03/08/2019 - WACKEN OPEN AIR 2019 – 3° giorno @ Wacken - Wacken (Germania)

Pubblicato il 11/10/2019 da

Report a cura di Roberto Guerra e Gabriele Mucignat

Dopo una seconda giornata che ha visto nel toccante addio agli Slayer il proprio piatto forte, ci prepariamo a porgere i nostri saluti alla trentesima edizione del festival metal più grande del mondo in compagnia di un’ultima trafila di band che vedranno negli araldi dell’heavy metal Saxon e Rage i propri colpi finali, da assestare alle decine di migliaia di presenti; pur senza nulla togliere anche alle realtà moderne che comunque avranno il proprio indiscutibile ruolo. Fortunatamente, durante l’ultima giornata, non ci saranno allerte meteo e, anzi, ci sarà pure tempo per una sorpresa: l’annuncio della prossima edizione del festival non più con un semplice video, ma con una vera e propria esibizione pirotecnica ed esplosiva, con anche il buon Matt Heafy dei Trivium a sparare fiamme dalla paletta della sua Epiphone Les Paul in mezzo ai due stage principali. Un vero e proprio momento di esaltazione esagerata e fomentante, che corona quella che verrà ricordata come un’edizione un po’ controversa ma comunque pregna di quel gusto nucleare che da sempre caratterizza le tre giornate più attese dell’anno da buona parte dei metallari del mondo. Con questo, vi auguriamo buona lettura e vi salutiamo, in attesa del report del prossimo evento estivo, che sarà niente meno che il Summer Breeze!

 


BATTLE BEAST
Diverse gioie ma anche diversi dolori, negli ultimi anni, per i finlandesi Battle Beast, la cui popolarità sta aumentando tanto quanto una sorta di sensazione di malcontento causata dall’avanzata sempre più forte del loro alter ego; anche se questa è una storia per un altro giorno, non poi così lontano in realtà. In ogni caso, gli ultimi due album della formazione rappresentata dalla sempre sgargiante Noora Louhimo, seppur non di scarsa qualità, hanno comunque confermato i timori dei loro fan che temevano un abbassamento del livello generale delle composizioni dopo l’uscita del buon Anton Kabanen. A ciò aggiungeteci il fatto che, a quanto pare, i Battle Beast stiano cercando in tutti i modi di distanziarsi anche in sede live da quanto composto dal loro ex leader; non a caso, in questa cornice, l’unico brano iconico proposto è “Out Of Control”, all’infuori del quale vengono eseguiti unicamente i migliori estratti dagli ultimi due lavori: dalla iniziale “Unbroken”, passando per “Familiar Hell”, “Straight To The Heart” e “The Golden Horde”, fino alla title-track dell’ultimo prodotto “No More Hollywood Endings” e poi “King For A Day”, accompagnati da un paio di filler quali “Endless Summer” e “The Hero”. Ciò nonostante l’esecuzione appare curata e di buon livello, esattamente come la presenza scenica, sebbene i siparietti sempre uguali in ogni occasione possono giungere a noia, come avremo modo di verificare anche tra un paio di settimane in quel del Summer Breeze, al momento della nostra ‘prova di confronto’. Tuttavia il pubblico si diverte e noi non facciamo differenza, alla fine i Battle Beast ci piacciono anche in questa salsa un po’ meno grintosa, e un po’ di ugola durante i loro live si può sfoggiare sempre volentieri.
(Roberto Guerra)

Setlist:

Unbroken
Familiar Hell
Straight To The Heart
Endless Summer
Out Of Control
The Golden Horde
Bastard Son Of Odin
The Hero
Eden
No More Hollywood Endings
King For A Day
Beyond The Burning Skies

KVELERTAK
Avvicinandosi al Louder Stage si inizia a notare una presenza anomala di bandiere norvegesi, ma alla fine è tutto nella norma: dopotutto, l’affetto dei connazionali per i Kvelertak è davvero molto forte, spinto ben oltre il semplice successo commerciale del complesso, stimato per le sue doti persino dall’erede al trono della Norvegia. Tuttavia l’entusiasmo permea i partecipanti di ogni nazionalità e non appena il duo “Åpenbaring” / “Bruane Brenn” apre le danze, tutti i presenti iniziano a muoversi in preda all’esaltazione, alzando le mani al cielo, nonostante la maggior parte non capisca una parola di norvegese; ma si sa che il potere della musica è incontenibile. “1985” ricalca perfettamente lo spirito gioioso dell’esibizione, che salda perfettamente il legame tra palco e pubblico grazie ad un’interazione rara da vedere da parte di un combo sulla via di un successo sempre crescente e meritato, evidenziato anche dalla follia degli scandinavi, che si lanciano senza timore sulla folla, continuando l’esecuzione dei brani con nonchalance. Il cambio del frontman, risalente ormai allo scorso anno, non si rivela una debolezza in sede live: Ivar Nikolaisen, pur non avendo a prima vista il carisma del suo predecessore, si batte al meglio per regalare una performance ottima dal punto di vista vocale e con la giusta grinta, che gli vale il riconoscimento del pubblico in delirio, facendo crowdsurfing senza staccarsi dal microfono in più occasioni, permettendo quindi l’esecuzione di splendide versioni di “Blodtørst”, “Evig Vandrar” e “Månelyst”. I Kvelertak si dimostrano inarrestabili fino all’ultima “Utrydd Dei Svake”, che offre la scusa per la creazione di un notevole e polveroso circle pit, ulteriore segno che siamo di fronte ad uno dei migliori concerti della giornata.
(Gabriele Mucignat)

Setlist:

Åpenbaring
Bruane Brenn
Nekroskop
1985
Evig Vandrar
Fossegrim
Offernatt
Blodtørst
Berserkr
Mjød
Månelyst
Kvelertak
Utrydd Dei Svake

TESSERACT
Dopo averli visti dalle nostre parti in quel del Rock The Castle, facciamo nuovamente una sana scorpacciata di prog metal insieme ai britannici Tesseract. Con una partenza a base delle due differenti parti che compongono la lunga “Concealing Fate”, i nostri cinque virtuosi mettono a tacere ogni possibile detrattore facendo sfoggio di tutta la propria classe e di una capacità strumentale tra le migliori che abbiamo avuto modo di vedere durante quest’ultima edizione di Wacken. “Luminary”, “Dystopia” e “Smile” proseguono le pennellate sulla tela, componendo una sorta di quadro in movimento in cui le atmosfere contorte e le luci scure si fondono, proiettando la mente di tutti gli ascoltatori verso nuove realtà; raggiungendo l’apice nelle battute finali con “King” e “Juno”, accolte con entusiasmo e salutate con un sonoro applauso. Pur non parlando di una band d’intrattenimento, non si può dire che i Tesseract non sappiano coinvolgere anche a livello scenico, sebbene puntino principalmente sulle loro immense doti con in mano lo strumento, o il microfono, nel caso di Daniel Tompkins. A chi dice che di ‘sti tempi il progressive stia prendendo una piega priva di anima suggeriamo l’ascolto di uno qualsiasi degli album della formazione albionica, poiché a prescindere dai gusti questa è arte su livelli davvero elevatissimi.
(Roberto Guerra)

Setlist:

Concealing Fate, Part 1: Acceptance
Concealing Fate, Part 2: Deception
Of Mind – Nocturne
Luminary
Dystopia
Smile
King
Juno

PROPHETS OF RAGE
Chi si sarebbe mai immaginato di vedere una grossa fetta del pubblico di Wacken impazzire con il beat hip hop emulato alla perfezione dalla maestria di Tom Morello, mentre le voci dei Public Enemy e dei Cypress Hill si alternano in un peculiare quadro musicale che solo in modo approssimativo può essere definito rap metal? Pur includendo la quasi totalità della formazione dei Rage Against The Machine (ad eccezione della parte vocale) e coprendo metà scaletta con loro tributi, i Prophets of Rage non sono la coverband della loro incarnazione precedente: questa importante premessa è necessaria per inquadrare la proposta di “Guerrilla Radio”, “Know Your Enemy”, “Take The Power Back” e “Bullet In The Head”, autentiche cannonate che fanno esplodere la folla scatenata in un tripudio di polvere, dando origine ad una serie di circle pit che farebbero invidia ai più concitati concerti thrash metal. Infatti, se l’assenza di Zack De La Rocha si può associare ad un minor impatto aggressivo dei brani appena nominati, il duetto rap di Chuck D e B-Real si dimostra ottimo con le cover di “Prophets of Rage” e “How I Could Just Kill A Man”, ed estremamente efficace quando entrano in campo gli inediti della band, permettendo la realizzazione di eccellenti versioni di “Unfuck The World”, “Made With Hate” e “Living On The 110”, quest’ultima caratterizzata anche dall’immancabile arco con cui Morello suona parte delle melodie. Quando la carica più rock non basta per esprimere al meglio la componente musicale del supergruppo statunitense, con il prezioso aiuto di DJ Lord, che finalmente passa davvero sotto i riflettori, ecco l’incalzare di un vero e proprio medley hip hop composto da brani provenienti dalle band originali dei vocalist, che si conclude sul ritornello di “Jump Around” degli House Of Pain, che fa saltare all’unisono tutti i presenti. Al momento di concludere questa vivacissima esibizione, il ruolo viene affidato alla distruttiva combo “Bulls On Parade” / “Killing In The Name”, che consacrano una live performance di pieno rispetto e che non ha tenuto fermi i presenti nemmeno un secondo.
(Gabriele Mucignat)

Setlist:

Prophets Of Rage
Testify
Unfuck The World
Guerrilla Radio
Made With Hate
Know Your Enemy
Heart Afire
Take the Power Back
Hand on the Pump / Can’t Truss It / Insane in the Brain / Jump Around
Sleep Now in the Fire
Living on the 110
Bullet in the Head
How I Could Just Kill a Man
Bulls on Parade
Killing in the Name

BULLET FOR MY VALENTINE
La domanda che potrà sorgervi spontanea riguarderà sicuramente l’effettiva utilità del report di un’esibizione dei Bullet For My Valentine: ebbene, chi vi scrive, qualche anno fa, ha avuto modo di condire un breve capitolo della propria vita con la colonna sonora proveniente direttamente dall’apprezzato album “Scream Aim Fire”, e pur avendo perso in parte di vista il quartetto britannico su disco negli anni successivi, complice anche un discreto abbassamento della qualità delle composizioni, un ascolto non lo si nega mai, soprattutto dal vivo. Oltre alla nuova barba sfoggiata da Matthew Tuck, la prima caratteristica che salta all’occhio, o meglio all’orecchio, è la grinta non indifferente con cui la band si palesa on stage sulle note di “Don’t Need It” e “Over It”, in grado di stimolare la voglia di headbanging anche da chi è ben lungi dal ritenersi un loro fan; proseguendo fino a una “The Last Fight” che si lascia sempre ascoltare con sommo piacere e, soprattutto, fino a quella “Scream Aim Fire” che, concedetecelo, non si può non cantare durante un concerto. La band, pur non raggiungendo sempre dei livelli qualitativi degni di particolari menzioni, in questi momenti isolati dimostra di essere molto più matura e dotata di quanto molta gente tenda a dipingerla, raggiungendo l’apice nell’encore con “Your Betrayal”, “Tears Don’t Fall” e soprattutto “Waking The Demon”, sulla quale anche il moshpit e il crowdsurfing si sprecano. Alla fine, anche se difficilmente destinati a entrare mai davvero nel nostro cuore, i Bullet For My Valentine non sono comunque una realtà da sottovalutare più del necessario, e dal vivo danno sempre la dimostrazione di conoscere il fatto proprio; tra un paio di settimane, sempre in quel del Summer Breeze, avremo modo di vederli da headliner a un orario ottimale, e così facendo potremo confermare o smentire quanto appena scritto.
(Roberto Guerra)

Setlist:

Don’t Need You
Over It
4 Words (To Choke Upon)
Suffocating Under Words Of Sorrow (What Can I Do)
The Last Fight
Venom
Worthless
Piece Of Me
Alone
Scream Aim Fire
You Want A Battle? (Here’s War)
No Way Out
Your Betrayal
Tears Don’t Fall
Waking The Demon

POWERWOLF
Come spesso accade durante i festival, ai teutonici Powerwolf tocca esibirsi quando la luce del giorno non si è ancora estinta, col conseguente risultato di non poter disporre dell’atmosfera ideale per un concerto dei più famosi Lupi devoti al metallo, pur non volendo in alcun modo sminuire le loro capacità esecutive ed interpretative se posti in un contesto non del tutto idoneo. In questo frangente possiamo affermare con certezza che grinta e professionalità siano i punti forti della band tedesca quando si parla di live performance e, sebbene chi abbia avuto il piacere di vederli in azione più volte nel corso degli anni possa trovare ripetitivo il susseguirsi dei medesimi sketch, l’impatto con il pubblico appare sempre grandioso, così come la risposta di quest’ultimo, che non a caso è accorso ben più numeroso di quanto non fosse prima del loro arrivo sul palco. Mentre si susseguono brani ruggenti, quali la opener “Fire And Forgive”, “Amen and Attack”, “Blessed and Possessed” e “Sanctified With Dynamite”, siamo letteralmente travolti da un’orda infinita di estimatori urlanti, molti dei quali intenti a praticare il crowdsurfing, alimentando il denso polverone che continuerà inesorabilmente a sollevarsi fino alle finali “Werewolves of Armenia” e “We Drink Your Blood”. Tutto questo non fa che confermare le buone opinioni che esterniamo sempre in merito ai Powerwolf e alla loro popolarità in costante crescita; tuttavia la combinazione tra i suoni non dotati della giusta potenza – altro inconveniente frequente nelle occasioni in cui i Powerwolf non suonano da headliner – e l’atmosfera generale, meno suggestiva rispetto, ad esempio, all’occasione in quel di Trezzo, ci fa archiviare lo show al Wacken con un discreto sorriso, consci però del fatto che Attila e il suo branco possano dare molto di più.
(Roberto Guerra)

Setlist:

Fire And Forgive
Army Of The Night
Incense & Iron
Amen & Attack
Demons Are A Girl’s Best Friend
Armata Strigoi
Stossgebet
Blessed & Possessed
Where The Wild Wolves Have Gone
Resurrection By Erection
Sanctified With Dynamite
Werewolves Of Armenia
We Drink Your Blood

DIAMOND HEAD
Altro giro in prossimità dei palchi al chiuso, altro ripassino di storia dell’heavy metal in compagnia degli iconici Diamond Head, giunti direttamente dall’Inghilterra per istruire tutti i metallini con poche nozioni storiche di Wacken su quelle che sono le uniche vere origini dell’heavy metal. Partendo con “Borrowed Time” e le più recenti “Bones” e “Death By Design”, è con l’accoppiata “In The Heat Of The Night” / “Shoot Out The Lights” che si respira veramente aria di storia, narrata dalla giovane e squillante ugola di Rasmus Bom Andersen; ma la vera star non può che essere il mitico chitarrista e membro fondatore Brian Tatler, il quale ci proietta direttamente in piena NWOBHM eseguendo con precisione altri inni quali “It’s Electric” e “Helpless”, che – ahinoi –  in pochi tra il pubblico riconoscono. Tutto cambia ovviamente alla fine con la immancabile “Am I Evil?”, cantata a gran voce da tutti i presenti, compresi quelli che ancora, per qualche assurdo motivo, sono ancora convinti che sia una canzone dei Metallica. Pazienza, alla fine si sa che l’heavy metal più puro e inossidabile non è propriamente per tutti, e questo concetto continuerà a valere anche nelle due ore successive, dal momento che la lezione di storia sta per proseguire sui main stage grazie ad un altro illustre maestro del genere; ma se ne parlerà tra poco, nel frattempo un grande applauso ai Diamond Head è giusto e doveroso.
(Roberto Guerra)

Setlist:

Borrowed Time
Bones
Death By Design
In The Heat Of The Night
Shoot Out The Lights
It’s Electric
Belly Of The Beast
The Messenger
Helpless
Am I Evil?

SAXON
Come dicevamo, spetta all’illustre ed egregio professor Biff Byford il compito di portare al termine con tutta la classe del caso la lezione di grande heavy metal, di fronte a una folla ancora comunque corposa di studenti affezionati e fomentati al pensiero di poter nuovamente essere accolti al cospetto dei leggendari Saxon. Una scenografia essenziale e perfettamente in linea con gli stilemi della band britannica, con tanto di maxi-schermo e aquila metallica, si illumina integralmente sulle prime note di “Motorcycle Man” e “Battering Ram”, che rappresentano quella che si può tranquillamente definire un’apertura perfetta per un concerto a base di purissimo acciaio, dotato di un livello generale che non vuole proprio saperne di abbassarsi, e con un prosieguo a base di “Wheels Of Steel”, “Strong Arm Of The Law” e “Denim And Leather” non poteva davvero essere altrimenti. Dopo la parentesi recente con “Thunderbolt”, giunge la prima chicca con “Backs To The Wall”, la quale precede il momento commozione sul refrain di “They Played Rock And Roll”, dedicata ovviamente al mitico e compianto Lemmy Kilmister. Senza nulla togliere all’esecuzione sempre impeccabile delle varie “The Eagle Has Landed”, “Dogs Of War”, “Solid Ball Of Rock”, la vera sorpresa giunge con la fiammeggiante “To Hell And Back Again”, che mai avevamo avuto modo di sentire dal vivo e che ci colpisce in piena faccia come un meteorite piovuto dal cielo; tutto questo prima della apparente conclusione a base di “Power And The Glory” e “Heavy Metal Thunder”. Tuttavia chi conosce bene i Saxon in sede live sa bene che un loro show non può essere considerato tale senza un paio di estratti immancabili, che giungono in concomitanza dell’atteso encore: stiamo parlando ovviamente di “Crusader”, “747 (Strangers In The Night)” e, come da tradizione, “Princess Of The Night”, che conclude la lezione di heavy metal rianimando anche un pubblico ormai stanco come quello che si erge di fronte al Faster Stage. C’è poco da fare, i Saxon non vogliono proprio saperne di sbagliare un colpo e noi non possiamo che essere orgogliosi del fatto che, ancora una volta, siamo riusciti ad emozionarci tenendo vivo il metallaro old school che è dentro tutti noi, e che ora deve prepararsi ad un’ultima prova prima di ritirarsi, poiché ora sarà il metallo tedesco a cantare nella notte.
(Roberto Guerra)

Setlist:

Motorcycle Man
Battering Ram
Wheels Of Steel
Strong Arm Of The Law
Denim And Leather
Thunderbolt
Backs To The Wall
They Played Rock And Roll
The Eagle Has Landed
Battallions Of Steel
Dogs Of War
Solid Ball Of Rock
And The Bands Played On
To Hell And Back Again
Power And The Glory
Heavy Metal Thunder
Crusader
747 (Strangers In The Night)
Princess Of The Night

RAGE
L’ora è tarda e la stanchezza si fa sentire in modo prepotente dopo tre, anzi quattro, giornate intere dedicate alla grande musica metal. Questa prospera edizione di Wacken sta volgendo quasi al termine, ma manca ancora un gruppo all’appello: d’altronde, come non chiudere in bellezza con una buona dose di heavy metal tedesco che porta il nome dei Rage? E come non glorificare il momento con la presenza sul palco della Lingua Mortis Orchestra in occasione del ventennale di quel gioiellino di disco che è “XIII”? Vent’anni fa, infatti, veniva pubblicato l’album che qui diventa l’assoluto protagonista, permettendo a Peavy e soci di eseguire splendide versioni orchestrate di “Turn the Page”, “Days of December” e “Immortal Sin”, per citarne alcune. L’era orchestrale dei Rage in versione live è uno spettacolo di qualità che, unito alla pioggerellina notturna che sembra giunta appositamente per la serata, corona il festival nel migliore dei modi, grazie ad un concerto che non vede punti bassi e regala forti emozioni ai presenti, dall’attacco con “From the Cradle to the Grave” fino alla possente ed immancabile conclusione di “Higher Than the Sky”, con tanto di medley volto a commemorare la storia del rock nel mezzo. Quest’ultima e “Changes” sono state le uniche eccezioni della scaletta commemorativa, che non hanno fatto altro che impreziosire la performance prima che il sipario cali definitivamente sul trentennale del Wacken Open Air. Con questo ultimo trafiletto da Metalitalia.com è tutto, appuntamento a tra pochi giorni con il reportage dell’ultimo grande evento estivo per la redazione.
(Gabriele Mucignat)

Setlist:

From the Cradle to the Grave
Days of December
Changes
Turn the Page
Heartblood
Over and Over
In Vain (I Won’t Go Down)
Immortal Sin
Just Alone
Higher Than the Sky

 

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