Report a cura di Roberto Guerra e Gabriele Mucignat
Sebbene nel corso della prima giornata non si siano manifestate problematiche meteorologiche di rilievo, lo stesso non si può dire per la seconda, dal momento che, come avrete modo di leggere più avanti, ancora una volta l’organizzazione dell’evento metal più iconico al mondo ha ritenuto opportuno evacuare l’intera area del festival, a causa di un non meglio precisato allarme meteo registrato ad alcune decine di chilometri di distanza. Ciò, all’atto pratico, si tradurrà in nient’altro che un fastidio momentaneo, dal momento che l’intensità della pioggia continuerà ad attestarsi tra il leggero e il mediamente tollerabile, e ben presto i cancelli vengono riaperti per permettere alla sequela di grandi band previste di continuare ad esibirsi; e considerando la portata a dir poco immensa degli headliner di questa giornata certi imprevisti non sarebbero certo stati il massimo. Saranno infatti il power e il thrash a farla da padrone, con due nomi a dir poco iconici a spiccare su tutti gli altri, per una serata che si presenta come rovente e carica di emozioni. Buona lettura!
EQUILIBRIUM
Sono appena le undici del mattino e le danze stanno già per avviarsi nella maniera più zarra e tamarra possibile in compagnia dei teutonici Equilibrium, il cui genere si sta distanziando sempre di più dall’epico folk metal a tinte melo-death degli inizi, in favore di un non meglio identificato crossover con elementi di matrice pseudo-industrial e caratterizzato da tematiche decisamente più contemporanee. Ciò nonostante, l’apertura ignorantissima con “Born To Be Epic” non lascia spazio a dubbi riguardo l’assoluta capacità di intrattenimento del sestetto germanico, e la risposta del pubblico non tarda ad arrivare, nonostante gli evidenti postumi della sera prima di buona parte dei presenti. Tra battute in lingua tedesca, improbabili balli e tanto headbanging, la mattina sembra determinata a mettersi in moto per tutti noi, e i tre quarti d’ora scarsi a disposizione degli Equilibrium bastano a farci svegliare ottimamente, seppur senza stimolarci particolari lodi da rivolgere allo show. Anche se sentire dal vivo “Blut Im Auge” è sempre una fior di goduria.
(Roberto Guerra)
Setlist:
Born To Be Epic
Prey
Waldschrein
Karawane
Heimat
Renegades – A Lost Generation
Blut Im Auge
Apokalypse
QUEENSRYCHE
‘Non tutte le ciambelle riescono con il buco’ recita un famoso proverbio, ma non è mai piacevole quando viene naturale fare un’esclamazione simile subito dopo il concerto di una band tanto rappresentativa e notoriamente dotata di classe e capacità da vendere. Per essere chiari, assistere a un’esibizione ad opera di Michael Wilton e soci è sempre un piacere, anche perché non capita tutti i giorni di poter udire dal vivo inni del calibro di “Queen Of The Reich”, “Operation: Mindcrime”, “Jet City Woman” ed “Empire”, senza nulla togliere anche agli estratti dal recente e riuscito “The Verdict”. Tuttavia, nella cornice di Wacken 2019, la band rappresentata dal fenomenale Todd La Torre appare in parte stanca e non del tutto a proprio agio, anche tenendo conto di un’audience non completamente in linea con certe proposte di metal squisitamente vecchia scuola. Ma è proprio nella grinta generale che il livello non risulta sufficientemente alto, col conseguente risultato di proporre in maniera parzialmente meno convincente le tracce, comunque ben note ed iconiche. Per quanto il finale con “Eyes Of A Stranger” ci abbia commossi come sempre, purtroppo ci tocca riconoscere l’occasione attuale come una delle più sfortunate in cui abbiamo avuto modo di vedere i Queensryche esibirsi dal vivo; tuttavia, memori anche delle emozionanti occasioni passate, ci sentiamo di catalogare il tutto come un semplice caso isolato, consci del fatto che prossimamente torneremo nuovamente ad intonare certe linee vocali al massimo del nostro entusiasmo.
(Roberto Guerra)
Setlist:
Blood Of The Levant
I Am I
NM 156
Walk In The Shadows
Queen Of The Reich
Operation: Mindcrime
Screaming In Digital
Take Hold Of The Flame
Jet City Woman
Empire
Eyes Of A Stranger
GLORYHAMMER
Alzate le vostre spade gonfiabili al cielo urlando ‘Hoots!’ in coro, così da evocare i fantastici regni, cosmici e non, rappresentati da una delle realtà scozzesi con più immaginazione ed ignoranza sul panorama power metal odierno. Dopo la rapida entrata in scena dei nostri eroi, si viene immediatamente catapultati nell’universo degli unicorni spara-laser dell’ultimo lavoro in studio “Legends From Beyond The Galactic Terrorvortex”, dal quale vengono estratti “The Siege Of Dunkeld (In Hoots We Trust)” e “Gloryhammer” in apertura. Il frontman Thomas Winkler è energico e fiero nella sua scintillante armatura verde, reclamando il suo vero nome e rivolgendosi alla folla, che lo accoglie all’unisono come ‘Angus McFife’, sulle note iniziali dell’omonimo brano, tra l’altro unico estratto dal primo album. La performance in generale appare curata molto bene ed i musicisti affrontano senza problemi la scaletta, tra le promozioni di “The Land Of Unicorns”, “Hootsface” e la già rodata “Goblin King Of The Darkstorm Galaxy”, o anche di “Legend Of The Astral Hammer”. Purtroppo, circostanze di forza maggiore impediscono la conclusione del concerto: a causa della sopracitata allerta meteo emessa per una presunta tempesta di fulmini non distante dalla location del festival, i Gloryhammer sono costretti a troncare di netto l’esecuzione di “Masters Of The Galaxy” e ad abbandonare l’area all’istante, così come tutti i presenti, mentre compare l’avviso informativo su ogni maxischermo della pausa temporanea di ogni attività.
(Gabriele Mucignat)
Setlist:
The Siege Of Dunkeld (In Hoots We Trust)
Gloryhammer
Angus McFife
The Land Of Unicorns
Questlords Of Inverness, Ride To The Galactic Fortress
Legend Of The Astral Hammer
The Hollywood Hootsman
Goblin King Of The Darkstorm Galaxy
Hootsforce
Masters Of The Galaxy
WARKINGS
Una volta riaperti i cancelli non possiamo fare a meno di accorgerci di non averne ancora avuto abbastanza di epicità ignorante e costumi sgargianti, e per questo motivo ci dirigiamo in zona Wackinger per assistere alla prima esibizione in quel di Wacken della nuova, belligerante creatura internazionale che porta il nome dei Warkings. In questo caso la totale mancanza di una qualsivoglia raffinatezza musicale viene del tutto compensata da un intrattenimento al limite del parodistico, con quattro ceffi on stage vestiti come quattro diverse tipologie di guerriero provenienti da altrettanti periodi storici differenti. Tuttavia, l’esibizione cambia atmosfera non appena il leader dell’avanzata apre bocca per cantare uno qualsiasi dei semplicissimi ed esasperati ritornelli: trattandosi del buon Georg Neuhauser dei Serenity, potete ben immaginare che il livello raggiunto sia ben più alto del previsto, date le sue immense capacità da vocalist. La scaletta pesca ovviamente dall’unico full-length disponibile e raggiunge il suo picco massimo verso le battute finali, con la comparsa on stage della Queen Of The Damned, che altri non è che Melissa Bonny dei Rage Of Light, per l’esecuzione del brano “Sparta”, cui segue inevitabilmente l’immersione nell’arena a base di sangue e sabbia sulle note di “Gladiator”, che chiude anche lo show. Che dire, non si tratta certo di uno spettacolo maiuscolo o particolarmente degno di lodi e menzioni, ma alla fine noi ci siamo divertiti moltissimo, e questo è l’importante quando si ha a che fare con band che tutto vogliono fuorché essere prese troppo sul serio.
(Roberto Guerra)
Setlist:
The Last Battle
Never Surrender
Hephaistos
Battle Cry
Holy Storm
Give Em War
Fire Falling Down
Sparta
Gladiator
BODY COUNT
L’inconfondibile intro di “Ace of Spades” rieccheggia sull’Harder Stage e segna l’inizio della performance dei Body Count, che rendono così omaggio a Lemmy nella Holy Land; non a caso il frontman Ice-T aveva collaborato con i Motorhead nel brano “Born To Raise Hell” nel 1994. Il repertorio spazia molto nella discografia della formazione statunitense, con una particolare enfasi sul primo ed iconico album omonimo, del quale sentiamo ottime versioni live di “Voodoo”, “KKK Bitch” e “There Goes The Neighborhood”. Ovviamente non mancano anche brani più recenti come “Black Hoodie” e “Talk Shit, Get Shot”, mentre l’intera line-up si applica per far infuriare il pubblico scatenato, che non perde occasione di fare crowdsurfing o pogare ogni volta che il ritmo accelera, alzando un grosso polverone, circostanza che diventa d’obbligo durante l’esecuzione delle cover di “Disorder” dei The Exploited e soprattutto di “Postmortem” degli Slayer, richiamando l’ormai imminente concerto che si svolgerà poche ore più tardi. In tutto ciò, Ice-T dimostra anche di avere un gran cuore, regalando una maglietta del gruppo ad un giovanissimo ascoltatore in transenna accompagnato dai genitori. Lo spettacolo prosegue fino alla provocatoria “Cop Killer”, che precede l’encore con la personale versione di “Institutionalized” dei Suicidal Tendencies e la melodica “This Is Why We Ride”, che chiude il sipario su un concerto incentrato sulle liriche impegnate del rapper e sull’abilità da parte di tutti i musicisti di interagire con la folla scatenata.
(Gabriele Mucignat)
Setlist:
Ace Of Spades (Motorhead cover)
Bowels Of The Devil
Manslaughter
No Lives Matter
Body Count
Necessary Evil
Drive By
Voodoo
Black Hoodie
There Goes The Neighborhood
KKK Bitch
Disorder (The Exploited cover)
Postmortem (Slayer cover)
Talk Shit, Get Shot
Cop Killer
Istitutionalized
This Is Why We Ride
ANTHRAX
Avere il piacere di vedere metà del Big Four (of thrash) lo stesso giorno è un privilegio raro che dà parecchie soddisfazioni, specialmente quando i primi a metterci la faccia sono gli Anthrax al massimo della propria forma, a tal punto da offrire al pubblico un concerto a dir poco vigoroso, seppur con una scaletta leggermente ridotta a causa dei ritardi accumulati a causa del maltempo. Ridotta ma ottima nella sostanza, includendo nella quasi totalità brani dell’epoca d’oro del quintetto, tanto che l’unico estratto recente risulta essere “In The End”. Scott Ian e soci entrano in gioco sul riff di “Caught In A Mosh”, che diventa un vero e proprio richiamo per il pubblico, che esplode sull’inizio della prima strofa, rendendo l’area davanti al palco un piccolo campo di battaglia con il formarsi del circle pit, che continua ad impazzare per l’abituale cover di “Got The Time” e “Madhouse”. L’esercito incombente di crowdsurfer rende un bagno di sudore la partecipazione anche agli ascoltatori più tranquilli, letteralmente travolti dalla veemenza delle canzoni proposte, con Scott Ian e Frank Bello che suonano energicamente i loro strumenti, mentre Joey Belladonna interpreta ottime versioni live di “I Am The Law” e “A.I.R.”, fino alla conclusione con l’immancabile “Indians”, preceduta dalla cover di “Antisocial”, che segna la fine dell’ottima e vivace esibizione dei thrasher statunitensi.
(Gabriele Mucignat)
Setlist:
Caught In A Mosh
Got The Time
Madhouse
I Am The Law
Now It’s Dark
In The End
A.I.R.
Antisocial
Indians
WITHIN TEMPTATION
Nonostante siano già le 19.30, la giornata è ancora molto calda quando viene acceso il maxischermo led posto in fondo al palco per dare inizio al concerto dei popolarissimi Within Temptation, sulle note delle melodie di “Raise Your Banner”, mentre la soave voce di Sharon Den Adel risuona sull’Harder Stage, tra una fiammata e l’altra; Sharon appare visibilmente emozionata e a suo modo sorpresa dalla strabiliante accoglienza ricevuta. Un’esibizione a suo modo tranquilla sin da subito, ma comunque molto ben curata nei dettagli scenografici, amalgamati perfettamente per l’occasione, con i brani più iconici del combo olandese, tra cui “Stand My Ground”, “What Have You Done” e la reinterpretazione acustica di “Ice Queen”. L’esecuzione dei pezzi appare di qualità superba anche nella promozione dell’ultimo lavoro in studio, dal quale viene prontamente estratto il trittico “The Reckoning”, “Supernova”, “Mad World”, che ha arricchito notevolmente il concerto, dimostrando che i colleghi della bella Sharon sono perfettamente in grado di difendere la posizione sul mainstage di Wacken, anche grazie all’ottimo lavoro tecnico svolto dai fonici. La storica “Mother Earth” cantata in coro da tutti i presenti sancisce la fine, mentre il sole all’orizzonte inizia a tramontare.
(Gabriele Mucignat)
Setlist:
Raise Your Banner
The Reckoning
Stand My Ground
In The Middle Of The Night
The Heart Of Everything
Ice Queen
Faster
Supernova
Paradise (What About Us?)
What Have You Done
Mad World
Mother Earth
DEMONS & WIZARDS
Memori dell’esibizione tutto sommato deludente avvenuta in quel dell’Hellfest, è con una punta di timore e scetticismo che attendiamo l’ingresso on stage dei Demons & Wizards, in occasione del loro graditissimo ritorno sul main stage di Wacken. Tuttavia, sono sufficienti i primi secondi di “Rites Of Passage” per farci rendere conto che a ‘sto giro la musica pare destinata essere tutt’altra: tra “Heaven Denies”, “Poor Man’s Crusade” e l’attesa “Crimson King” sembra proprio che ogni elemento si stia sviluppando per il verso giusto, con un Hansi Kursch in forma smagliante e dotato di una canna di voce che farebbe invidia ai più giovani, accompagnato da una coppia di asce devastante, formata da Jon Schaffer e Jake Dreyer direttamente dagli Iced Earth. Non mancano anche fasi acustiche, come in concomitanza di “Wicked Witch” e, soprattutto, ben quattro momenti di esaltazione amarcord, riservati ai fan delle due storiche formazioni principali dei fondatori del progetto: partendo con l’accoppiata “Burning Times” / “Welcome To Dying” fino a giungere a “I Died For You” e ovviamente “Valhalla”, cantata da pressoché ogni essere dotato di una voce presente nell’area concerti. A parte queste parentesi, la scaletta è ovviamente tutta dedicata ai due lavori dei Demons & Wizards, con i momenti di massima goduria riservati a “The Gunslinger”, “Terrortrain” e “Tear Down The Wall”; il tutto valorizzato da dei suoni equalizzati perfettamente e da un sapiente utilizzo di fiamme, esplosioni ed effetti pirotecnici vari, in grado di far persino trasalire gli ignari presenti. Con una formazione così in splendida forma, nemmeno una chiusura magica come “Fiddler On The Green” può saziare il nostro appetito, al punto tale che non vorremmo staccarci dalla transenna per nulla al mondo, o meglio…quasi nulla! Già, perché a breve ci sarà la nostra ultima occasione per vedere dal vivo un’altra band che ha caratterizzato la crescita di tutti noi; ma non prima di aver rivolto un applauso sonoro e carico di amore per Hansi e soci, che questa volta non hanno sbagliato nemmeno un colpo.
(Roberto Guerra)
Setlist:
Rites Of Passage
Heaven Denies
Poor Man’s Crusade
Crimson King
Love’s Tragedy Asunder
Burning Times (Iced Earth cover)
Welcome To Dying (Blind Guardian cover)
Wicked Witch
The Gunslinger
Terror Train
I Died For You (Iced Earth cover)
Valhalla (Blind Guardian)
Tear Down The Wall
Gallows Pole
My Last Sunrise
Blood On My Hands
Fiddler On The Green
SLAYER
La quarta occasione in meno di un anno in cui abbiamo modo di vedere dal vivo gli Slayer nel loro ultimo tour, è probabilmente anche l’ultima in generale per tutti noi che siamo cresciuti agitando violentemente la testa sulle ritmiche tritaossa dei loro innumerevoli album, divenuti col tempo delle vere e proprie Gemme dell’Infinito per quanto riguarda tutto ciò che è divenuto il metal estremo negli anni. Il diabolico intro di “Repentless” si manifesta quindi con una punta di malinconia, che tuttavia impiega ben poco tempo a mutare in collera infernale sulle note di “Evil Has No Boundaries” e “World Painted Blood”, nonostante dei volumi inizialmente non al top, che vengono comunque immediatamente sistemati ed alzati fino a pervadere letteralmente tutti i presenti, col conseguente risultato di scatenare non una ma ben due enormi aree di moshpit e circle-pit a breve distanza. Con questa cornice di terra che trema, Tom Araya e compagine maligna mietono vittime sfoderando garanzie come “Postmortem”, “Gemini”, “Disciple” e “Chemical Warfare”, giungendo in men che non si dica a metà concerto già con un polverone notevole, ad alzarsi su un pubblico scatenato oltre il limite della follia. Kerry King e Gary Holt macinano ritmiche e assoli come il loro nome suggerisce ormai da decenni, mentre dietro il buon Paul Bostaph massacra letteralmente la batteria affiancato dalle aquile fiammeggianti, completando un quadro che ci rende molto tristi al pensiero di non poter più assistere in futuro all’esecuzione delle varie “Seasons In The Abyss”, “Hell Awaits” e “South Of Heaven”. Il tutto si intensifica ancora di più nelle battute finali, con le immancabili “Raining Blood” e “Black Magic” a movimentare ulteriormente l’audience, che dopo “Dead Skin Mask” carica il proprio colpo migliore per rilasciarlo al massimo sulla conclusiva “Angel Of Death”, che non solo conclude la magnifica composizione di fuoco, fiamme e thrash metal messa su dagli Slayer, ma che porta tutti noi a commuoverci in compagnia dello stesso Tom Araya al momento dei saluti; poiché la data successiva in quel di Stoccarda sarà anche l’ultima di sempre in territorio europeo, il che, in un certo senso, chiude una vera e propria epoca, fatta di emozioni positive e negative, insieme alle quali tutti noi siamo cresciuti e maturati, continuando a promuovere la nostra passione per quella grande musica che è, e sempre sarà, il metal. Non ci è dato sapere se sia veramente giunto il momento degli addii, ma, a prescindere da questo, l’importante è che gli ultimi vagiti della Bestia siano stati degni del suo nome; e da questo punto di vista, meglio di così non si sarebbe davvero potuto fare. Grazie di tutto Slayer, alla prossima!
(Roberto Guerra)
Setlist:
Repentless
Evil Has No Boundaries
World Painted Blood
Postmortem
Hate Worldwide
War Ensemble
Gemini
Disciple
Mandatory Suicide
Chemical Warfare
Payback
Temptation
Born Of Fire
Seasons In The Abyss
Hell Awaits
South Of Heaven
Raining Blood
Black Magic
Dead Skin Mask
Angel Of Death
OPETH
La giornata si è dimostrata lunga e faticosa, ma non è ancora giunto il momento di tornare in tenda a riposare: poiché sarebbe un crimine rinunciare all’esibizione degli Opeth, arricchita notevolmente dall’atmosfera notturna, che conferisce alle melodie del combo svedese un tocco mistico, contribuendo ad incantare gli spettatori a partire dalla cervellotica “Sorceress”. Il frontman Mikael Åkerfeldt, dall’alto della sua elegante classe, scherza ed interagisce con la folla polverulenta facendo battute anche in merito ad altre band, pur senza risultare mai offensivo o strafottente, lusingato di non dover suonare con il sole in faccia in questa occasione, mentre spazia in un repertorio molto vario nella discografia del quintetto, privilegiando l’aura quasi estatica di brani più recenti come “The Devil’s Orchard” e “Cusp Of Eternity”, ma senza rinunciare ai toni più aspri dei capisaldi che portano il nome di “Heir Apparent” e “Ghost Of Perdition”. Sul palco, innegabilmente, abbiamo di fronte una schiera di musicisti a dir poco esperti, che permettono un’esecuzione liscia come l’olio, corredata di ogni minimo dettaglio sonoro, come percepibile nelle registrazioni in studio, elevando il concerto ad un livello ancora superiore, mentre il tutto armoniosamente volge verso il termine sulle complesse strutture di “The Drapery Falls”. Come accennato anche dallo stesso Mikael, nulla viene proposto dell’incombente “In Cauda Venenum” e lo show si conclude con la storica “Deliverance”, mentre si alza la nebbia sull’intera Holy Land.
(Gabriele Mucignat)
Setlist:
Sorceress
Ghost Of Perdition
The Devil’s Orchard
Cusp Of Eternity
Heir Apparent
In My Time Of Need
The Drapery Falls
Deliverance