask” e “Dialog”, che oltre ad evidenziare la pochezza compositiva, sottolineano oltremodo il precario stato di forma del singer Derrick Green. Con l’esecuzione dei classici intramontabili – parliamo delle indimenticate “Territory”, “Ratamahatta” e “Roots Bloody Roots” – il pubblico fomentato dalla rinnovata spinta dei sedici percussionisti torna ad entusiasmarsi, nonostante le parti vocali continuino ad essere zoppicanti. Da bollino rosso invece la cover dei Prodigy, “Firestarter”, apparsa decisamente scarica. In sostanza, quello dei Sepultura è parso uno spettacolo dai due volti, interessante ma non impeccabile nell’interazione tra il gruppo brasiliano e i percussionisti Les Tambours Du Bronx, e senza mordente nei pezzi eseguiti dalla sola band.
(Matteo Cereda)

Setlist
Mixture (Les Tambours du Bronx cover)
Refuse/Resist (con Les Tambours du Bronx)
Sepulnation (con Les Tambours du Bronx)
Kairos
Mask
Dialog
We’ve Lost You (con Les Tambours du Bronx)
Structure Violence (Azzes) (con Les Tambours du Bronx)
Requiem (Les Tambours du Bronx cover)
Fever (Les Tambours du Bronx cover)
Firestarter (The Prodigy cover con Les Tambours du Bronx)
Territory (con Les Tambours du Bronx)
Ratamahatta (con Les Tambours du Bronx)
Roots Bloody Roots (con Les Tambours du Bronx)

 

U.D.O. – True Metal Stage – 19:00-20:45

Dopo l’esibizione non molto convincente dei Sepultura, tocca agli U.D.O. dare ai presenti una buona dose di metal classico e omaggiare una delle icone del metal tedesco. Oggi, infatti, la band degli ex-Accept Udo Dirkschneider e Stefan Kaufmann festeggia il sessantesimo anniversario del suo piccolo cantante e ha preparato per l’occasione uno show speciale con vari ospiti. In setlist ovviamente sia brani dell’era U.D.O., come le iniziali “Rev Raptor” e “Thunderball”, sia del glorioso periodo Accept, da cui verranno proposti diversi classici. La band inizialmente dà l’impressione di partire un po’ troppo fredda e le chitarre non sembrano così precise come in altre occasioni. È come al solito Udo a tenere banco con le sue indiscutibili doti di frontman e una buona prestazione vocale, che non risente più di tanto delle sessanta candeline che oggi spegne. Il gruppo predilige i midtempo e purtroppo lascia da parte i brani più tirati ed energici. Così pezzi monolitici come “Leatherhead” o “Vendetta” vengono inframezzati da brani immortali degli Accept quali “Screamin’ For A Love Bite” e “Princess Of The Dawn”. La prima ospite a salire sul palco è Doro Pesch, per un duetto su “Dancing With An Angel”, dove a dire il vero l’accostamento tra la voce pulita della bionda metal queen e quella più roca di Udo pare piuttosto forzato. La sorpresa arriva però con “Animal House”, sulla quale il gruppo cambia formazione, accogliendo sul palco i chitarristi Andy Susemihl e Mathias Deih, il bassista Thomas Smuszynsky (tutti dalla lineup che all’epoca registrò “Mean Machine”), più il batterista Sven Dirkschneider, figlio di Udo. Solitamente non sono esperimenti che dal vivo hanno chissà quale resa, ma in questo caso la band suona alla grande la manciata di pezzi che esegue, tra cui la tellurica “They Want War” e “Break The Rules”, con un Mr. Lordi truccato e mascherato che irrompe sul palco e duetta con Udo tra gli applausi del pubblico. Per “Man And Machine”, rientra la formazione attuale e con “Metal Heart” si va verso la chiusura lasciata all’immancabile “Balls To The Wall”, sulla quale tutti gli ospiti raggiungono la band sul palco. Finale tra gli applausi per uno show che ha festeggiato degnamente il compleanno di una delle icone del metal europeo, un frontman che, con una lunghissima carriera alle spalle, non cessa di spendere sudore e passione sui palchi di tutto il mondo.
(Alessandro Corno)

Setlist
Rev-Raptor
Thunderball
Leatherhead
Screaming For A Love-Bite
Vendetta
Princess Of The Dawn
Dancing With An Angel
Head Over Heels
Animal House
Heart Of Gold
They Want War
Break The Rules
Man And Machine
Metal Heart
The Bogeyman
Balls To The Wall

 

SAXON – Black Stage – 20:45-22:15

Praticamente di casa a Wacken, anche per via del fatto che Thomas Jensen, uno degli organizzatori del festival, è anche loro manager, i Saxon qui sono sempre accolti in maniera molto calorosa. Sarà per il fatto che i loro concerti ogni volta finiscono per essere descritti come tra i migliori di un intero evento e che, nonostante i sessant’anni alle spalle, la loro carica è sempre ad altissimi livelli, fatto è che spesso e volentieri la formazione inglese riesce a mettere in riga anche le più decantate giovani band che si trovano a dividere il palco con loro. Certo, uno show dei Saxon è praticamente un film di cui si conosce ogni battuta, data la similitudine dei vari spettacoli proposti soprattutto qui a Wacken, dove spesso le setlist seguono il format del classico ‘best-of show’. Superfluo dunque ribadire la classe del quintetto britannico e la sua capacità di coinvolgere anche il pubblico più giovane grazie al carisma di un frontman di infinita esperienza come Biff Byford. Classici come “Heavy Metal Thunder”, “Power And The Glory”, la velocissima “20.000 Ft” o “Never Surrender”, sparati a tutta potenza nella prima mezz’ora di show, sono solo un assaggio del potenziale che questa sera i Saxon metteranno in campo. Suoni perfetti, grande impatto visivo di luci e palco e prestazione strumentale che non fa una piega. L’unico difetto di questa esibizione è lo stato di forma di Biff, che oggi sembra avere qualche problema alla voce. Il grigio leader del gruppo in più occasioni sporca un po’ troppo il suo cantato o abbassa qualche parte, ma non si risparmia assolutamente e di continuo fa battute e incita il pubblico. Così lo show procede alla grande sulla scia dell’alternanza tra grandi classici, come “Motorcycle Man” e “Crusader”, e le recenti “I’ve Got To Rock (To Stay Alive)” o “Battalions Of Steel”. Eccezionali come sempre l’effetto scenografico della grande aquila illuminata sul fondo del palco e quello sonoro di “Wheels Of Steel”, su cui Biff, al solito, lascia cantare il pubblico e non resiste alla tentazione di fare un giro di fronte alle prime file ‘a bordo’ della telecamera mobile che passa di fronte allo stage. Il pubblico non può che applaudire una performance che, nel suo finale tra fiammate, effetti pirotecnici e colonne di fumo, sfodera un poker d’assi come “Denim And Leather”, “Strong Arm Of The Law”, “747 (Strangers In The Night)”  e l’immancabile “Princess Of The Night”. Non perfetta come in altre occasioni, ma giù il cappello per l’ennesima prova maiuscola da parte di una delle band della vecchia guardia tuttora più in forma.
(Alessandro Corno)

Setlist
Heavy Metal Thunder
Hammer Of The Gods
Power And The Glory
20,000 Ft
Never Surrender
Dogs Of War
Motorcycle Man
I’ve Got To Rock (To Stay Alive)
Crusader
Rock The Nations
Drum Solo
Battalions Of Steel
The Eagle Has Landed
Wheels Of Steel
To Hell And Back Again
Denim And Leather
Strong Arm Of The Law
747 (Strangers In The Night)
Princess Of The Night

 

CIRCLE II CIRCLE – Headbanger Stage – 22:25-23:10

Mentre dal Wet Stage echeggia l’ultima nota dell’ultimo brano in scaletta degli Unearth, il pubblico comincia a spostarsi davanti al palco accanto, l’Headbanger Stage, pronto ad accogliere i Circle II Circle. Un evento alquanto particolare data la celebrazione di “The Wake Of Magellan” dei Savatage, su cui è totalmente incentrata la setlist. L’intro “The Ocean” annuncia il gruppo sulla scena, guidato dal frontman Zak Stevens alla voce e dallo special guest Chris Caffery alla chitarra. Ciò che gli ex-Savatage hanno intenzione di proporre al pubblico del Wacken Open Air è un tributo al sopra citato album, che risale al lontano 1997, fatta eccezione per le strumentali “Underture” e “The Storm” ed i brani del disco cantati da Jon Oliva. Terminata “The Ocean”, esplode quindi “Welcome”, secondo pezzo del lavoro, con il solito Zak Stevens protagonista di un’ottima performance vocale. I suoni della band nel complesso sono discreti ed i ragazzi suonano con un buon tecnicismo, rendendo la performance oggettivamente impeccabile, ma non sempre all’altezza in quanto a feeling trasmesso alla platea. I brani si susseguono seguendo le tracce dell’album, passando da “Turns To Me” a “Morning Sun”, per poi fare un salto in avanti verso le potenti “Complaint In The System” e “The Wake Of Magellan”, nonché le più melodiche “Anymore” e “The Hourglass”. Con un ultimo salto, questa volta all’indietro rispetto alla scaletta dell’album, si conclude lo spettacolo con la band che saluta i fan sulle note di “Blackjack Guillotine”.  Show-evento complessivamente discreto, che ha soddisfatto i molti fan dei Savatage presenti.
(Claudia Panciroli)

Setlist
The Ocean
Welcome
Turns To Me
Morning Sun
Complaint In The System (Veronica Guerin)
The Wake Of Magellan
Anymore
The Hourglass
Blackjack Guillotine

 

VOLBEAT – True Metal Stage – 22:30-00:00

Forti di una progressione inarrestabile che li sta portando ai vertici della scena metal/rock europea, i Volbeat si presentano a Wacken con una posizione da co-headliner. A giudicare dalla folla immensa che già durante i Saxon si ammassa di fronte all’adiacente True Metal Stage, tale posizione appare del tutto meritata. Senza timore di sbagliarci possiamo anche affermare che i meriti dei Volbeat vanno ben al di là di una popolarità ormai consolidata, visto che il loro mix di generi differenti, quali metal classico, hard rock, rockabilly, punk e country, è una delle poche proposte originali degli ultimi anni. Il set ha inizio con “The Human Instrument” e “Guitar Gangsters & Cadillac Blood “, sulle quali il pubblico va subito in delirio. I suoni sono mostruosamente alti e potenti e la scenografia semplice e efficace nel suo stile vintage, in linea con l’artwork delle ultime pubblicazioni della band. Ad eccezione di una iniziale imprecisione a livello solista di Hank Shermann, chitarrista dei Mercyful Fate chiamato a sostituire il defezionario Thomas Bredahl, la band è in forma smagliante, la voce di Poulsen pure e lo show è assolutamente coinvolgente. “Vi piace Johnny Cash?”, esclama il frontman introducendo una “Sad Man’s Tongue” che raccoglie gli applausi dei settantamila presenti. Tra fiammate che si innalzano dal palco e dalle antistanti torri delle riprese, il concerto entra nel vivo con l’alternanza di sonorità differenti data da “A Moment Forever” (solo accennata), “Hallelujah Goat”, la lenta “Mary Ann’s Place”, i riff thrashy alla Iced Earth di “Who They Are” e il singolone da classifica “Fallen”, dedicato a tutti quelli che hanno perso una persona cara. Le sorprese però devono ancora arrivare, in quanto i Volbeat questa sera ospitano una serie di artisti che già erano presenti sull’ultimo bellissimo album “Beyond Hell / Above Heaven”. Ecco quindi Mille Petrozza dei Kreator e l’altra chitarra dei Mercyful Fate, Michael Denner, per la ‘western’ “7 Shots”; Jakob Øelund dei Taggy Tones con il suo contrabbasso per la rockabilly “16 Dollars”, song che fa ballare tutti fino alle retrovie; e il solito folle Barney dei Napalm Death per “Evelyn”. Il pubblico canta a gran voce e acclama la band, mentre lo show si avvia verso il finale con “The Mirror And The Ripper” e “A Warriors Call”, che fanno salire a ben otto il numero dei brani dell’ultimo lavoro proposti questa sera. Con il tuffo negli anni Sessanta della cover “I Only Want To Be with You” di Dusty Springfield, si entra nel tris finale dato da “Pool Of Booze, Booze, Booza”, “Still Counting” e l’accenno di “Raining Blood” degli Slayer, con cui la band saluta il pubblico. Non saranno metal al 100%, e anche qui sta il bello, ma i Volbeat hanno saputo conquistare l’audience del Wacken con una prova a nostro giudizio tra le migliori dell’intera edizione 2012.
(Alessandro Corno)

Setlist
The Human Instrument
Guitar Gangsters & Cadillac Blood
Another Day, Another Way
Sad Man’s Tongue
A Moment Forever / Hallelujah Goat
Mary Ann’s Place
Who They Are
Fallen
7 Shots
Heaven Nor Hell
16 Dollars
Radio Girl
Sweet Unicorns
Evelyn
The Mirror And The Ripper
A Warrior’s Call
I Only Want To Be With You
Pool Of Booze, Booze, Booza
Still Counting
Raining Blood

 

VENERDI’ 3 AGOSTO

 

YAKSA – Headbanger Stage – 11:30-12:00

Arriviamo di buon ora sotto al mega tendone denominato Bullhead City, dove sono alloggiati l’Headbanger Stage e il Wet Stage. Ancora piuttosto provati dalla notte brava, veniamo destati da un gruppo di cinesi finora a noi sconosciuti che sta letteralmente mettendo a ferro e fuoco il palco. Gli Yaksa, look da quartiere latino malfamato più che cinese, con tanto di bandiera della propria patria sul palco come segno di riconoscimento, sprigionano un’energia notevole con il loro nu-metal, in particolare il frontman Hu Song è una furia con il suo growling aggressivo. La band, nonostante sia attiva da quindici anni e con quattro album alle spalle, calca un palco europeo per la prima volta e in platea non c’è molta gente. Presto però accorrono molti che, come noi, si stavano appostando per i Warbringer e vengono attirati dall’attitudine adrenalinica della band, dal tiro delle composizioni e dal loro groove. Dei suoni ben bilanciati favoriscono la resa dello show. Non mancano dunque gli applausi, contraccambiati dal ringraziamento da parte del gruppo, che esce a fine set visibilmente soddisfatto. È un piacere anche per noi constatare come, al di là degli assurdi pregiudizi che a volte limitano la diffusione di certe band solo per via della loro nazionalità, anche un paese come la Cina, apparentemente lontano dalla cultura metal, possa in realtà fare da culla per gruppi come questo, sicuramente validi almeno dal punto di vista live.
(Alessandro Corno)

 

WARBRINGER – W.E.T. Stage – 12:05-12:35

Tra le formazioni thrash giovani che in massa stanno portando avanti un revival del tutto ispirato alla Bay Area degli anni Ottanta, i Warbringer sono tra i migliori sia dal punto di vista tecnico che compositivo. Con tre album all’attivo, di cui gli ultimi due, “Waking Into Nightmares” e “Worlds Torn Asunder”, più che discreti, il quintetto californiano viene accolto dalle acclamazioni di un pubblico piuttosto numeroso, che riempie buona parte della platea antistante il W.E.T. Stage. Il set dei Warbringer parte con la rabbiosa “Living Weapon”, tratta dall’ultimo lavoro, e procede con un susseguirsi di brani thrash classico dal tiro micidiale, eseguiti con perizia da una band compatta e sostenuta da una sezione ritmica devastante. Il frontman John Kevill è indiavolato e con una prestazione ottima, accompagnata da movenze minacciose, fomenta il pubblico, il quale dà vita ad un immancabile pogo. “Wake Up Destroy” pare un richiamo a quelli che stanno pacificamente appoggiati al bar bevendosi una birra, ma che da lì a poco si avvicineranno al palco, attirati da un sicuramente derivativo ma innegabilmente efficace ripasso degli insegnamenti impartiti da Slayer e Exodus. Il tempo a disposizione è poco e la band inanella i brani uno dietro l’altro senza pause e senza far calare la tensione. “Total War” è un concentrato di riff iperveloci ben eseguiti che scatena il pubblico, ma l’episodio più divertente è “Living In A Whirlwind”, sulla quale il cantante chiede e ottiene un circle pit. “Prepare For Combat Shock” chiude le ostilità e ci lascia un’impressione certamente positiva di una band che, discorso originalità a parte, ha tutti i numeri per spaccare.
(Alessandro Corno)

SANCTUARY – Black Stage – 13:30-14:30

Dopo la reunion del 2010, ecco l’opportunità di vedere all’opera i Sanctuary, band statunitense di fine anni ’80-inizio ’90 in cui militano i superstiti dei Nevermore Warrel Dane e Jim Sheppard. Della partita sono anche i membri storici Lenny Rutledge e Dave Budbill, rispettivamente alla chitarra e alla batteria, mentre la seconda chitarra non viene suonata dal primo chitarrista Sean Blosl (impegnato in altri progetti), né tantomeno dal suo successore Jeff Loomis, con cui i rapporti non sono idilliaci, bensì da Brad Hull, già alla sei corde negli anni Ottanta con i thrasher Forced Entry. Il sound che ci accoglie sin dalle prime battute è un concentrato retrò di classic metal, power americano e speed metal che, forse anche per lo scomodo orario, non sembra riscuotere grande interesse nel pubblico di Wacken, che partecipa poco numeroso all’evento. I Sanctuary, pur essendosi ufficialmente riuniti nel 2010, non hanno suonato granchè in giro in questi due anni e ciò influisce negativamente in termini di coesione e compattezza. Un inconveniente che limita solo in parte lo spettacolo, perché dal punto di vista tecnico la professionalità della band statunitense pare inappuntabile. Buone notizie arrivano, forse inaspettatamente, anche dal singer Warrel Dane, autore di una buona prestazione, seppur chiamato in causa, rispetto all’esperienza Nevermore, su registri tonali ben più alti ed insidiosi. L’apertura è affidata a “Eden Lies Obscured” e nel corso della performance trovano spazio classici del calibro di “Die For My Sins”, “Future Tense”, “The Mirror Black” e l’omonima track. Prima del congedo c’è spazio per una succosa anteprima dal futuro album in studio previsto per la fine dell’anno corrente-inizio del 2013 a titolo “I Am Low”, anteprima che suscita buone impressioni fra i presenti, in realtà ben più entusiasti di sentire le ultime ed immancabili “World Is Wired” e “Battle Angels”.
(Matteo Cereda)

Setlist
Eden Lies Obscured
Die For My Sins
Taste Revenge
Future Tense
The Mirror Black
White Rabbit
Sanctuary
I Am Low
World Is Wired
Battle Angels

 

KAMELOT – True Metal Stage – 14:45-15:45

L’esibizione dei Kamelot è tra le più sfortunate dell’intero festival, considerando che dopo un paio di canzoni si abbatte sul pubblico un violento acquazzone, alimentato da fastidiose e gelide raffiche di vento. Nonostante l’inconveniente, molti affezionati del gruppo non si fanno intimorire e assistono stoicamente alla performance del combo multinazionale, incentivati dall’occasione di vedere all’opera il nuovo cantante Tommy Karevik. Il singer svedese, precedentemente con i Seventh Wonder e già in tour con la band come corista, non si lascia intimorire dalla prestigiosa platea e mostra buone qualità tecniche con un’estensione vocale che riesce tranquillamente a soddisfare i bisogni canori dei Kamelot ed una timbrica meno enfatica e più affilata rispetto a quella del predecessore Roy Khan. Nell’ora abbondante a disposizione, i Kamelot vanno sul sicuro con una scaletta zeppa di classici quali “Rule The World”, “Ghost Opera” e “Center Of The Universe”, fino alla più recente “The Great Pandemonium”, tratta dall’ultima fatica uscita quasi due anni fa a titolo “Poetry For The Poisoned”; mentre grande interesse suscita “Sacrimony”, gustosa anteprima dal full-length di prossima pubblicazione “Silverthorn”. Dopo il consueto solo introduttivo di Youngblood alla chitarra, non poteva mancare “Forever”, prima della chiusura affidata al binomio “Karma” e “March Of Mephisto”, che scatena un pubblico inzuppato all’interno di un’arena in cui il marrone del fango prevale ormai incontrastato sugli ultimi fili d’erba.
(Matteo Cereda)

Setlist
Rule the World
Ghost Opera Play
Center Of The Universe
The Human Stain
The Great Pandemonium
When The Lights Are Down
Sacrimony (Angel Of Afterlife)
Forever
Karma
March Of Mephisto

 

OVERKILL – Black Stage – 16:00-17:00

Dopo il diluvio che ha lasciato alle sue spalle un’arena più simile a una risaia che a una platea, migliaia di fan, molti dei quali bagnati fradici, si spostano lentamente e a fatica verso il palco in attesa degli Overkill. Una calma apparente che dura poco. Appena la band attacca con “Come And Get It”, il pubblico si dimentica dei dieci centimetri di fango sotto ai piedi e inizia ad agitarsi e a pogare. D’altronde, qui siamo al cospetto di una band che, nonostante le tre decadi di carriera alle spalle, suona con un’energia che fa invidia anche alle formazioni più giovani. Bobby ‘Blitz’ in forma, suoni devastanti e precisione chirurgica di chitarre e sezione ritmica rendono pezzi adrenalinici, come le successive “Bring Me The Night”, “Elimination” e “Wrecking Crew”, dei veri e propri assalti sonori. Il set della thrash metal band newyorkese non dà tregua ed è tutto un susseguirsi di brani tirati e nervosi. Bobby è un autentico animale e si leva pure lo sfizio di cantare “Ironbound” con tanto di sigaretta in bocca. “Save Yourself” sembra un consiglio a quelli che stanno pogando in mezzo alle pozze di fango ed è anche l’ultimo brano recente proposto. Tocca poi alle vecchie “Old School”, “In Union We Stand” e “Rotten To The Core”, sulle quali il pubblico partecipa in massa intonando i ritornelli e lanciandosi nel crowd surfing. A Bobby salta il microfono e non gli resta che usare quello di D.D. Verni, ma poco importa, perchè oggi gli Overkill stanno dando il 110%  e il pubblico altrettanto. Il finale è lasciato all’immancabile “Fuck You”, con tutta la platea con dito medio alzato ad intonare un vaffanculo generale. Pioggia di urla e applausi per uno degli show migliori di tutto il festival.
(Alessandro Corno)

Setlist
Come And Get It
Bring Me The Night
Elimination
Wrecking Crew
Electric Rattlesnake
Hello From The Gutter
Ironbound
Save Yourself
Old School
In Union We Stand
Rotten To The Core
Fuck You

 

OPETH – Black Stage – 18:30-19:30

Gli Opeth non sono nuovi a performance al cospetto di intensi acquazzoni nel nostro paese, figuriamoci in quel di un Wacken bagnato come quello del 2012. Nonostante l’intensa attività idrica sulla propria testa, il pubblico non si fa intimorire e partecipa numeroso all’esibizione del gruppo svedese. A dispetto del ridotto minutaggio a disposizione e della cornice prettamente metallara della location, Akerfeldt e soci aprono lo spettacolo con un trittico dall’ultimo e discusso album “Heritage”. Le sonorità prog anni ’70 di “The Devil’s Orchard”, “I Feel The Dark” e “The Lines In My Hand” avvolgono una platea che sembra quasi ipnotizzata dallo spettacolo degli Opeth. Il quintetto scandinavo appare in ottima forma e, come spesso accade, esegue le varie canzoni con eccellente perizia tecnica, con il solito Akerfeldt che si erge a leader indiscusso, intrattenendo il pubblico con simpatiche battute nelle pause tra le canzoni. Dopo aver annunciato con il sorriso sulle labbra una versione da venti minuti della celebre “Wind Of Change” degli Scorpions, che si esibiranno il giorno successivo, lancia i primi growl della serata con “Heir Apparent”. Il finale segue la scia tracciata dall’ultima canzone sopraccitata, con l’esecuzione delle acclamate “Demon Of The Fall”, “The Grand Conjuration” e “Deliverance”. Ciò che non ha del tutto convinto della prestazione degli Opeth è la mancanza d’intensità delle vecchie composizioni, forse dovuto a dei suoni settati sull’ammorbidimento sonoro dell’ultima e non del tutto convincente pubblicazione. La fase di limbo degli Opeth continua…
(Matteo Cereda)

Setlist
The Devil’s Orchard
I Feel The Dark
The Lines In My Hand
Heir Apparent
Demon Of The Fall
The Grand Conjuration
Deliverance

 

HAMMERFALL – True Metal Stage – 19:45-20:45

Memori dell’ottimo show proposto dagli Hammerfall qui a Wacken nel 2009, attendiamo con buone aspettative la loro performance. Certo, il loro ultimo album “Infected” ha deluso e non poco il sottoscritto, dunque non resta che sperare in una setlist il più povera possibile di brani estratti da questo lavoro. Passata dunque la iniziale e anonima “Patient Zero”, per la quale non solo noi, ma nemmeno il numerosissimo pubblico presente sembra impazzire, la vecchia “Heeding The Call” e la più recente “Any Means Necessary” colpiscono nel segno nonostante degli invadenti cori registrati e un Joacim Cans non in forma perfetta. Il borchiatissimo cantante, affiancato da un Oscar Dronjak con un’improponibile giacca rossa, tende ad abbassare un po’ troppo le parti più alte e lo show un minimo ne risente. Il resto della band è autore di una buona prova. La scenografia è minimale rispetto a quella di due anni fa, mentre di giochi pirotecnici, fiammate e grandi colonne di fumo non si fa certo economia. La parte centrale del concerto con “Bloodbound”, “Steel Meets Steel” e “Last Man Standing” è quella che coinvolge maggiormente il pubblico, sempre partecipe sui ritornelli. Fa piacere in particolare constatare come la parte sinistra della platea, quella di fronte al Black Stage e ormai popolata da fan in attesa dei Dimmu Borgir, partecipi anch’essa quando Cans, al termine di “The Dragon Lies Bleeding”, scambia battute col pubblico. Ulteriore conferma che in terra tedesca l’audience ragiona meno ‘a compartimenti stagni’ rispetto a quanto accade da noi. La band ringrazia, annuncia che per il 2013 si prenderà una pausa e conclude con l’immancabile “Hearts On Fire” e il solito tripudio di fiamme. Prestazione per certi versi meno convincente rispetto alla volta scorsa, ma comunque discreta e divertente.
(Alessandro Corno)

Setlist
Patient Zero
Heeding The Call
Any Means Necessary
B.Y.H.
Blood Bound
Steel Meets Steel
Last Man Standing
Renegade
The Dragon Lies Bleeding
Let The Hammer Fall
One More Time
Hearts On Fire

 

DIMMU BORGIR & ORCHESTRA – Black Stage – 21:00-22:00

Lo spettacolo dei Dimmu Borgir è fra i più attesi a Wacken, non tanto o non solo per verificare lo stato di forma dei Nostri, quanto perché Shagrath e soci hanno annunciato un concerto speciale in cui i brani della band vengono accompagnati da un’orchestra (la sinfonica nazionale della Repubblica Ceca) e da un coro. L’esperimento riesce a metà, per essere buoni. L’ausilio dell’orchestra a tratti rende suggestiva l’esecuzione di alcuni brani, ma troppo spesso tende ad appesantire eccessivamente il sound, senza contare i troppi frangenti con la band dietro le quinte che fanno sorgere il dubbio se il concerto sia della Sinfonica Ceca o dei Dimmu Borgir. Sicuramente le parti orchestrali suonate dal vivo rendono lo show più intrigante e reale, così come appare affascinante, anche se non sempre azzeccata, la scelta di far interpretare le parti vocali in pulito dal coro, ma soprattutto nella prima parte il concerto fatica a decollare. I demeriti non vanno cercati nell’interpretazione dei Dimmu Borgir, freddini e con un Shagrath a corrente alternata, ma pur sempre efficaci, ma nella scelta della scaletta, che include nella prima metà brani esclusivamente dall’ultimo e deludente disco “Abrahadabra”, quali “Born Treacherous”, “Gateways”, “Dimmu Borgir” e “Ritualist”. Dopo una discutibile versione di “Eradication Instincts Defined” ad esclusivo appannaggio di coro e orchestra, giunge il trittico “Vredesbyrd”, “Progenies Of The Great Apocalypse”, “The Serpentine Offerings” a risvegliare la platea, ma non appena lo spettacolo sembra decollare la lunga introduzione strumentale “Fear And Wonder” smorza gli entusiasmi. Le successive “Kings Of The Carnival Creation”, “Puritania” e l’immancabile “Mourning Palace” sono un’autentica boccata d’ossigeno, nonchè l’apice del concerto. L’outro strumentale “Perfection Or Vanity” in chiusura ci riporta sulla Terra e ci ricorda i numerosi sbadigli suscitati dalla performance.
(Matteo Cereda)

Setlist
Born Treacherous
Gateways
Dimmu Borgir
Chess With The Abyss
Ritualist
A Jewel Traced Through Coal
Eradication Instincts Defined (solo orchestra e coro)
Vredesbyrd
Progenies Of The Great Apocalypse
The Serpentine Offering
Fear And Wonder Play Video (solo orchestra e coro)
Kings Of The Carnival Creation
Puritania
Mourning Palace
Perfection Or Vanity (solo orchestra e coro)

 

IN FLAMES – True Metal Stage – 22:45-00:15

Una breve introduzione e subito l’inconfondibile sample di tastiera di “Cloud Connected” scatena il delirio per l’ingresso in scena degli In Flames. I suoni sono nitidi e potenti al tempo stesso, la coreografia, spaziale, con la band appostata su un’impalcatura dietro un telo con luci che illuminano a turno i vari musicisti, evidenziando il look elegante del frontman Anders Fridèn. La successiva “Trigger” pare l’ideale per continuare l’assalto: il telo coreografico nel frattempo si abbassa, ma l’eccellente impianto luci e il continuo utilizzo di effetti pirotecnici, spesso a tempo con le canzoni, garantiscono una resa visiva di primo livello. Detto dell’ottima acustica, la band appare in palla con esecuzioni esemplari delle varie canzoni, perlomeno sotto il profilo strumentale, perché il succitato Fridèn alla voce sembra avere qualche problema di troppo. Il singer svedese, oltre ad essere un ottimo intrattenitore, appare in buona forma sullo scream e nelle parti vocali sporche, mentre lascia alquanto a desiderare sulle clean vocals. I ritornelli delle canzoni, allorchè presentano parti pulite, vengono sostenuti da una base con la linea vocale principe, sulla quale Fridèn ricalca una sorta di scream. Una strategia, questa dell’utilizzo di basi per migliorare o inspessire le linee vocali, sempre più utilizzata dalle band al giorno d’oggi, che tuttavia lascia dubbi sull’autenticità dello spettacolo. Un vero peccato, perché l’ottima resa sonora, la grande prestazione strumentale, l’eccellente aspetto visivo avrebbero meritato una miglior performance vocale per dar vita ad uno spettacolo perfetto. La scaletta, come prevedibile, è incentrata sulle recenti pubblicazioni della band, il cui estratto più datato risulterà essere l’immancabile “Only For The Weak” (da “Clayman”, 2000); ma non c’è spazio per inutili polemiche da nostalgici repressi, i nuovi In Flames hanno da tempo tracciato un sentiero e l’ottima resa live di pezzi quali “Where The Dead Ships Dwell”, “Fear Is The Weakness”, “Alias” e “Delights And Angers” dimostrano che dal punto di vista compositivo il trend rimane positivo. Momento particolare della performance, l’esecuzione del lento atipico “The Chosen Pessimist”, una scelta azzeccata, atta a smorzare temporaneamente i toni, non fosse per la disastrosa interpretazione dell’ormai più volte chiamato in causa Fridèn. Con i fuochi d’artificio di “System” e il recente singolo “Deliver Us”, la band di Goteborg si prende una meritata pausa prima del gran finale caratterizzato da “Take This Life” e “My Sweet Shadow”, che chiudono degnamente un buono spettacolo, oscurato solamente da qualche rimpianto a livello vocale.
(Matteo Cereda)

Setlist
Cloud Connected
Trigger
Where The Dead Ships Dwell
Only For The Weak
Reroute To Remain
Crawl Through Knives
Delight And Angers
The Quiet Place
The Chosen Pessimist
Fear Is The Weakness
Alias
The Mirror’s Truth
System
Deliver Us
Take This Life
My Sweet Shadow

 

IN EXTREMO – Black Stage – 00:30-01:45

Li abbiamo visti in Italia in occasione del Metalfest 2012, ma il ‘vero’ concerto degli In Extremo è quello a cui si assiste in Germania, con la band di fronte al proprio pubblico. Questo non solo per l’ovvia questione legata ai testi in tedesco, ma anche perchè il medieval metal in questa terra è di casa e la quantità di fan che segue il genere è dunque infinitamente maggiore che nel nostro paese. Eccoci qui dunque, a mezzanotte passata di questa seconda giornata del Wacken Open Air 2012, di fronte al Black Stage, circondati da una marea di fan in trepidante attesa della band. L’inizio con la nuova “Sterneneisen” trascina subito la grande partecipazione della platea. A colpire è non solo il carismatico cantante Michael Robert ‘Das Letzte Einhorn’ Rhein, con la sua voce roca, ma anche e soprattutto i direttissimi giri melodici che cornamuse, ghironde e altri strumenti tradizionali tessono in ogni brano. Spettacolari dunque “Frei Zu Sein” o l’acclamatissima “Herr Mannelig”, ma non da meno anche “Flaschenpost”, il cui riff pesantissimo alimenta l’headbanging generale. Le movenze degli strumentisti, le fiammate che si alzano dal palco, i fuoci d’artificio e un’atmosfera generale molto calda e festaiola, nonostante sia ormai notte, rendono lo spettacolo estremamente piacevole anche per noi che non capiamo una parola di tedesco e dunque perdiamo il senso degli scambi di battute tra cantante e pubblico.  Tra i momenti topici del concerto, anche l’accoppiata tra il lento “Zauberspruche No. VII”, con tanto di arpa, e “Spielmannsfluch”, mid tempo con l’ennesimo gran giro melodico di cornamuse che fa cantare praticamente tutte le decine di migliaia di persone presenti. Insomma, chi ama il folk e ad esempio apprezza i nostrani Folkstone, non può non vedere almeno una volta gli In Extremo all’opera in un festival tedesco. Questo tipo di show, anche per un fatto puramente culturale di maggior vicinanza a certe tradizioni, qui in Nord Europa ha un fascino del tutto esclusivo.
(Alessandro Corno)

Setlist
Sterneneisen
Frei Zu Sein
Zigeunerskat
Herr Mannelig
Sängerkrieg
Flaschenpost
Unsichtbar
Zauberspruche No. VII
Spielmannsfluch
Omnia Sol Temperat
Siehst Du Das Licht
Viva La Vida
Küss Mich
Vollmond
Rasend Herz
Villeman Og Magnhild

 

SABATO 4 AGOSTO

 

GAMMA RAY – True Metal Stage – 13:00-13:45

L’orario mattutino imposto ai Gamma Ray è emblematico della discesa che sta caratterizzando la carriera del quartetto teutonico, solo un decennio fa headliner in questa stessa location. Poco spazio ai rimpianti, la decadenza che ha colpito il Raggio Gamma negli ultimi anni ha connotati ben precisi, che vanno cercati nella pochezza compositiva degli ultimi album e nel pressapochismo dei protagonisti in sede live. In particolare, sul banco degli imputati c’è il leader Kai Hansen, autore di una disastrosa performance al microfono e capace di rovinare classici del calibro di “Ride The Sky” e “I Want Out”. La primissima parte dello show, in realtà, pare incoraggiante, con discrete versioni della dirompente “Dethrone Tiranny” e del classico “Heaven Can Wait”, ma già le successive “Fight” e “Empathy” evidenziano limiti su più fronti, per non parlare del terribile singolo “To The Metal”. Nel finale l’accenno a “Rebellion In Dreamland”, le succitate parentesi Helloween e la conclusiva “Send Me A Sign” servono perlomeno a rivitalizzare il pubblico in termini di entusiasmo, tralasciando come detto l’aspetto esecutivo e soprattutto vocale. Urgono rimedi e rinforzi! Pronto, Michael? Non è che lasci perdere gli Unisonic e vieni a darci una mano?
(Matteo Cereda)

Setlist
Dethrone Tyranny
Heaven Can Wait
Fight
Empathy
Ride The Sky (cover Helloween)
To The Metal
Rebellion In Dreamland
I Want Out (cover Helloween)
Send Me A Sign

 

PARADISE LOST – Party Stage – 14:00-14:45

Nonostante le prime ore del pomeriggio non siano ideali per diffondere il gothic atmosferico ed oscuro dei Paradise Lost, Nick Holmes e soci si presentano armati di grandi motivazioni sul palco di Wacken e la partenza affidata ad una traccia immediata e dotata di un refrain memorabile come “The Enemy” pare l’ideale per rompere gli indugi. Sin dagli albori dello spettacolo notiamo una resa sonora di ottimo livello, che valorizza gli intrecci chitarristici del duo Mackintosh-Aedy, mentre dietro le pelli segnaliamo la buona performance del sostituto d’eccezione Jeff Singer (già con la band dal 2004 al 2008). Il quintetto originario di Halifax ha un disco in promozione nuovo di zecca, si tratta del positivo “Tragic Idol”, che conferma le ottime impressioni anche in sede live grazie alle buone esecuzioni di “Honesty In Death”, “Fear Of Impending Hell” e della stessa titletrack. Nick Holmes guida lo show con il consueto carisma, offrendo una prestazione vocale per lo più convincente, con sbavature concentrate soprattutto durante la riproposizione del classico “One Second”. I fan storici della band anglosassone trovano il modo di esaltarsi con un masterpiece dall’indimenticato “Draconian Times” quale “Forever Failure”; ma per l’occasione i Paradise Lost non si fanno mancare nulla, né tanto meno hanno intenzione di rinnegare il periodo electro-pop della propria carriera, includendo quindi nella setlist una “Erased” che lascia abbastanza indifferente la platea. Nel finale c’è spazio per tornare sul penultimo disco “Faith Divides Us – Death Unites Us” con una rovente versione della titletrack, mentre la chiusura è affidata a “Say Just Words”. Tra classici, nuove e recenti canzoni, i Paradise Lost si confermano in forma, hanno esperienza da vendere e soprattutto possono contare su un repertorio che, nella varietà, mantiene un livello qualitativo sopra la media.
(Matteo Cereda)

Setlist
The Enemy
Honesty In Death
Erased
As I Die
Tragic Idol
Forever Failure
One Second
Fear Of Impending Hell
Faith Divides Us – Death Unites Us
Say Just Words

AXEL RUDI PELL – True Metal Stage – 15:00-16:00

Axel Rudi Pell, nonostante sia sulla scena con la sua band omonima da oltre vent’anni, ha qualche problema ad esportare la propria proposta musicale oltre i confini teutonici, ma quando si trova a suonare in patria gode sempre di grande seguito ed affetto. Ecco spigato il pienone davanti al True Metal Stage sebbene l’orologio dica che siamo soltanto alle prime ore del pomeriggio e sotto una pioggia incessante. L’hard rock metallizzato condito dalle immancabili influenze neoclassiche della band tedesca è l’ideale per elettrizzare la platea, soprattutto se interpretato da autentici fuoriclasse quali lo stesso Axel alla sei corde, Mike Terrana alla batteria e il fenomeno Johnny Gioeli alla voce. La scaletta predilige l’ultima fatica in studio a titolo “Circle Of The Oath”, rappresentata da “Ghost In The Black” in apertura, ma successivamente anche da “Before I Die” e dall’elaborata titletrack. Nonostante il tempo a disposizione sia limitato,  il buon Axel non fa mancare nulla ai suoi affezionati, includendo nella performance l’esecuzione di grandi classici quali “Strong As A Rock” e proponendo un gustoso medley di “The Masquerade Ball”, “Casbah” e “Dreaming Dead”, durante il quale ad un certo punto fa capolino un accenno al classico dei Led Zeppelin “Whole Lotta Love”. Il tributo ai grandi del passato non finisce qui, perché durante l’esecuzione della successiva “Mystica” vengono chiamati in causa gli adorati Deep Purple con una simbolica “Mistreated”, mentre il finale è caratterizzato dal binomio d’acciaio “Tear Down The Walls” / “Nasty Reputation” a suggellare una performance di grande sostanza e qualità, che testimonia la grande efficacia in sede live di Axel Rudi Pell e della sua band.
(Matteo Cereda)

Setlist
Ghost In The Black
Strong As A Rock
Before I Die
The Masquerade Ball / Casbah / Dreaming Dead
Mystica
Circle Of The Oath
Tear Down The Walls / Nasty Reputation

 

TESTAMENT – True Metal Stage – 17:30-18:30

I Testament si presentano al Wacken con il nuovo album “Dark Roots Of Earth” fresco fresco di pubblicazione. Il lavoro ha raccolto ottimi responsi da parte della stampa specializzata, soprattutto estera, e la stessa Nuclear Blast Records, per la quale l’album è uscito, sta facendo una promozione massiccia che ha contribuito a far salire l’attesa per questo show. Tantissimi i fan assiepati di fronte al True Metal Stage, impazienti di venire schiacciati dal solito maglio sonoro che Eric Peterson, Chuck Billy e soci ogni volta sono in grado di creare. Si aggiunga che questa volta dietro le pelli c’è nientemeno che Gene Hoglan, una macchina umana che non ha certo bisogno di presentazioni. L’inizio con la nuova “Rise Up” è fulminante e gran parte del pubblico conosce il brano e intona il direttissimo ritornello. “Dark Roots Of Earth” sarà nei negozi da meno di una settimana e in rete forse da poco più, ma i fan già lo hanno ben assimilato, come dimostra l’ apprezzamento che bacia anche “Native Blood” e “True American Hate”, dove Gene Hoglan aggiunge il suo tocco con dei blastbeat. Uno show dei Testament non può però prescindere dai grandi classici e infatti ai nuovi brani si alternano pezzi da novanta come “The New Order” e “The Preacher”, con il pubblico che si agita e scatena un pogo micidiale sotto al palco. Ottima la prova della band, con ogni reparto da dieci e lode. Chuck Billy in ottima forma vocale e una sezione ritmica devastante vengono completati dai riff  memorabili di Peterson e i soli a dir poco di classe di Alex Skolnick. Dopo “Dark Roots Of Earth”, che a differenza degli altri nuovi pezzi proposti non coinvolge molto, è il turno di un tris di capolavori del thrash metal che rispondono al nome di “Into The Pit”, “Pratice What You Preach” e “Over The Wall”. Sullo stage compaiono striscioni con la scritta ‘free Randy’, indirizzata al frontman dei Lamb Of God che, in questi giorni, viene rilasciato da una prigione di Praga, dove è stato tra le polemiche accusato di omicidio per aver spinto giù dal palco un fan successivamente deceduto. La folla applaude e in platea ormai è il delirio in mezzo al fango, con più di un fan che esce dal pogo quasi completamente imbrattato. La band chiude il suo set con “D.N.R” e “3 Days In Darkness”, entrambe estratte dal grande “The Gathering”, che qui, come in Italia, a giudicare dalla massiccia partecipazione, sembra essere uno degli album più conosciuti dei Testament. Se gli Overkill erano stati autori ieri di una prova più  frenetica e iper-tirata, questa è stata più potente e carica di groove, assegnando di fatto un pareggio tra le due thrash metal band americane più in forma del momento.
(Alessandro Corno)

Setlist
Rise Up
The New Order
The Preacher
Native Blood
True American Hate
More Than Meets The Eye
Dark Roots Of Earth
Into The Pit
Practice What You Preach
Over The Wall
D.N.R. (Do Not Resuscitate)
3 Days In Darkness

 

MOONSPELL – W.E.T. Stage – 19:15-19:55

E’ sotto l’immenso tendone del Wet Stage che si svolge il concerto dei Moospell, seguito da una buona schiera di affezionati nonostante su uno dei palchi principali si stiano esibendo contemporaneamente i Cradle Of Filth.  Lo spettacolo della band portoghese, di cui abbiamo potuto constatare l’ottimo stato di forma in occasione del nostro Metalitalia.com Festival, è qualcosa di speciale, dal momento che il quintetto lusitano per l’occasione si presenta in veste semi-acustica, accompagnato da un quartetto di violoncelli e da un paio di coriste. L’inizio è traumatico, il riarrangiamento del classico “Wolfshade”, complice anche una non perfetta equalizzazione sonora, non convince, così come desta perplessità l’esecuzione di “Opium”, la cui nuova veste disegnata dai Moonspell appositamente per il festival appare quantomeno forzata. Col passare dei minuti l’equalizzazione sonora diventa pressoché perfetta, l’orecchio del pubblico si abitua ed “Awake” appare l’episodio più azzeccato da riproporre con chitarra acustica, tastiere atmosferiche e passaggi sinfonici. I Moonspell ora viaggiano spediti ed è un piacere ascoltare le avvincenti versioni di “The Southern Deathstyle” e “Scorpion Flower”, in cui la timbrica baritonale di Fernando Ribeiro incontra le soffici voci femminili delle coriste. Nel finale c’è spazio per altri due classici rivisitati in maniera convincente, “Alma Mather” e “Full Moon Madness”, bellissima in questa versione onirica, esoterica e tragicamente profonda.
(Matteo Cereda)

Setlist
Wolfshade
Opium
Awake
The Southern Deathstyle
Scorpion Flower
Alma Mater
Full Moon Madness

 

AMON AMARTH – True Metal Stage – 20:00-21:15

L’ultima volta che gli Amon Amarth hanno calcato il palco del Wacken Open Air era il 2009 e la band aveva stupito tutti con un concerto carichissimo e contornato da un’imponente scenografia, con nave vichinga e figuranti che inscenavano combattimenti. Questa volta il gruppo svedese ha dalla sua un minutaggio maggiore, praticamente da headliner, ma l’effetto scenico non è lo stesso. Con uno stage-set privo della succitata nave e con elementi scenografici piu scarni che richiamano i loro artwork, sullo stile di quanto visto al Gods Of Metal 2012, Johan Hegg e soci non fanno comunque mancare il loro impatto musicale, spaziando sia per brani dagli ultimi due album, sia per altri comunque relativamente recenti che più li hanno resi famosi. L’iniziale “War Of The Gods” mette subito in evidenza la consueta buona preparazione che questo gruppo riesce ogni volta a garantire in sede live. Tra botti e fiammate, lo show procede come da copione e brani come “Runes To My Memory”, “Death In Fire” o “Cry Of The Black Birds” sono accolti con grande partecipazione da una folla oceanica. Sono però i brani più cadenzati e dal taglio live a coinvolgere maggiormente il pubblico, nella fattispecie l’immancabile “The Pursuit Of Vikings” e la conclusiva “Guardians Of Asgaard”. Con “Victorious March” come unico brano estratto dai primi due album e lo spettacolare “The Avenger” completamente ignorato, gli Amon Amarth confermano la loro poca propensione nel proporre brani vecchi. Al contrario, la band sembra essere ormai incentrata sulle sonorità recenti, in un certo senso più ‘preconfezionate’, meno estreme e meno underground, ma che tanto piacciono ai metal fan.
(Alessandro Corno)

Setlist
War Of The Gods
Runes To My Memory
Destroyer Of The Universe
Death In Fire
Live For The Kill
Cry Of The Black Birds
The Fate Of Norns
The Pursuit Of Vikings
For Victory Or Death
Victorious March
Twilight Of The Thunder God
Guardians Of Asgaard

 

SCORPIONS – Black Stage – 21:30-23:00

Per uno degli ultimi show di carriera, gli Scorpions giocano in casa e come prevedibile godono di grande attenzione da parte del pubblico e dell’organizzazione di Wacken. Il palco infatti viene preparato nei minimi dettagli con una brillante coreografia interattiva sullo sfondo, proiettante immagini a tema, oltre all’imponente impianto luci ed il continuo utilizzo di effetti pirotecnici perfettamente sincronizzati con la musica dei Nostri. Ciononostante, la partenza non è delle migliori, sia perché “Sting In The Tail” non è tra i pezzi migliori scritti dagli Scorpions, sia perché l’equalizzazione sonora è in via di assestamento. Le successive “Make It Real” e “Is There Anybody There?” non paiono ancora calibrate al meglio, con una band che sembra un po’ in sordina; ma finalmente il ghiaccio viene rotto con “The Zoo”, i cui tratti salienti del testo vengono proiettati sul telo a fondo palco. In questa fase il capolavoro “Lovedrive” viene saccheggiato con ottime versioni della strumentale “Coast To Coast” e dell’opener “Loving You Sunday Morning”. Klaus Meine appare finalmente brillante ed incisivo con la sua timbrica acuta e nasale al tempo stesso, mentre dal punto di vista scenico è il solito Rudolf Schenker a catalizzare l’attenzione con un costante movimento da una parte all’altra del palco. Mentre sulle nostre teste riprende a piovere, gli Scorpions attaccano una bellissima “Rhythm Of Love” e con l’acquazzone che aumenta d’intensità è fantastico assistere alla carica di classici immortali quali “Tease Me Please Me” e “Hit Between The Eyes”. C’è spazio per un altro pezzo da novanta come “Dynamite”, prima di una breve pausa in compagnia del drummer James Kottak e del suo avvincente solo con tanto di richiami alla celebre “Wind Of Change”. Il faccione bendato di Rudolf Schenker appare sullo sfondo per l’immancabile “Blackout”, con lo stesso chitarrista che esce dai ranghi abbigliato a tema con il celebre artwork dell’omonimo disco dell’82. Matthias Jabs non resta certo a guardare e, dopo aver suonato in maniera esemplare le varie canzoni, si prende la scena per una parentesi solista che mette in ulteriore evidenza il suo incredibile talento alla chitarra. La performance degli Scorpions è più che mai incisiva grazie ad una brillante esecuzione della celebre “Big City Nights”, cantata nell’immediato ritornello dal nutrito pubblico che sostiene un Meine scintillante dietro al microfono. Il finale non tradisce le attese, con una statua gigante della band che viene portata al centro del palco accompagnata da modelle in abiti succinti che sparano scintille sulle note di “Coming Home”. Eccezionale il momento di pathos: gli Scorpions sono da sempre maestri nelle ballate e di fronte ad un pubblico prettamente metallaro la scelta non poteva che cadere su “Still Lovin’ You”, con il vocalist, questa volta un po’ in difficoltà, che si fa aiutare più volte dal pubblico. Prima del congedo finale c’è spazio per l’ennesimo classico: si tratta di “Rock You Like A Hurricane”, che scatena nuovamente la platea e chiude un concerto capace di aumentare d’intensità col passare dei minuti. Dopo un inizio sottotono, i campioni escono alla distanza e si confermano tali!
(Matteo Cereda)

Setlist
Sting In The Tail
Make It Real
Is There Anybody There?
The Zoo
Coast To Coast
Loving You Sunday Morning
Rhythm Of Love
Raised On Rock
Tease Me Please Me
Hit Between The Eyes
Dynamite
Kottak Attack
Blackout
Six String Sting
Big City Nights
Coming Home
Still Loving You
Rock You Like A Hurricane

 

MACHINE HEAD – True Metal Stage – 23:15-00:30

Una delle ultime esibizioni del festival è anche una delle più attese, a giudicare dalla quantità di pubblico che popola la platea nonostante le piogge e le pesanti condizioni del terreno. Robb Flynn e soci d’altronde sono una garanzia dal vivo e, specialmente qui a Wacken, hanno sempre saputo figurare come uno dei gruppi più convincenti. Guidati da un frontman in forma, sempre pronto a scherzare col pubblico e fomentare le prime file, i Machine Head già dall’iniziale e variegata “I Am Hell (Sonata in C#)”, dall’ultimo album “Unto The Locust”, fanno infiammare e agitare la platea. Una scenografia efficace, con un bellissimo impianto luci e grandi fiammate, completano una prestazione ottima e valorizzata da suoni potentissimi. Le vecchie “Old” e la chicca “A Thousand Lies”, entrambe da “Burn My Eyes”, vengono intervallate da “Imperium”, unico estratto da “Through The Ashes Of Empires”. Si torna all’ultimo lavoro con “Locust”, su cui Flynn è autore di una buona prova vocale anche nei passaggi in voce pulita. Applausi per lui anche quando a fine brano ringrazia giustamente tutti i presenti per essere ancora lì nonostante le difficili condizioni meteo. Il pubblico risponde con un circle pit furioso in mezzo al fango su “Aesthetics Of Hate” e torna ad applaudire il carismatico chitarrista-cantante quando questi ricorda la connessione unica che unisce le band metal e i propri fan. Dopo la pausa più melodica di “Darkness Within” si torna a correre, pogare e sgomitare con “This Is The End”, preludio alla chiusura di show con “Halo” e l’immancabile “Davidian”, accompagnata da fiamme e fumo. Ottima e coinvolgentissima prova di una band che anche questa volta ha avuto pochi rivali.
(Alessandro Corno)

Setlist
I Am Hell (Sonata in C#)
Old
Imperium
A Thousand Lies
Locust
Aesthetics Of Hate
Darkness Within
This Is The End
Halo
Davidian

 

MINISTRY – Black Stage – 00:45-01:45

E’ l’una di notte: l’arena di Wacken, dopo due giorni di acquazzoni e concerti e illuminata dai riflettori, pare un enorme lago sul quale i metallari più resistenti attendono l’ingresso in scena dei Ministry. Al Jourgensen non si fa troppo attendere e scatena subito l’inferno con “Ghouldiggers”, opener del recente “Relapse”. La scenografia della band americana è caratterizzata da un imponente impianto luci, ma soprattutto da schermi su cui vengono proiettate immagini a ripetizione, a tema e in perfetta sincronia con le varie canzoni. L’industrial metal disturbato, o disturbante se preferite, dei Ministry è spesso caratterizzato da liriche di protesta, socialmente e politicamente impegnate, ecco dunque spiegato il fluire di immagini provocanti ed anche molto forti, che si soffermano su guerre, morti ed esplosioni senza dimenticare l’ex presidente americano George W. Bush, da qualche tempo a questa parte uno dei bersagli preferiti dei Nostri. La resa sonora appare da subito impeccabile ed è un piacere apprezzare la furia esecutiva della band statunitense, guidata dal carisma innato del suo leader. Un tipo di poche parole ma molti fatti, a giudicare dall’inesistente dialogo col pubblico e dalla grande sostanza in termini di prestazione. Lo spettacolo prosegue con intensità grazie a versioni devastanti di “No W”, “Rio Grande Blood” e “LiesLiesLies”, mentre dalla succitata ultima opera in studio vengono estrapolati l’ottimo singolo “99 Percenters” e la stessa titletrack. Prima del congedo c’è spazio per un tributo all’indimenticato capolavoro “Psalm 69”, rappresentato in serie dalle deflagranti “N.W.O.” e “Just One Fix”, mentre la chiusura di uno show memorabile, reso ancor più suggestivo dalle incredibili circostanze climatiche, spetta al sound ossessivo di “Thieves”.
(Matteo Cereda)

Setlist
Ghouldiggers
No W
Rio Grande Blood
LiesLiesLies
99 Percenters
Life Is Good
Waiting
Relapse
N.W.O.
Just One Fix
Thieves

Sono ormai le due di notte e a malincuore decidiamo di seguire la massa e spostarci verso i campeggi, rinunciando all’esibizione degli Edguy. Le notizie che arrivano dall’esterno dell’arena sono di strade di campagna completamente infangate e conseguenti notevoli difficoltà per uscire dai parcheggi con auto e attrezzature. Nella speranza che il prossimo anno non ci si ritrovi a dover fare i conti con condizioni meteo così impietose, iniziamo il nostro lungo viaggio di ritorno verso l’Italia.

 

3 commenti
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