Live report a cura di Alessandro Corno e Lorenzo Ottolenghi
Foto a cura di Bianca Saviane e ICS
80.000 biglietti regolarmente esauriti mesi prima dell’evento, più di 130 band, 7 palchi, l’estensione e la popolazione di una cittadina: questo è il Wacken Open Air, quello che viene considerato il più grande festival heavy metal al mondo; un evento a cui Thomas Jensen e Holger Hübner hanno dato vita nel 1990 e che si appresta a compiere 25 anni con l’incredibile record di un sold-out in meno di 48 ore. Ma è quasi impossibile descrivere come questo festival sia gigantesco sotto ogni aspetto: esagerato, sterminato e sfiancante; unico, totalizzante e spettacolare. In pochi altri luoghi si respira quella “global brotherhood” (quella del libro di Jörg Brüggemann) che è la musica metal, che trascende confini, differenze sociali e gap generazionali. Attempati rocker che possono raccontare di aver visto live i Black Sabbath dell’era Ozzy, metallari che spaziano dai glamster cotonati ai black metaller in paint, ragazzini spaesati con una maglia oversize degli Iron Maiden che si imbottiscono di birra,intere famiglie ed infanti (con tanto di micro-maglietta “made in Wacken”). Tra l’area campeggio ed il beer garden si incontrano persone provenienti letteralmente da ogni parte del mondo (oltre quasi tutta l’Europa, citiamo alla rinfusa: Cina, Australia, Stati Uniti, Ecuador, Brasile, Russia, Messico, Israele, Turchia, Perù, Giappone, Nuova Zelanda, Canada) ed ovunque imperano: musica metal, birra e voglia di far festa. Per un fan dell’heavy metal Wacken è come il pellegrinaggio alla Mecca: obbligatorio almeno una volta nella vita. Una, ovviamente, non è mai l’unica, ma solo la prima, perché è vero quanto dicono alcuni detrattori del festival: non si va al Wacken Open Air per vedere questo o quel gruppo, ci si va per essere al Wacken Open Air, rain or shine.
MERCOLEDI’ 31/07
Teoricamente il mercoledì non è ancora una giornata di festival, ma dalla mezzanotte è possibile accedere all’area camping e dalla mattina una buona parte delle facility sono già operative. E’ possibile, sopratutto, accedere alle aree del Beer Garden e del Wackinger Village oltre che al tendone che ospita W.E.T. Stage e Headbangers Stage, per un totale di quattro palchi che dalle 10 di mattina alle 2 di notte offrono concerti e spettacoli. Alla sera, quindi, ci siamo portati verso il Wackinger Stage per assistere ad un paio di concerti.
RUSSKAJA – Wackinger Stage, 20:00 – 21:00
Una discreta folla si riunisce davanti al piccolo Wacknger Stage, per assistere allo spettacolo della band austriaca. Il mix di musica folk russa, polka, ska e punk è divertente ed il gruppo capitanato da Georgij Makazaria sa come coinvolgere il pubblico, tra abbozzi di danze russe e canzoni che attingono ad una babele di influenze, ma sempre con un piglio goliardico e senza mai prendersi troppo sul serio. L’approccio dei Nostri è scanzonato e festaiolo ed i presenti recepiscono, partecipano e dimostrano anche una certa conoscenza della band (sopratutto su pezzi come “Energia”, “Traktor” e l’esilarante hit “Change”).
(Lorenzo Ottolenghi)
SANTIANO – Wackinger Stage, 22:00 – 23:00
Poco più tardi è il turno dei Santiano. I cinque “pirati” teutonici risultano essere un fenomeno abbastanza incomprensibile al di fuori della Germania. Autori di un misto di folk, musica popolare tedesca e ritmi marinari, hanno raggiunto un notevole successo in patria che verrà consacrato da un tour di otto mesi. Il gruppo esordisce con due suoi cavalli di battaglia: “Alle die mit uns auf Kaperfahrt fahren” e “Santiano”, mandando in visibilio il pubblico. I Nostri sciorinano ben quindici pezzi (compresa una cover dei Subway To Sally, con Eric Fish sul palco), la musica e l’atmosfera ben si adattano all’orario ed all’abbondante flusso alcolico. A fine concerto il pubblico si divide tra chi continuerà la prima lunga nottata del Wacken Open Air e chi si rilassa, risparmiando le forze per i tre giorni di festival “vero”.
(Lorenzo Ottolenghi)
GIOVEDI’ 01/08
Giovedì è il primo giorno di festival. Dal punto di vista climatico sarà probabilmente la giornata migliore di tutta la kermesse; alle tre del pomeriggio c’è già una vasta folla che attende l’apertura della area concerti principale che, con puntualità teutonica, avviene in perfetto orario, preceduta dall’immancabile sirena. Per chi ama questa musica, sopratutto nella sua dimensione live, pochi momenti sanno regalare più emozioni di questo, quando l’enorme prato che ospita i tre palchi principali si spalanca, dando l’esatta idea delle dimensioni del festival e le prime decine di persone corrono verso le transenne in quella che, per tre giorni, sarà la casa di decine di migliaia di ‘metalhead’.
SKYLINE – Black Stage, 16:00 – 16:45
Dopo l’immancabile presentazione, il festival viene finalmente aperto (come da tradizione) dagli Skyline. La cover band, presente alla prima edizione del festival nel 1990. I Nostri sono in gamba, buoni musicisti a cui spetta certo un compito non semplicissimo, dovendo dare il via al festival. In questo, canzoni come “Strong Arm Of The Law” o “Paranoid” e “Bark At The Moon”, aiutano ed i presenti hanno una tale voglia di musica metal che perdonano una “Paradise City” abbastanza imbarazzante. Unico neo: la mancanza di Doro e di “We Are The Metalheads”, inno di Wacken e momento che si imprime sempre nella memoria. Era d’altronde comprensibile, visto l’esibizione della regina dell’heavy metal, attesa per la sera successiva.
(Lorenzo Ottolenghi)
ANNIHILATOR – Black Stage, 17:00 – 18:00
Il festival è iniziato, i “rituali” wackeniani adempiuti: è tempo del primo vero concerto. Onore ed onere spettano a Jeff Waters ed ai suoi Annihilator, dieci anni dopo la loro ultima apparizione al festival, e l’apertura è coraggiosa, con “Smear Campaign”, estratta dall’ultimo “Feast”, al momento del concerto ancora inedito. Waters e Padden sono decisamente in forma, e la rossa Epiphone di uno dei chitarristi più geniali della scena thrash, regala brividi. Una marcia lungo tutta la carriera della band canadese, che vede il suo apice nella combo “The Fun Palace” / “I Am In Command” e la conclusiva “Alison Hell”. Assistere ad un concerto degli Annihilator, con un pubblico così numeroso e partecipe, è sicuramente una fortuna; lo stesso Waters sembra quasi stupito delle ovazioni tributategli dalle prime file e dal numero di corna levate al cielo che salutano la fine dello show. Decisamente un ottima performance e un grande inizio.
(Lorenzo Ottolenghi)
SETLIST
Smear Campaign
King of the Kill
No Way Out
Clown Parade
Set the World on Fire
W.T.Y.D.
The Fun Palace
I Am in Command
No Zone
Fiasco
Alison Hel
HAGGARD – Headbangers Stage, 18:25 – 19:10
Neanche il tempo di bere una birra, ed è tempo di correre all’ Headbangers Stage per lo show degli Haggard. Probabilmente la scelta del piccolo palco sotto il tendone non è del tutto felice, visto che la band tedesca è molto attesa ed il pubblico riempie completamente lo spazio destinato ai due palchi “coperti”. Altro neo è rappresentato dai suoni e dai livelli; certamente gli Haggard non sono una band che può essere ascoltata al meglio nella sua dimensione live, ma risulta necessario raggiungere le prime file per distinguere le canzoni. Probabilmente la band se ne accorge ed il growl di Asis viene lievemente alzato, per permettere al pubblico una minima partecipazione. Un concerto non lunghissimo, ma intenso, per una band amata da molti e che, nonostante le difficoltà, riesce a regalarci delle ottime versioni di “Awaking The Centuries” e “Eppur Si Muove”. Forse la formazione avrebbe meritato un posto su uno dei palchi principali (magari lo stesso giorno, al posto dei Thunder ?), dato che l’anno scorso con i Dimmu Borgir, avevamo visto che è possibile portare un’orchestra su un palco all’aperto ed ottenere un risultato di tutto rispetto.
(Lorenzo Ottolenghi)
DEEP PURPLE – Black Stage, 20:15 – 21:45
Ogni festival ha degli headliner e (insieme ai Rammstein) i Deep Purple sono stati gli headliner della prima serata. Dire che una band del genere fosse attesa, è dire poco: il gruppo attinge quasi esclusivamente dal “periodo Ian Gillan”, esordendo con “Highway Star” e piazzando una serie di classici impressionante, che culminano con una notevole “Strange Kind Of Woman”. I presenti sono in visibilio, come naturale, nonostante un Ian Gillan in forma non proprio smagliante e un’interazione col pubblico che, spesso, risulta un po’ scarsa. D’altro canto, però, uno Steve Morse impeccabile è un piacere da ascoltare e da vedere anche per chi non è un fan sfegatato dei Deep Purple. Si prosegue con pezzi del calibro di “Lazy”, “Perfect Strangers” o “Space Truckin”: davanti a simili pietre miliari dell’hard rock, non ci si può che inchinare, anche se più il (lungo) concerto prosegue, più la performance di Gillan diventa altalenante. Al pubblico, però, non sembra interessare troppo: davanti a delle leggende, probabilmente, il giusto approccio è quello di godersi lo show, partecipare ed abbandonarsi al sing-along più sfrenato. Cosa che raggiunge il suo apice nell’amata/odiata “Smoke On The Water”; probabilmente il riff di chitarra più famoso della storia, potrà aver stufato i più, ma la cornice di Wacken, con le decine di migliaia di persone e la luce crepuscolare del tramoto, con un Gillan che, di colpo, ritrova la voce, creano un’istantanea da ricordare, impreziosita dai fraseggi di chitarra tra Steve Morse e Uli Jon Roth, unitosi, per l’occasione, alla band. Ottima conclusione per un concerto che ha visto un pubblico partecipe ed entusiasta, ma una band non sempre all’altezza dell’evento (ad esclusione del sempre ottimo Morse). Partono gli encore che rispecchiano tutto lo show dei Deep Purple: una pessima prova con “Hush” ed una più convincente “Black Night”.
(Lorenzo Ottolenghi)
SETLIST:
Highway Star
Into the Fire
Hard Lovin’ Man
Vincent Price
Strange Kind of Woman
Contact Lost
Guitar Solo (Steve Morse)
The Well-Dressed Guitar
Hell to Pay
Lazy
Above and Beyond
No One Came
Keyboard Solo (Don Airey)
Perfect Strangers
Space Truckin’
Smoke on the Water (con Uli Jon Roth)
Green Onions (Booker T. & The MG’s cover)
Hush (Billy Joe Royal cover)
Black Night
RAMMSTEIN – True Metal Stage, 22:15 – 00:00
Attualmente sono tra le band di punta in ambito metal e affini e quest oggi ricoprono la tanto attesa posizione da headliner nel più importante festival metal al mondo. Assistere ad un concerto dei Rammstein è sempre spettacolare e figuriamoci nella loro madrepatria, di fronte a settantamila fan, con alle spalle imponenti elementi scenografici in stile tra l’industriale e il post apocalittico e un impianto audio a dir poco mostruoso. La condizione è quindi ideale per uno show intensissimo che ha inizio con Till Lindemann che sulle note di “Ich tu dir Weh” viene calato dall’alto del palco tra botti ed effetti pirotecnici. Impressionante da subito il muro sonoro che esce dalle amplificazioni ad un volume tale da far tremare lo stomaco. Tutto il vastissimo pubblico ovviamente conosce i testi e canta a gran voce, donando ulteriore intensità al concerto. La successiva “Wollt ihr das Bett in Flammen Sehen?” è valorizzata da effetti luce a dir poco spettacolari, fiammate a raffica e Till che illumina il palco roteando due bengala. Grandi colonne di fumo e luci blu elettrico per “Keine Lust” che precede una “Sehnsucht”, dove sono invece il rosso e i fuochi a predominare. Dopo “Asche zu Asche”, con “Feuer Frei! e le relative mega fiammate sparate dai membri della band, lo show decolla definitivamente e nonostante il cantato di Lindemann non sia sempre all’altezza, è impossibile non farsi rapire dall’impatto visivo della performance. La monolitica “Mein Teil” vede Till armato di lanciafiamme dar fuoco al pentolone in cui si trova Flake, mentre “Ohne Dich” è uno dei pochi momenti rilassati dell’intero show. Tra gli episodi che più coinvolgono il pubblico “Du Riechst so Gut” e “Benzin”, sulla quale Till da fuoco a uno stuntman. Sono però come al solito “Du Hast” e i razzi sparati sopra le teste del pubblico a scatenare il vero delirio in platea. Con “Bück Dich”, le chitarre trasformate in lanciafiamme e la finta sodomizzazione di Flake entriamo nella parte finale del concerto. Dopo “Ich Will” è tempo per una pausa a cui seguono i bis con la versione piano di “Mein Herz Brennt” e “Sonne” cantata in duetto con l’artista settantenne tedesco Heino. Il gran finale è invece lasciato all’immancabile “Pussy” con Lindemann che innonda le prime file sparando schiuma da un pene gigante. Si chiude così uno spettacolo vero e proprio che ha divertito, colpito e impressionato tutto il pubblico di Wacken.
(Alessandro Corno)
SETLIST:
Ich tu Dir Weh
Wollt Ihr das Bett in Flammen sehen?
Keine Lust
Sehnsucht
Asche zu Asche
Feuer Frei!
Mein Teil
Ohne dich
Wiener Blut
Du Riechst so Gut
Benzin
Links 2-3-4
Du hast
Bück Dich
Ich Will
Mein Herz Brennt
Sonne
Pussy
VENERDI’ 02/08
La seconda giornata del festival avrà come costante un caldo torrido. Un appunto all’organizzazione va sicuramente fatto: la totale mancanza di nebulizzatori (presenti, invece, l’anno scorso, insieme a delle docce nell’area concerti), il costo dell’acqua uguale a quello della birra, i pochi ombrelloni presenti nel beer garden hanno creato non pochi problemi alle persone presenti. In una manifestazione di tale portata, con un biglietto di ingresso non tra i più economici ed una gestione, generalmente, impeccabile.
GOJIRA – Black Stage, 13:30 – 14:30
Alle 13:30, un cospicuo gruppo di fan dei Gojira si riunisce davanti al Black Stage, sfidando il clima torrido per assistere al concerto della band francese (chiamata, in extremis, a sostituire gli As I Lay Dying, dopo il forfait di questi ultimi, dovuto alle note vicende giudiziarie di Lambesis). Molto probabilmente i presenti ci hanno guadagnato, assistendo ad una band in gran spolvero, sicuramente entusiasta di trovarsi su uno dei main stage di Wacken. Joe Duplantier e soci picchiano fin da subito, esordendo con una micidiale “Explosia” e, poco dopo, “Backbone”. Nonostante l’orario infelice ed il clima, la prestazione è notevole e molto precisa, il pubblico partecipe e coinvolto ed il concerto di circa un’ora è godibile, nonostante i suoni non proprio impeccabili (cosa penalizzante per una band come i Gojira che basa il suo sound anche su tecnicismi che sono andati un po’ persi). Il pubblico accenna anche un sing-along su “L’Enfant Sauvage”, per chiudere poi con la splendida “Oroborus” (seguita da “The Gift Of Guilt” come encore). Uno show godibile, più per l’attitude della band che per la resa sonora che è stata, come detto, un po’ penalizzante.
(Lorenzo Ottolenghi)
SETLIST:
Explosia
Flying Whales
Backbone
Love
L’Enfant Sauvage
Vacuity
The Heaviest Matter of the Universe
Connected
Remembrance
Oroborus
The Gift of Guilt
POWERWOLF – True Metal Stage, 14:45 – 15:45
Abbiamo ancora nelle orecchie le note dei Gojira ed è già tempo di Powerwolf. Clima sempre più torrido, ma una gran folla assiepata davanti al True Metal Stage, per ascoltare la band dell’istrionico Attila Dorn. Inizia con “Sanctified With Dynamite” uno show strepitoso, coadiuvato dal genere particolarmente amato in terra tedesca, melodie assolutamente “catchy” e la teatralità dei cinque mannari. Nonostante il caldo sia ormai asfissiante e pochi azzardino avvicinarsi ad una birra, si prosegue pescando anche dal nuovo “Preachers Of The Night”. La setilst dei Powerwolf non concede tregua, cercando di comprimere in un’ora tutti i classici; i Nostri trovano nel live la loro dimensione ideale e la carica dell’open-air è tangibile. “Werewolves Of Armenia” e “In The Name Of God” convincono i fan dei Powerwolf a sfidare la temperatura: si formano moshpit, un grosso circle-pit appare vicino alle prime file ed il crowd-surfing diventa un flusso pressoché continuo. La band recepisce e ripaga con una “Resurrection By Erection” incredibilmente coinvolgente. Oltre ad essere dei musicisti perfettamente a loro agio davanti ad un grande pubblico, i Powerwolf sono dei veri e propri intrattenitori e la teatralità che sanno proporre è sempre garanzia di ottimi concerti. Il tempo vola ed è tempo di “Lupus Dei” che chiude una performance spettacolare, lasciando gli astanti soddisfatti, anche se, forse, desiderosi di uno concerto un po’ più lungo. La musica della band può piacere o no, la loro proposta musicale non sarà, forse, la più originale del mondo ed, anzi, può risultare anche abbastanza pacchiana; ciò non toglie che i Powerwolf siano degli ottimi professionisti e abbiano regalato uno dei migliori concerti dell’edizione 2013 del festival.
(Lorenzo Ottolenghi)
SETLIST
Sanctified With Dynamite
We Drink Your Blood
Amen & Attack
Werewolves of Armenia
In the Name of God
Resurrection by Erection
Coleus Sanctus
All We Need Is Blood
Kreuzfeuer
Raise Your Fist, Evangelist
Lupus Dei
BLACK MESSIAH – Headbangers Stage, 15:55 – 16:40
Purtroppo la distanza tra l’area concerti principale e l’Headbangers Stage che ospita il concerto dei Black Messiah è tale da non permetterci, in soli 10 minuti, di giungere per tempo, facendoci perdere l’inizio del concerto del blackster tedeschi. Il pubblico non è numerosissimo e, visto il clima ei il fatto che il palco si trovi sotto un tendone, questo rende il concerto godibile. Il tempo di prendere una birra, mentre la band sta già suonando (forse “Irminsul”, ma arriviamo troppo tardi per esserne certi). Zagan e soci proseguono con materiale preso dall’ultimo “The Final Journey”, proponendo “Der Ring Mit Dem Kreuz” e “Windloni” e riescono a regalare uno show intenso ma anche divertente in alcuni momenti, sopratutto quando emerge la vena più folleggiante della band. Concerto, come d’abitudine, concluso con la cover “Moskau”, che porta il pubblico a saltare ed accennare un po’ di mosh. Show dunque piacevole, che conferma i Black Messiah come una band dalle buone potenzialità che, forse, meriterebbe più attenzione fuori dai confini della nativa Germania.
(Lorenzo Ottolenghi)
AGNOSTIC FRONT – Black Stage, 18:30 – 19:30
E’ arrivato il momento del New York Hardcore, con i veterani Agnostic Front. Band discussa e discutibile, tra le “fautrici” (insieme a Suicidal Tendencies e Sick Of It All) di quel punto d’unione tra punk e metal che genererà mille contaminazioni, più o meno gradite dai puristi dell’uno e dell’altro genere. Il concerto inizia un po’ in sordina, con un pubblico abbastanza numeroso ma non molto partecipe (a parte, ovviamente, i fan più incalliti della band), ma Roger Miret dimostra di essere un frontman di notevole esperienza e già con “For My Family” la platea si scalda ed iniziano i primi violenti moshpit. Si prosegue e gli Agnostic Front dimostrano tutta la loro caratura, coinvolgendo ed incitando il pubblico che ha ormai totalmente superato alcuni preconcetti e reagisce con un’altra ondata di moshpit e circle-pit a “Crucified”; ma è con il cavallo di battaglia “Gotta Go”, annunciata e “caricata” da Miret, che si scatena l’inferno davanti al Black Stage. Gli Agnostic Front sanno, ormai, di avere il pubblico in pugno e non danno tregua, picchiando duro e raggiungendo il culmine con “A Mi Manera”. Il tempo è volato e l’ora concessa alla band di New York avrebbe potuto essere di più, ma c’è ancora un piccolo spazio per salutare Wacken, spazio riempito con un commiato del calibro di “Blitzkrieg Bop” dei Ramones, cover che convince anche i (pochi) rimasti fermi fino a quel momento e crea un unico gigantesco moshpit. Abbastanza a sorpresa, un ottimo concerto con una band in gran forma ed un pubblico conquistato e partecipe.
(Lorenzo Ottolenghi)
SETLIST
Addiction
Dead to Me
My Life My Way
That’s Life
For My Family
Friend or Foe
All Is Not Forgotten
Peace
Crucified
Public Assistance
Toxic Shock
Gotta Go
Take Me Back
A Mi Manera
The Eliminator
Blitzkrieg Bop (Ramones cover)
SOILWORK – Party Stage, 18:30 – 19:30
I Soilwork hanno calcato diverse volte il palco del Wacken Open Air e nelle nostre menti abbiamo ancora il ricordo di show intensi e caratterizzati dal tipico crowd surfing di massa sinonimo di grande apprezzamento da parte del pubblico. Oggi però la band ha la sfortuna di esibirsi con l’handicap di suoni decenti solo nelle zone più ravvicinate e centrali della platea antistante il Party Stage. Appena fuori da questa area “fortunata” la situazione audio è pessima, caratterizzata da suoni confusi e per di più disturbati dalla musica che esce a tutta forza dai potentissimi impianti dei due palchi principali. Così la partenza affidata alle nuove “This Momentary Bliss” e “Parasite Blues” appare piuttosto in sordina e fatica a smuovere il pubblico. Speed Strid sui puliti è abbastanza approssimativo ma riesce a tirare fuori le sue doti di frontman e incitare la folla prima della successiva e un po’ più datata “Weapon Of Vanity”, brano che finalmente riesce a far breccia tra i fan. Si torna sul nuovo materiale con la direttissima e sparata “Spectrum Of Eternity” che segue un’attesissima “Follow The Hollow”. La prestazione del gruppo pare buona ma diciamo appunto “pare”, perchè i suoni nel frattempo non sono migliorati molto. Ad ogni modo lo show prende un’altra piega, con fan che finalmente si lanciano in pogo e crowd surfing, sostenendo la band sulle efficaci “Tongue” e “Nerve”, le cui parti di cantato pulito vengono finalmente eseguite bene. Dopo “Let This River Flow” entriamo nella parte finale di un concerto in buona parte dominato da brani estratti dall’ultimo lavoro “The Living Infinite”, dal quale vengono proposte anche “Long Live the Misanthrope” e “Rise Above The Sentiment” prima del finale con “Stabbing The Drama”. Come detto, i suoni non erano certo al meglio e la cosa ha sicuramente intaccato una prova che è parsa meno brillante che in altre occasioni. La scelta poi di non suonare nemmeno un pezzo dai primi tre ottimi album e sbilanciare completamente la setlist sulla nuova produzione, a nostro avviso appare criticabile e ci fa pensare che in questa occasione i Soilwork non abbiano certo dato il meglio.
(Alessandro Corno)
SETLIST
This Momentary Bliss
Parasite Blues
Weapon of Vanity
Spectrum of Eternity
Follow the Hollow
Tongue
Nerve
Let This River Flow
Long Live the Misanthrope
Rise Above the Sentiment
Stabbing the Drama
SABATON – True Metal Stage, 19:45 – 20:45
Inutile negare che i Sabaton fossero uno dei gruppi più attesi del festival. Se qualcuno poteva pensare che gli headliner della seconda serata fossero i Motörhead, non può che ricredersi davanti alla folla oceanica riunita davanti al True Metal stage. Fin dall’inizio si potevano notare avvisaglie, dalla quantità di magliette della band e di pettinature in “onore” del cantante Joakim Broden. Ed i cinque svedesi non si risparmiano: le danze si aprono, come d’abitudine, con “Ghost Division”, seguita da “Gott Mit Uns”. Broden ha una verve notevole ed una capacità impressionante di conquistare il pubblico: corre, parla, scherza, beve e non si risparmia mai, anche quando ammette come trovi lui stesso incredibile trovarsi sul palco principale di Wacken, davanti ad una folla sterminata. Pubblico che è in totale visibilio e non si risparmia: un flusso continuo di crowd-surfing accompagna tutto il concerto, così come un sing-along su ogni singola canzone, compresa la versione svedese di “The Carolean’s Prayer”; la scaletta proposta è fondamentalmente quella dell’ultimo tour e, forse, la band avrebbe potuto concedere un po’ più di “classici” (come “Attero Dominatus” o “40:1”) e più di un solo pezzo dal penultimo “Coat Of Arms”, ma -nonostante questo- lo show consacra definitivamente i Sabaton e dimostra, ancora una volta, l’umiltà di una band che viene da una lunga gavetta e che ha ottenuto il successo con una caparbia dedizione. Tutto questo Broden lo trasmette perfettamente ai fan, che rispondono e supportano, anzi: riesce a farsi percepire come uno del pubblico e questo rende, in qualche modo, unico il concerto dei Sabaton. Decisamente un altro dei migliori momenti del festival.
(Lorenzo Ottolenghi)
SETLIST
Ghost Division
Gott Mit Uns
Carolus Rex
Into the Fire
The Carolean’s Prayer
Swedish Pagans
Midway
Cliffs of Gallipoli
The Art of War
Primo Victoria
Metal Crüe
MOTÖRHEAD – Black Stage, 21:00 – 22:15
E’ molto difficile parlare dello show dei Motörhead. Non è questa la sede in cui disquisire dei problemi di salute che hanno afflitto Lemmy nell’ultimo periodo, ne’ per chiedersi se, effettivamente, il Nostro abbia voluto “provarci” ad essere presente al più grande festival metal del mondo o se, invece, sia stato guidato solo da motivi meramente economici. Ci limitiamo a parlare del breve concerto. La band inizia un po’ a rilento, è evidente che Lemmy non è in gran forma ed i suoi dialoghi col pubblico palesano una voce affaticata e “biascicata” (più del solito, per chi è abituato a vederli live). Alla terza canzone, però, la band sfodera una notevole “Stay Clean” ed anche la voce di Lemmy ricompare; con la successiva “Metropolis” sembra che i Motörhead siano riusciti a decollare definitivamente. “Over The Top”, pur se con qualche incertezza, fuga ogni dubbio. E’ verso la fine di questo brano, però, che qualcosa sembra “rompersi”; un lungo assolo di Campbell (che più volte guarda dietro le quinte, evidentemente confuso); c’è qualche pausa, ma Lemmy ricompare per “The Chase Is Better Than The Catch” e sembra farcela, anche se è evidentemente in forma non certo ottimale. Per questo il suo “I’m sorry, goodbye” coglie il pubblico un po’ di sorpresa. Ci vuole un po’ per comprendere esattamente cosa sia successo, finché Thomas Jensen (uno dei patron della manifestazione) compare sul palco per comunicare che Lemmy non riuscirà a proseguire e rassicurando il pubblico sulle condizioni di salute del cantante. Anche in questo caso va mossa una piccola critica all’organizzazione: Thomas (o chi per lui) avrebbe potuto spiegare la situazione anche in inglese, invece di limitarsi al tedesco, dato che buona parte dei partecipanti a Wacken non viene dalla Germania.
(Lorenzo Ottolenghi)
SETLIST
I Know How to Die
Damage Case
Stay Clean
Metropolis
Over the Top
Guitar Solo
The Chase Is Better Than the Catch
DORO – True Metal Stage, 22:30 – 00:00
Alla “regina dell’heavy metal” spetta il compito di far dimenticare al pubblico la debacle dei Motörhead. Doro è praticamente di casa a Wacken e molto amata in Germania, senza considerare che i Warlock (che diedero i natali alla carriera della cantante) sono stati una band seminale nella definizione del sound metal teutonico. Ciononostante ci stupisce l’enorme affluenza di pubblico, venuto a tributare il giusto riconoscimento a trenta anni di carriera, iniziata nel 1983 proprio con il demo dei Warlock. Così sono proprio due pezzi della vecchia band di Doro ad aprire il concerto (“I Rule The Ruins” e “Burning The Witches”). La bionda cantante mette in campo tutto il suo innegabile carisma, l’interazione col pubblico è altissima e quasi ogni pezzo viene annunciato (in inglese!), arricchito, a volte, da aneddoti di una carriera trentennale. I “guest” di questa festa sono molti, da Chris Boltendahl che duetta in “East Metts West” dei Warlock, a Biff Byford che, con Doro, esegue “Denim and Leather”, ed ancora: Uli Jon Roth, Eric Fish, Phil Campbell, Joakim Brodén ed i Corvus Corax, in un mix di brani di Doro, dei Warlock e dei Judas Priest. In tutto questo, Doro trova anche il tempo di rassicurare il pubblico sulle condizioni di salute di Lemmy. Immancabile “We Are The Metalheads”, inno di Wacken che gli Skyline non avevano eseguito in apertura di festival. Un buon concerto, un’ottima partecipazione del pubblico e, tutto sommato, il giusto plauso ai trenta anni di carriera di Doro Pesch.
(Lorenzo Ottolenghi)
SETLIST
I Rule the Ruins (Warlock cover)
Burning the Witches (Warlock cover)
Rock Till Death
East Meets West (Warlock cover, con Chris Boltendahl)
The Night of the Warlock
We are the Metalheads
Raise Your Fist in the Air
Denim and Leather (Saxon cover con Biff Byford)
Hellbound (Warlock cover)
Für Immer (Warlock cover con Uli Jon Roth)
Revenge
Metal Tango (Warlock cover con Eric Fish e Frau Schmitt)
Breaking the Law (Judas Priest cover con Phil Campbell)
All We Are (Warlock cover con Eric Fish, Joakim Brodén e altri)
Earthshaker Rock (Warlock cover)
AMORPHIS – Party Stage, 00:15 – 01:30
Band complessa, gli Amorphis. I loro fan sono spesso divisi tra coloro che amavano la prima parte della produzione della band e chi la seconda, con (generalmente) “Elegy” e “Tuonela” a far da spartiacque. Band sottovalutata per alcuni e sopravvalutata per altri, sicuramente coraggiosa ed imprevedibile. Con queste premesse il gruppo finlandese si presenta sul Party Stage, con le due anime che li contraddistinguono: quella più sperimentale e progressive e quella più metal e diretta. Così la prima parte del concerto è acustica, con la presenza (ormai consolidata) di Sakari Kukko al sax. Spaziando tra i lavori più recenti e concludendo con addirittura un’irriconoscibile “Sign From The North Side”, la band si presenta con una performance probabilmente poco adatta ad un open-air e che convince poco, mancando di mordente; probabilmente ciò che può riuscire bene nell’atmosfera raccolta di un club, non funziona altrettanto bene in un festival. La seconda parte, invece, ci presenta gli Amorphis nella loro veste più “classica” ma con una setlist, forse, troppo incentrata sull’ultimo “Circle” (cinque canzoni su otto) ed una chiusura con la sempre spettacolare “My Kantele”. Una prova che non ci ha convinto del tutto, probabilmente perché poco adatta ad un festival.
SETLIST
Set acustico
Enigma
I of Crimson Blood
Empty Opening
Rusty Moon
Sign from the North Side
Set elettrico
Shades of Gray
Nightbird’s Song
Silver Bride
Narrow Path
The Castaway
Hopeless Days
House of Sleep
My Kantele
GRAVE DIGGER – True Metal Stage, 01:45 – 03:00
E’ notte (quasi le due), quando i Grave Digger fanno la loro comparsa sul True Metal Stage. Diciamo subito che lo show della band di Chris Boltendahl è un po’ sottotono, rispetto allo standard sempre molto elevato a cui i Nostri ci hanno abituato negli anni. In realtà uno show in crescendo, con il pubblico che -forse anche per l’orario- fatica a rispondere al gruppo ed i Van Canto (che avrebbero dovuto essere una specie di piccolo evento nello show, accompagnando i Digger per tutto il concerto) non riescono a farsi sentire, complice un loro volume scandalosamente basso. Ma sulla splendida “Ballad of a Hangman”, gli astanti si risvegliano e la magia del sound dei tedeschi fa breccia. Un medley di alcuni classici è seguito da “Excalibur” ed una seconda parte di concerto decisamente più convincente, con un circolo virtuoso che porta il pubblico a rispondere alla band e il gruppo a suonare, di conseguenza, con più trasporto. Chiudono le immancabili “Rebellion” (a cui partecipa l’instancabile Joakim dei Sabaton e Cam McAzie con la sua incredibile cornamusa sputafiamme) e “Heavy Metal Breakdown”. Come dicevamo, show partito in sordina e cresciuto sul finale; anche per i Grave Digger, però, resta il rammarico di un concerto con la stessa setlist portata in tour.
(Lorenzo Ottolenghi)
SETLIST
Clash of the Gods
Death Angel & the Grave Digger
Hammer of the Scots
Knights of the Cross
Wedding Day
Ballad of a Hangman
The House
Medley: The Reaper / We Wanna Rock You / Baphomet / Twilight of the Gods
Excalibur
The Last Supper
Home at Last
Highland Farewell
Rebellion (The Clans Are Marching) (con Joakim Brodén e Cam McAzie)
Heavy Metal Breakdown
SABATO 03/08
Dopo il caldo torrido dei primi giorni, la mattina di sabato si presenta finalmente fresca. Un acquazzone di circa un’ora farà la sua comparsa nel primo pomeriggio (per fortuna, nulla a confronto dei tre giorni di pioggia intensa dell’edizione 2012), palesando ancora qualche piccolo problema organizzativo (come il numero di ombrelloni sotto cui ripararsi, diminuito rispetto agli anni precedenti) e creando qualche pozza di acqua, presto trasformatasi in fango, che verrà utilizzata come “piscina”, nella miglior tradizione W:O:A. Rain or shine!
FEAR FACTORY – Black Stage, 13:15 – 14:15
L’ultima volta che avevamo visto i Fear Factory a Wacken era il 2010 e la band, con all’epoca Gene Hoglan alla batteria, era stata autrice di una prova convincente in uno slot notturno. Oggi invece il gruppo viene sempre fatto esibire sul main stage ma praticamente all’ora di pranzo. Sebbene quindi la band parta calando da subito i suoi assi “Demanufacture” e “Self Bias Resistor”, la platea è comprensibilmente ancora un po’ fredda e quindi poco reattiva. Ci mette del suo anche Burton C. Bell che sappiamo tutti non essere eccezionale sul cantato pulito e oggi sembra averne ancora di meno. Il resto del gruppo, che ora vede al basso Matt DeVries e alla batteria Mike Heller, è una macchina ritmica devastante, con Dino Cazares che macina riff su riff con grande precisione. I suoni inoltre sono potentissimi, nitidi e ben bilanciati. Con “Shock” e “Edgecrusher” finalmente si vede qualche avvisaglia di pogo, il pubblico inizia a scaldarsi e si entra nel vivo dello show. Nella parte centrale trovano spazio anche “Powershifter”, l’ancorpiú recente “The Industrialist”, unico estratto dal nuovo album, e l’insolita “Cyberweight”. Il finale invece è lasciato alle devastanti classiche “Replica” e “Martyr”, chiusura di uno show sicuramente penalizzato dall’orario e dallo stato di forma del frontman.
(Alessandro Corno)
SETLIST:
Demanufacture
Self Bias Resistor
Shock
Edgecrusher
The Industrialist
Powershifter
What Will Become?
Archetype
Cyberwaste
Replica
Martyr
LAMB OF GOD – Black Stage, 15:45 – 16:45
Con l’esposizione mediatica planetaria che il processo a Randy Blythe ha portato ai Lamb Of God, l’attesa per la loro performance è a dir poco notevole. La platea è stracolma di fan in attesa della band americana che per la prima volta oggi calca palco del Wacken Open Air. Il gruppo attacca “Desolation”, con Randy Blythe che fa il suo ingresso sul palco con un atteggiamento inizialmente piuttosto rilassato, composto. E’ solo il preludio all’assalto sonoro che la band mette in atto con la successiva “Ghost Walking”. Blythe inizia a fomentare il pubblico e lo show decolla già dopo pochissimi pezzi. “Walk With Me” è accompagnata da un pogo forsennato e un crowd surfing generalizzato a tutta la parte anteriore della platea, indice di un apprezzamento unanime verso la bella prestazione che il gruppo sta offrendo, guidato da una sezione ritmica precisa e con un gran tiro. Dopo “Set To Fail” ecco però che i neri nuvoloni nel frattempo accumulatisi sopra le nostre teste iniziano a scaricare una quantità d’acqua impressionante. Con “Now You’ve Got Something to Die For”, dedicata a un Lemmy ancora convalescente causa di un ematoma, il vento si intensifica e la tempesta imperversa al punto che la folla si disperde in un fuggi fuggi generale verso i pochi punti coperti. Noi stessi finiamo per rifugiarci nell’area stampa, da cui assistiamo attraverso gli schermi alla parte finale del concerto. Non pochi i temerari che, incuranti di acqua, freddo e fango, restano stoicamente su quello che ora sembra un campo di battaglia. E’ proprio il caso di dirlo: qui a Wacken più piove, più la frangia esagitata del pubblico si diverte e sulle note di “In Your Words”, “Laid To Rest” o della conclusiva “Black Label” non si contano i circle pit, i fan che si lanciano nel fango e che acclamano a gran voce il quintetto americano. Un concerto breve ma intenso, che non è stato fermato nemmeno dall’unico fortissimo acquazzone del Wacken Open Air 2013.
(Alessandro Corno)
SETLIST
Desolation
Ghost Walking
Walk with Me in Hell
Set to Fail
Ruin
Now You’ve Got Something to Die For
Omerta
In Your Words
Laid to Rest
Redneck
Black Label
SONATA ARCTICA – Party Stage, 15:45 – 16:45
Lo show dei Sonata Arctica inizia sotto un cielo plumbeo, foriero di pioggia, ma con un pubblico in numero più che considerevole davanti al Party Stage. La band attacca con “Only The Broken Hearts” ed il primo pensiero che viene è qualche problema ai monitor che, probabilmente, impedisce al gruppo di sentirsi correttamente: capita e, di solito, è un problema che si risolve in pochi minuti. Ma quando la successive “Black Sheep” (una delle canzoni più note dei finlandesi) risulta -a fatica- riconoscibile solo nel chorus, ci rendiamo conto che il problema non è impiantistico. La performance della band e, sopratutto, di Tony Kakko è a dir poco imbarazzante e lascia il pubblico attonito. Mentre i fan più incalliti cercano di incitare i Sonata Arctica e una buona parte degli astanti decide che può essere un buon momento per concedersi una pausa con una birra, la pioggia si scatena, portando la maggior parte del pubblico a cercare rifugio lontano dal palco. Trovato un riparo dalla pioggia, assistiamo al resto del concerto, solo per sentire dei capolavori come “Replica” e “Fullmoon” eseguiti in modo totalmente irriconoscibile. Sicuramente il peggior concerto a cui abbiamo assistito in questa edizione del Wacken Open Air.
(Lorenzo Ottolenghi)
SETLIST
Only the Broken Hearts (Make You Beautiful)
Black Sheep
Shitload of Money
Losing My Insanity
The Last Amazing Grays
I Have a Right
Replica
FullMoon
Cinderblox
Don’t Say a Word
ANTHRAX – True Metal Stage, 17:00 – 18:15
Dopo la pioggia, è il turno dei veterani Anthrax, occasione per vedere Donais (che ha recentemente sostituito Caggiano alla chitarra) e l’onnipresente Jon Dette che, dopo aver supportato gli Slayer, ora sostituisce Benante per le performance live. Scott Ian e soci iniziano con un trittico massacrante: “Among The Living”, “Caught In A Mosh” e “Efilnikufesin”, mentre una vasta pozza al centro del parterre diventa il fulcro di un immenso circle-pit che proseguirà per tutto il concerto, chiamato più volte da un Belladonna in forma smagliante. Non c’è che dire: quando gli Anthrax sono in forma, sono in grado di coinvolgere il pubblico come poche altre band e regalare performance di altissimo livello. Così tra fango e moshpit, i thrasher newyorkesi si lanciano in una setlist che comprime in poco più di un’ora tutti i pezzi storici. La band stessa sembra impressionata dall’incuranza del pubblico per il terreno fangoso e, dopo la conclusiva “Antisocial”, si accomiata con un “Excellent job in the pit” da parte di un Belladonna entusiasta. Un altro ottimo concerto, che ci lascia coperti di fango.
(Lorenzo Ottolenghi)
SETLIST
Among the Living
Caught in a Mosh
Efilnikufesin (N.F.L.)
In the End
Deathrider
T.N.T. (AC/DC cover)
Indians
Got the Time (Joe Jackson cover)
Fight ‘Em ‘Til You Can’t
I Am the Law
Madhouse
Antisocial
SECRET SPHERE – W.E.T. Stage 17:35 – 18:05
La tempesta che ha interessato il festival durante i Lamb Of God è cessata e ci dirigiamo verso il mega tendone dove si trovano l’Headbanger Stage e il W.E.T. Stage, per assistere allo show dei nostrani Secret Sphere. Delle due grandi vie di passaggio dall’arena principale a questa secondaria area concerti, una è completamente allagata e molti sono i fan che si vedono costretti a una lunga coda per raggiungere la seconda entrata. parecchi inoltre sono completamente fradici e si dirigono lentamente verso i campeggi per cambiarsi scarpe e vestiti. Questo sicuramente non deve aver favorito l’affluenza al concerto dei Secret Sphere e difatti di fronte al palco inizialmente non troviamo moltissimo pubblico. La prestazione della band, con la solita spettacolare voce di Michele Luppi e una prova precisa e tecnicamente ineccepibile del resto della band, è ad ogni modo talmente buona che via via la platea si affolla e si anima, con i fan, di cui molti italiani, che cantano, applaudono e sostengono il gruppo. Dopo l’iniziale “X”, Luppi risponde al calore della folla dedicando “Healing” a tutti i presenti e strappando non pochi applausi per la sua performance. La setlist è interamente dedicata all’ultimo album “Portrait For A Dying Heart”, il primo con Luppi alla voce, indice che la band ha ora una precisa e consolidata identità da mostrare al pubblico estero. Ottimi brani come “Union” o la cantabile e coinvolgente “Lie To Me” lasciano il loro segno e raccolgono il consenso unanime della platea. Una prova breve ma che ha dato modo al gruppo italiano di far vedere tutte le proprie qualità. Certo, date le capacità sia compositive che esecutive decisamente superiori rispetto a tanti altri colleghi esteri che hanno trovato spazio sui palchi principali, la speranza è quella di rivedere i Secret Sphere su uno di questi e dunque di fronte ad un pubblico molto più numeroso.
(Alessandro Corno)
CANDLEMASS – Party Stage, 21:00 – 22:15
Il pubblico che si apposta davanti al Party Stage per i doomster svedesi, non è certo tra i più numerosi, ma questo non pare intaccare l’entusiasmo del frontman Mats Leven che raccoglie l’eredità di Rob Lowe e ce la mette tutta per dimostrare di essere all’altezza del compito. Setlist di tutto rispetto che pesca per lo più dall’ultimo disco e dai classici della band: l’esordio con “Prophet”, seguita da “Bewitched” e “Dark Reflections” manda in estasi i fan e la band non si risparmia, con un Edling in forma a guidarla. L’assenza di una grande folla e l’orario serale, contribuiscono a creare un’atmosfera raccolta, che ben si adatta al sound dei Candlemass e al mood che la band riesce a creare. Leven, come detto, dà gran prova delle sue doti, approcciando senza timori “At The Gallows End” e ricevendo meritate ovazioni dai fan. C’è anche il tempo per degli encore, e i Candlemass, oltre alla classica chiusura con “Solitude” (con un partecipe sing along), ci deliziano con una splendida “Crystal Ball”. La concomitanza con Alice Cooper non ha aiutato Leif Edling e soci, ma i Nostri hanno fornito una prova di tutto rispetto.
(Lorenzo Ottolenghi)
SETLIST
Prophet
Bewitched
Dark Reflections
Waterwitch
Emperor of the Void
Under the Oak
At the Gallows End
Psalms for the Dead
Black as Time
Crystal Ball
Solitude
ALICE COOPER – Black Stage, 22:45 – 00:15
Avevamo visto Alice Cooper sul palco del Wacken Open Air 2010 e già era stato un grande show, ma quello di oggi, come leggerete di seguito, sarà qualcosa di assolutamente memorabile. Già dalle prime battute con la cover di “Hello Hooray” e la doppietta da infarto “House On Fire” – “No More Mr. Nice Guy” è evidente che lo stato di forma di Alice e del resto della band questa sera è assolutamente ai massimi. Cooper appare rinvigorito e non poco rispetto alle più recenti e comunque buone performance e il gruppo dà a tutti i presenti una lezione di hard rock difficile da dimenticare. Cardine in tutto questo, oltre ovviamente ad Alice, la bellissima e bravissima Orianthi, carismatica chitarrista dotata di una presenza scenica notevole e di una personalità stilistica che risalta ogni volta che si lancia in un assolo. La prima parte del concerto è un susseguirsi serrato di bordate hard rock che lascia senza fiato: “Under My Wheels”, “I’ll Bite Your Face Off” e “Billion Dollar Babies” vengono eseguite con gran tiro, praticamente senza pause e con il pubblico che partecipa allo show cantando e ballando. Energia allo stato puro che prosegue con brani quali la più recente “Caffeine” o i classici “Hey Stoopid” e “Dirty Diamonds”, trasportandoci in una parte centrale del concerto più teatrale e nella quale Alice si prodiga nei suoi soliti travestimenti e scene. Di grande effetto “Feed My Frankenstein”, con Alice che si trasforma nel celeberrimo mostro, e “I Love You Dead” dove invece viene ghigliottinato. Segue una terza sezione dello show dove scenografie e costumi vengono messe da parte e il gruppo omaggia i grandi del rock con una serie di cover che rispondono al nome di “Break On Through (to the Other Side)” dei The Doors, “Revolution” dei The Beatles, “Foxy Lady” di Jimi Hendrix e “My Generation” dei The Who. Un po’ troppe secondo alcuni, ma ad ogni modo assolutamente coinvolgenti e ben interpretate. Infine il tris finale con “I’m Eighteen“, una “Poison” cantata da tutte le decine di migliaia di presenti e la chiusura con “School’s Out” tra bolle di sapone, coriandoli e mega palloni lanciati al pubblico. Un degno gran finale per uno show memorabile, per chi scrive senza dubbio il migliore non solo del Wacken Open Air 2013 ma di tutta la stagione concertistica estiva.
(Alessandro Corno)
SETLIST
Hello Hooray (Judy Collins cover)
House of Fire
No More Mr. Nice Guy
Under My Wheels
I’ll Bite Your Face Off
Billion Dollar Babies
Caffeine
Department of Youth
Hey Stoopid
Dirty Diamonds
Welcome to My Nightmare
Go to Hell
He’s Back (The Man Behind the Mask)
Feed My Frankenstein
Ballad of Dwight Fry
Killer
I Love the Dead
Break On Through (to the Other Side) (The Doors cover)
Revolution (The Beatles cover)
Foxy Lady (The Jimi Hendrix Experience cover)
My Generation (The Who cover)
I’m Eighteen
Poison
School’s Out
NIGHTWISH – True Metal Stage, 22:45 – 00:15
Grande attesa anche per i Nightwish. Dopo le vicissitudini della band ed il secondo cambio di cantante, avvenuto in modo non proprio cristallino, molti si chiedevano se l’inserimento di Floor Jansen (più simile a Tarja che ad Anette Olzon, come timbrica vocale) avrebbe rappresentato una sorta di “ritorno alle origini” per Tuomas e compagni. La curiosità cresce quando, prima dell’inizio dello show, viene annunciato che il concerto verrà ripreso in ottica della release di un live. I Nostri esordiscono in maniera “old style”, con “Dark Chest Of Wonders” e “Wish I Had An Angel”, creando (nonostante Marco palesi subito qualche problema alla voce) l’immediato entusiasmo della “solita” folla immensa che ogni sera ha accompagnato le performance degli headliner. Si prosegue tra presente e passato, ma un’emozionantissima Floor segue la linea vocale di Anette ed i Nightwish sembrano voler rimarcare la distanza con il passato; se questo concerto può fornire un’indicazione sul futuro della band, allora è chiaro che i fan dei “vecchi” Nightwish possano mettersi il cuore in pace. Metà dei pezzi eseguiti è dell’era post-Tarja ed il resto è eseguito in modo simile a come avrebbe fatto Anette. Al di la’ di questo, il concerto risulta un po’ fiacco, sia per la performance vocale abbastanza scarsa di Marco che per Floor Jansen, chiaramente emozionata e, forse, un po’ in soggezione. Inoltre, la mancanza in setlist di hit come: “Wishmaster” o “Dead To The World” e l’inserimento di una strumentale (“Last Of The Wilds”) non proprio adatta ad un festival, hanno contribuito ad uno show un po’ sottotono o, comunque, inferiore alle aspettative di molti.
(Lorenzo Ottolenghi)
SETLIST
Dark Chest of Wonders
Wish I Had an Angel
She Is My Sin
Ghost River
Ever Dream
Storytime
I Want My Tears Back (con Troy Donockley)
Nemo (con Troy Donockley)
Last of the Wilds (con Troy Donockley)
Bless the Child
Romanticide
Amaranth
Ghost Love Score
Song of Myself
Last Ride of the Day
LINGUA MORTIS ORCHESTRA feat. RAGE – Black Stage, 00:30 – 01:30
E’ abbondantemente passata la mezzanotte, quando inizia la performance dei Rage / Lingua Mortis Orchestra (difficile, ormai, scindere i due progetti). Il concerto è basato, in buona parte, su “LMO”, il nuovo disco di quello che sarebbe riduttivo considerare solo un side-project dei Rage. L’atmosfera creata dalla band è ottima, grazie anche ad un set audio azzeccato, che permette di poter sentire bene sia le chitarre, che la componente orchestrale. Si apre con “Cleansed By Fire”, il singolo che costituisce il debut dei Lingua Mortis Orchestra, in un crescendo di atmosfere cupe e goticheggianti (in senso letterario e musicale) che raggiungono toni epici. La proposta non è semplice, né particolarmente adatta ad un open air, ma Smolski e soci, conquistano il pubblico “notturno”, meno numeroso e più incline a sound più “riflessivi”. Si prosegue con alcuni pezzi del repertorio Rage, alternati ai nuovi ed è sempre il carismatico Victor Smolski, con la sua chitarra, ad ipnotizzare il pubblico, fino alla conclusiva “Straight To Hell”. Un concerto che, idealmente, segna la fine del festival e ci porta ad iniziare il countdown per l’edizione 2014.
(Lorenzo Ottolenghi)
SETLIST
Cleansed by Fire
From the Cradle to the Grave
Scapegoat
Empty Hollow
Lament
Witches’ Judge
Straight to Hell