Report a cura di Roberto Guerra e Gabriele Mucignat
Anche se un po’ in ritardo, finalmente ci siamo! E’ stata un’edizione lievemente anomala, quella che ha fatto sfoggio del numero 30, scritto rigorosamente in caratteri romani, in bella vista sul front selezionato per presentare il più longevo tra i festival metal più famosi al mondo, il Wacken Open Air. Il motivo è invero abbastanza comico, se si pensa alla peculiare fama dell’evento in questione, che da sempre comprende l’altissimo rischio di ritrovarsi nel fango o sotto la pioggia: per ben due volte nel corso del festival, infatti, verrà comunicata una sorta di allerta meteo, che vedrà poi gli addetti alla sicurezza impegnati a far evacuare i presenti dall’interno dell’area concerti, consigliando a tutti di rifugiarsi all’interno delle proprie vetture, a patto di averne una sul posto. Tale trovata ha scatenato inevitabilmente moltissime polemiche in loco e sulla pagina ufficiale di Wacken, anche per via del fatto che, all’atto pratico, più di qualche goccia in croce non si è vista nel corso delle tre – o quattro, se si conta il pre-show – giornate previste; e per quanto avere un temporale a pochi chilometri di distanza possa creare disagio, riteniamo che forse le misure di sicurezza adottate siano state leggermente eccessive, pur comprendendo il timore a seguito del drammatico episodio avvenuto durante l’ultima edizione del Rock Am Ring. A parte questi due momenti isolati di nervosismo, il Wacken Open Air resta pur sempre la realtà immortale che è ormai da tempo, e ciò si traduce in una goduria notevole a base di metallo dalle molteplici influenze, che per la prima giornata vedrà nel magico show su due palchi dei Sabaton la propria arma letale. Per rendere la cosa più completa, inoltre, aggiungeremo al report del 1° agosto anche i trafiletti di un paio di esibizioni avvenute durante la giornata di riscaldamento. Buona lettura!
GAMA BOMB
Un’entrata in scena un po’ confusionaria, quella dei thrasher irlandesi Gama Bomb sul Wasteland Stage, impastata da una serie di suoni per nulla in linea con l’ottima qualità generale di questa edizione del festival, nonché dal ripetersi della sequenza d’intro; problematiche che fortunatamente non frenano i veloci riff di “Zombie Blood Nightmare”, né tantomeno la grinta dei musicisti on stage, nonostante il clima afoso del pomeriggio. La scaletta prosegue su ritmi serrati e senza mai scadere anche solo in un accenno di seriosità; eccezion fatta per il livello musicale, come da prassi per la band, che spara a ripetizione colpi sicuri come “Final Fight”, “We Respect You” e “Thrashaholic”, abbinate a cartucce più recenti quali “666teen” e “Bring Out The Monster”, senza precludere nemmeno rapidissimi e ignorantissimi inserti come “Mussolini Mosh” per scaldare ulteriormente gli animi sotto il palco, già infuocati da un piccolo moshpit. I Gama Bomb sanno esattamente come combinare velocità, umorismo e musicalità anche in uno dei palchi più piccoli di Wacken, offrendo tre pregevoli quarti d’ora al pubblico, prima di concludere la performance con la sventata “Terrorscope”. Pochi minuti dopo la conclusione del concerto, inizieranno i sopracitati dolori legati alle allerte meteo, che ci causeranno più di un disagio.
(Gabriele Mucignat)
TORMENT
Dopo essere rientrati all’interno dell’area festival con più di qualche nervo alterato a causa della sospensione dei concerti, avvenuta poche ore prima, riprendiamo la nostra trafila di realtà violente in compagnia dei teutonici Torment, guidati dal simpatico frontman Jorn ‘Kannixxx’ Ruter, che per chi non lo sapesse è anche il proprietario della nota label Remedy Records. Sebbene non si dedichi ad un nuovo album da dieci anni, si tratta di una band che abbiamo sempre osservato con una discreta simpatia, e anche in questa occasione il suo thrash metal ignorante e grezzo ci tiene piacevolmente compagnia per tre quarti d’ora buoni, tra un headbanging e un sorso di birra. Anche i suoni appaiono decisamente migliori rispetto a quanto fatto durante i Gama Bomb, il che basta per risollevarci in parte l’umore in attesa di fare un ‘salto in Spagna’ per seguire alcuni ‘nerdoni’ thrash metal per antonomasia.
(Roberto Guerra)
CRISIX
Una dose di thrash piuttosto differente da quella proposta dai colleghi tedeschi di poc’anzi, ma ulteriormente fomentante e coinvolgente per via della sua vena a tratti quasi nerd. I Crisix sono infatti ben noti per la loro capacità di proporre un thrash metal violento e moderno, ma anche divertente e con molti richiami stilistici alle proposte americane più o meno di vecchia scuola, oltre a numerosi riferimenti a film, videogiochi ed anime di sorta, molto graditi a chi vi sta scrivendo. Il loro sound è infatti massiccio come un macigno e, dalle iniziali “Leech Breeder” e “Xenomorph Blood” fino alla conclusione con la immancabile “Ultra Thrash”, riesce a conquistarci e a mandarci letteralmente in visibilio; soprattutto in concomitanza della salita sul palco del batterista Javi Carriòn, da un po’ di tempo costretto a limitare la sua attività live a causa di un brutto intervento subito e qui sostituito dal buon Sebas Barcelo, che non ha alcuna intenzione di rinunciare al proprio momento di gloria, durante il quale viene montata una piccola batteria su una pedana di legno, che verrà poi lanciata e sorretta unicamente dal pubblico presente, con il nostro super saiyan in equilibrio e intento a macinare colpi possenti e rullate a ritmo di thrash veloce ed insano. Una vera e propria manifestazione di passione e volontà ferrea, che ci lascia ancora più convinti delle notevoli doti di cui questa band può fare sfoggio. Simpatico anche il medley a base di cover di quattro brani più o meno iconici per tutti noi fottutissimi metallari esaltati.
(Roberto Guerra)
CANCER
Chiudiamo questo breve aperitivo passando da tre formazioni comunque fresche e recenti ad una vera e propria avanguardia dell’underground metal estremo, dai primi anni ’90 ad oggi. I britannici Cancer non necessitano di alcuna presentazione particolare, così come i granitici album da loro immessi sul mercato all’inizio della loro altalenante carriera. Nella scaletta wackeniana c’è sicuramente spazio per questi ultimi, tra una “C.F.C.”, una “Into The Acid” e una “Death Shall Rise”; tuttavia, anche il gradevole ultimo arrivato “Shadow Gripped” può avere la propria fetta. Il tutto eseguito da un feroce trio che dal 2013 è tornato, nonostante le varie parentesi nel corso degli anni con altri musicisti, ad essere lo stesso che tanto abbiamo imparato ad amare nel momento di massimo splendore di questi ceffi provenienti da Telford, tra cui il sempre ruggente frontman John Walker. La risposta del pubblico è discreta, anche se non delle migliori, così come i suoni effettivamente non del tutto ottimizzati, ma dotati comunque di quell’anima e di quella sporcizia retrò in grado di stimolare il gaudio di qualsiasi affezionato delle sonorità old school death/thrash. Con ciò, dopo un viaggio stancante e appena due ore di sonno alle spalle, chiudiamo il nostro warm-up day e ci dirigiamo in tenda per poterci riposare e prepararci alla prima, epica trafila di formazioni previste per quella che si prospetta un’edizione variegata e con pochissimi punti morti.
(Roberto Guerra)
VAMPIRE
Come se le mazzate del pre-show non fossero state sufficienti, per noi la trentesima edizione del Wacken Open Air comincia nuovamente nel più aggressivo dei modi, in compagnia di una band che molti etichettano come il vero astro nascente del death/thrash metal di nuova generazione. Dalla Svezia, terra relativamente dominante all’interno del bill odierno, i Vampire, in meno di quattro anni, sono riusciti ad immettere sul mercato due album completi, entrambi in grado, al momento dell’uscita, di farci drizzare letteralmente i capelli sopra la testa, prima di cominciare ad agitarla come forsennati, in particolare sulle note nere e tritaossa del recentissimo “With Primeval Force”. L’esibizione in corrispondenza del W.E.T. Stage provoca esattamente le medesime emozioni già scaturite dai suddetti lavori, con in più una botta di supplementare cattiveria metallica sprigionata direttamente dall’impianto on stage. Il tutto partorito dalle mani di una formazione compatta e perfettamente inserita nel proprio contesto, con il frontman Lars Willfors dotato di un’espressività e di movenze al limite del folle e dell’inquietante, davvero azzeccate per rappresentare i versi di malvagità che abbiamo avuto modo di udire. Anche il moshpit non può mancare in un’occasione come questa, con numerosi presenti intenti a lanciarsi in direzione del palco, compresi un paio di soggetti prontamente equipaggiati del proprio kilt, rigorosamente senza le mutande, per la gioia di tutti coloro che devono sbrigare l’annoso compito di tenerli sollevati. A parte questa parentesi comica, lo show dei Vampire scorre via che è una bellezza, riuscendo a confermare quelle che erano le nostre impressioni e facendoci sperare ancora di più in un futuro roseo per questi cinque metallari diabolici; anche perché il prossimo album sarà il terzo, che, come ben sapete, tende spesso a rappresentare il momento della consacrazione…o della distruzione.
(Roberto Guerra)
GLORYFUL
Facciamo una capatina nelle vicinanze del Wasteland Stage, presso il quale abbiamo trascorso buona parte della sera precedente, per cominciare ad abituare le nostre orecchie al sound decisamente più power metal-oriented che tanto ci permetterà di godere nelle prossime ore. Chi è cresciuto a pane e Running Wild potrà sicuramente apprezzare la proposta dei teutonici Gloryful, il cui stile tipicamente heavy/power riprende in pieno quegli stilemi resi popolari dal buon Capitan Rolf e, in misura minore, da altri colleghi di fama; seppur con un tocco decisamente più moderno, grintoso e fiabesco, a tinte vagamente fantasy. Malgrado qualche problematica iniziale, il buon Johnny La Bomba (sì, è il suo nome) e i suoi compagni si impegnano comunque, al meglio delle proprie capacità, per fornire una quarantina di minuti di epicità e sonorità più o meno classiche, con un buon numero di estratti dal proprio repertorio, come la iniziale “This Means War”, la meno recente “Gloryful’s Tale” e la tagliente “Ocean Blade”. Per quanto l’atmosfera sia tutto sommato scanzonata, le doti esecutive e di intrattenimento dei nostri cinque guerrieri non si discutono; in particolar modo il guitarwork ci ha lasciato piacevolmente convinti e sorridenti, insieme ovviamente ad un songwriting immediato e fomentante, su disco così come dal vivo. Tuttavia, l’ora si fa presto tarda, costringendoci a spostarci nella zona più calda del festival, poiché è con gli americani e ben più noti Testament che si iniziano a sparare le vere cartucce pesanti.
(Roberto Guerra)
TESTAMENT
Alle 17:00, puntuali come fulmini in una tempesta, i membri del quintetto statunitense attaccano ferocemente con “Brotherhood Of The Snake”, squarciando il terreno grazie al potente riff scandito dalla batteria e sul quale si delinea l’urlo bestiale di Chuck Billy: la belva è arrivata ed è pronta a scatenare la devastazione per la prossima ora e un quarto. Impossibile mettersi alla ricerca di momenti sottotono se su un unico palco Skolnick confeziona certosini assoli di chitarra sulle ritmiche di Peterson e sulle linee di basso di Steve DiGiorgio, rendendo un vero e proprio bombardamento la schiera di successi iconici della band, fra i quali è d’obbligo citare “Practice What You Preach”, “Into The Pit” e “Over The Wall”. Il drumming di Gene Hoglan non fa altro che sigillare perfettamente questi elementi con una serie infinita di colpi furiosi, e molto precisi, che si susseguono fino alle chitarre saettanti della diabolica “The Formation Of Damnation”, ricalcando appieno quanto appena espresso sul breakdown intermedio. È sicuramente da notare la presenza di “Low” ed “Electric Crown”, che interrompono solo parzialmente il ritmo di una scaletta forsennata e colma di thrash metal dall’alto contenuto tecnico e senza sbavature, segno imperscrutabile dell’abilità dei musicisti coinvolti, che per l’ennesima volta portano a casa le penne con il massimo dei voti.
(Gabriele Mucignat)
Setlist:
Brotherhood Of The Snake
The Pale King
More Than Meets The Eye
D.N.R. (Do Not Resuscitate)
Eyes Of Wrath
Low
Into The Pit
Practice What You Preach
Electric Crown
Over The Wall
Disciples Of The Watch
The Formation Of Damnation
HAMMERFALL
L’esibizione degli Hammerfall comincia nel più sorprendente dei modi, ovvero con la proiezione in anteprima assoluta del tamarrissimo video ufficiale del brano “Dominion”, al seguito del quale la band si palesa sul palco sulle note dell’inaspettata ed insolita “Legion”. Un inizio davvero particolare e difficile da prevedere, quello riservato al pubblico di Wacken da parte della formazione svedese, che approfitta immediatamente della prima pausa per presentare a tutti il nuovo album in uscita da lì a pochi giorni; ovviamente prima di invitare i presenti a sollevare i martelli al ritmo di “Hammer High”, per poi spedirli indietro nel tempo con il trittico immortale a base di “Renegade”, “Riders Of The Storm” e “Blood Bound”. La resa generale appare da subito quella cui Joacim Cans e compagni ci hanno abituato, con qualche piccola imprecisione del buon Oscar Dronjak sulle sue ignorantissime sei corde, ma sempre con un altissimo tasso di acciaio puro a farla da padrone, come ben riconoscibile anche solo osservando il pubblico, visibilmente divertito e intento a cantare quasi tutti i pezzi del repertorio proposto. Quest’ultimo non cessa di stupirci nemmeno nella seconda parte dello show, tra una sorta di medley acustico e una cover vera e propria del tema principale di Game Of Thrones, rammentando a tutti il discreto disappunto provato guardando l’ultima stagione…ma si tratta di un altro discorso. Con la recente “(We Make) Sweden Rock”, dedicata in parte anche ai Sabaton che si esibiranno più tardi, e con l’immancabile “Hearts On Fire” gli Hammerfall salutano i numerosi estimatori presenti, ma non prima di essersi meritati un sonoro applauso per essere stati ancora una volta in grado di farci divertire a colpi di martelli e spade.
(Roberto Guerra)
Setlist:
Legion
Hammer High
Renegade
Riders Of The Storm
Blood Bound
Any Means Necessary
Hector’s Hymn
One Against The World
Last Man Standing
Let The Hammer Fall
Hammerfolk acoustic medley
Game Of Thrones (main title)
(We Make) Sweden Rock
Hearts On Fire
AIRBOURNE
Suonano rock’n roll, vengono dall’Australia e son completamente pazzi; abbinamento già perfettamente rodato da tempo, e se aggiungiamo la tipica interazione con il pubblico e l’infinita adrenalina trasmessa dal frontman Joel O’Keeffe, lo diciamo subito, otteniamo uno dei migliori concerti della giornata nella Holy Land. Le intenzioni sono chiare sin da subito: dopo l’atmosferica intro di Terminator 2, il palco esplode in un tripudio di suoni ed il pubblico risponde immediatamente al richiamo della band, dimostrando di essere “Ready To Rock”, come cita il brano di apertura. La carica non manca ai quattro musicisti australiani, che dimostrano di essere all’altezza della situazione e offrono ottime versioni di “Too Much, Too Young, Too Fast”, “Girls In Black”, “Cheap Wine & Cheaper Women”, oltre che della recente “Boneshaker”, mentre Joel non perde l’occasione di esibirsi nella consueta apertura di una lattina di birra a testate a ritmo di musica, nonché nella preparazione di una manciata di Jack & Cola da lanciare sulla folla gioiosa, rigorosamente piena di crowdsurfer, indomabile fino all’esecuzione di “Stand Up For Rock ‘n’ Roll”. L’acuto suono di un’autentica sirena d’allarme antiaereo, direttamente azionata dal batterista prima di tornare alla sua postazione, apre l’encore del concerto con “Live It Up”, che torna a far esplodere il pubblico fino alle ultime “Raise The Flag” e soprattutto “Runnin’ Wild”, quando tutti i presenti saltano da terra urlando l’iconico ritornello, prova inconfutabile che lo spirito rock endovena degli Airbourne è altamente contagioso, il che permette ulteriormente, all’ora e mezza appena trascorsa, di guadagnarsi il rispetto assoluto di tutti i presenti.
(Gabriele Mucignat)
Setlist:
Ready To Rock
Too Much, Too Young, Too Fast
Boneshaker
Girls In Black
Rivalry
Heartbreaker
Cheap Wine & Cheaper Women
Bottom Of The Well
Breakin’ Outta Hell
It’s All For Rock’n Roll
Stand Up For Rock’n Roll
Live It Up
Raise The Flag
Runnin’ Wild
SABATON
Due palchi, due carri armati di diversa tipologia, e tante domande su cosa potrebbe accadere nell’arco delle prossime due ore. Prima di cominciare a parlare dello show dei Sabaton, vogliamo far presente a tutti i lettori che, prima di loro, solo un’altra band aveva deciso di occupare entrambi gli stage principali del festival metal più grande del mondo nello stesso momento, ovvero i leggendari Savatage, accompagnati dalla mastodontica Trans-Siberian Orchestra, nel corso dell’edizione 2015 del medesimo evento. Ebbene, in occasione del loro ventesimo anniversario, il simpatico leader Joakim Brodén ha pensato di fare le cose in grande, in modo da far nuovamente capire al mondo intero quanto la sua band possa essere degna di entrare letteralmente nella storia; ma non facciamo spoiler e andiamo con ordine. La prima parte dello show è invero abbastanza in linea con gli standard cui la band svedese ci ha abituato ultimamente, con la grintosa apertura affidata a “Ghost Division”, seguita da altri estratti ormai piuttosto noti anche all’ascoltatore occasionale, abbinati ovviamente agli immancabili richiami al recente e riuscitissimo “The Great War”; in più, la presenza del coro militare e degli effetti pirotecnici a rendere ancora più suggestiva l’essenza belligerante che ha reso famosi i Sabaton in tutto il mondo. Tuttavia, appare già chiaro che qualcosa bolle in pentola al momento della comparsa dell’ex chitarrista Thobbe Englund, il quale ci tiene compagnia per ben due brani, prima di sparire nuovamente nel backstage. Ma è dopo l’accoppiata “The Lion From The North” / “Carolus Rex” che finalmente le cose iniziano a farsi chiare ed interessanti: improvvisamente, accompagnati dall’annuncio da parte di mister Brodén, si palesano sull’Harder Stage gli ex membri Daniel Mullback, Rikard Sundén, Daniel Myhr e lo stesso Englund, che si buttano immediatamente nella mischia sulle note di “40:1”. Un vero momento di emozione ed euforia per chi, come chi vi sta scrivendo, ha visto questa band crescere, cambiare e diventare il colosso che ad ogni uscita riesce letteralmente a scuotere le fondamenta del mercato; poter sentire brani come “Panzerkampf”, “The Art Of War” e “Attero Dominatus” suonati non da una, ma da due diverse incarnazioni di una realtà tanto amata, perfettamente coordinate e infallibili a livello esecutivo, è qualcosa di difficilmente descrivibile; e pensare a tutti quegli ascoltatori che continuano a etichettare i Sabaton come una formazione mediocre e/o sopravvalutata ci fa solo sorridere ulteriormente, consci del fatto che nell’arco di soli tre mesi il loro valore abbia raggiunto dei livelli ancora più elevati: dall’atto esemplare in sostituzione dei Manowar all’Hellfest fino a giungere a questa esibizione che rimarrà negli annali sia della band, sia del festival ospitante. Nel finale persino la violoncellista Tina Guo si unisce alla campagna militare, per sparare gli ultimi colpi sulle immancabili “Swedish Pagans” e “To Hell And Back”, cui segue un’ovazione mostruosa accompagnata da qualche lacrima, poiché – ahinoi – è già stato reso noto che uno show analogo a questo non si ripeterà. In un certo senso, qui a Wacken 2019 si è chiusa definitivamente l’epoca rappresentata dal primo ventennio dei Sabaton, che ora possono guardare avanti, pronti a immergerci ancora e ancora all’interno di numerosi contesti storici e bellici differenti, il tutto ovviamente a suon di cannoni, mitragliatrici e grande power metal.
(Roberto Guerra)
Setlist:
Ghost Division
Winged Hussars
Resist And Bite
Fields Of Verdun
Shiroyama
The Red Baron
The Price Of A Mile
Bismarck
The Lion From The North
Carolus Rex
40:1
The Last Stand
The Lost Battalion
Far From The Fame
Panzerkampf
Night Witches
The Art Of War
82nd All The Way
Great War
Attero Dominatus
Primo Victoria
Swedish Pagans
To Hell And Back