a cura di: Luca Pessina, Andrea “Jolly Roger” Raffaldini, Valentina Spanna e Fabio Scarpanti
foto di: Andrea “Jolly Roger” Raffaldini
Dopo essere tornati a casa dalle vacanze ed essersi riposati a dovere, giunge infine per Metalitalia.com il momento di tracciare il bilancio di questa edizione del Wacken Open Air, festival che buona parte della staff del sito attende ogni anno con trepidazione, consapevole che molto probabilmente sarà l’highlight dell’annuale stagione concertistica. Anche quest’anno, almeno per chi scrive, è stato così, e il ricordo di questa tre giorni metallica difficilmente verrà cancellato negli anni a venire. In fin dei conti come potrebbe avvenire una cosa del genere? Non capita certo tutti i giorni di poter assistere a show della portata di quelli che abbiamo visto lo scorso agosto, per giunta in una cornice e in un’atmosfera favolosa come solo questa piccolissima cittadina può offrire. Slayer, Running Wild, In Flames, Twisted Sister, Testament e praticamente tutti i grossi nomi chiamati ad esibirsi non hanno quasi mai tradito le aspettative e tutti gli altri act minori ce l’hanno proprio messa tutta per ben figurare davanti alle decine di migliaia di metalhead accorsi a nord di Amburgo! Dal canto suo, l’organizzazione quest’anno non ha proprio sbagliato un colpo, facendosi così perdonare le ‘malefatte’ (orari sballati, servizi scarsi) dell’edizione 2002. Quest’anno non ci sono state spiacevoli sorpresine in sede di running order, il campeggio era davvero organizzatissimo e il numero di WC almeno raddoppiato rispetto all’anno scorso! Tutto è filato liscio come l’olio e di malumori non se ne è vista nemmeno l’ombra. Il che è stata una fortuna, visto che in questo modo il festival, dopo un lieve sbandamento, è tornato ad essere il migliore al mondo non solo per quanto riguarda il bill ma anche per tutto ciò che ruota attorno ai concerti. In un appuntamento di tali proporzioni nulla deve essere lasciato al caso, e in Germania queste cose le capiscono subito! Resta solo un po’ di rammarico per la location scelta per il WET stage. Una volta questo era un palco all’aperto identico al Party Stage, non un tendone polverosissimo in cui la temperatura supera spesso i livelli di guardia. Perche’ non farlo tornare come una volta? Sia band che pubblico ne guadagnerebbero tantissimo! Detto questo vi invitiamo ora a leggere il report: noi ce l’abbiamo messa tutta per vedere il più alto numero di band possibili, e ci auguriamo che anche quest’anno apprezzerete il nostro sforzo. Se vorrete dire la vostra potrete visitare il forum e scambiare le vostre opinioni… buona lettura!
CIRCLE II CIRCLE
L’onore di aprire le danze del Wacken Open Air 2003 viene affidato ai Circle II Circle, la band fondata dal carismatico singer Zak Stevens in seguito alla sua dipartita dagli americani Savatage. L’ottimo debutto discografico lasciava ben sperare, e dal vivo la potenza e la classe della band non si è fatta certo desiderare: la voce di Stevens, protagonista incontrastata dell’intero show, non ha mai perso vigore, riuscendo invece ad incendiare il già numeroso pubblico grazie a brani come “Out Of Reach” o “Watching In Silence” (il singolo estratto dall’album). Immancabili anche un paio di richiami ai fasti Savatage, in particolare ci riferiamo a “Taunting Cobras” e all’epica “Edge Of Thorns”, a cui va dato il merito di aver coinvolto i già esaltati fan. Il sipario cala con un’altra cover, questa volta firmata Metallica, “Welcome Home (Sanitarium)”, ed i Circle II Circle lasciano il palco sommersi da grandi applausi.
Andrea “Jolly Roger” Raffaldini
ANNIHILATOR
Protagonisti assieme a Running Wild, Circle II Circle e Victory di questa prima serata del Wacken Open Air, gli Annihilator erano uno dei ‘sorveglaiti speciali’ di questa edizione, forti di un live album da poco uscito (“Double Live Annihilation”) e di un cantante nuovo, tale Dave Padden che, è bene dirlo subito, almeno in sede live non ha dimostrato di essere ai livelli del predecessore Joe Comeau. Le doti però sembrano esserci e vista la giovane età (27 anni) può aver un po’ pagato lo scotto del noviziato. La band ha propinato tutti i suoi classici: da “Alison Hell” a “Welcome To Your Death” passando per “King Of The Kill” (stupenda dal vivo) sino ai più recenti “Shallow Grave” e “Ultra-motion”. Il muro ritmico del sempre giovane e carismatico Jeff Waters è risultato come al solito solido ma dinamico e ha catalizzato sin dalle prime battute l’attenzione degli esaltatissimi presenti. Gli innumerevoli cambi di line-up in cui è incappata la band nel corso degli anni non ne hanno pregiudicato l’affiatamento tra i componenti, almeno ultimamente, e il risultato è stato quello di trovarsi davanti cinque persone sincronizzate su ogni singola nota. Doverosa una menzione per la prestazione del succitato leader Jeff Waters, un personaggio che trasmette a tutti la fierezza e la convinzione di quello che fa da anni con passione. Imprescindibili.
Fabio Scarpanti
VICTORY
Ennesima reunion per una delle più famose hard rock band tedesche degli anni Ottanta! Ovviamente parliamo dei redivivi Victory, che con il loro concerto a Wacken debuttano a diversi anni dallo scioglimento. La line up è quella classica, ci sono pure le star Herman Frank (Accept) e Fritz Randau (Saxon), e tutti insieme per trenta minuti hanno fatto scuola di hard rock. La tirata “Check In The Mail” mette subito fine a qualsiasi dubbio sullo smalto dei Victory, anche a distanza di così tanto tempo la band riesce ancora a fare scintille ed a divertire i sempre più folti presenti. Certo, la lucidità non è quella dei vecchi fasti, ma siamo certi che con un sano rodaggio i nostri prodi riusciranno a ritornare quella macchina da guerra che tutti noi conosciamo. Da segnalare, subito dopo la fine dello show, l’entrata on stage dei Saxon al completo che hanno eseguito tre classici, “Motorcycle Man”, “Denim & Leather” e “Princess Of The Night”, per far promozione al loro nuovo DVD.
Andrea “Jolly Roger” Raffaldini
RUNNING WILD
Lo show dei Running Wild ha rappresentato uno dei momenti più incisivi dell’intero Wacken Open Air. La band capitanata da Rock’n’Rolf è ormai un’istituzione in terra teutonica, ma non solo, e quando propone uno show incentrato sui migliori cavalli di battaglia della propria carriera, l’esaltazione ed il coinvolgimento del pubblico diventa insostenibile . Si parte con “Genghis Khan” e “Little big Horn”, ma potremmo andare avanti elencando “Conquistadores”, “Victory” o un’indimenticabile “Prisoners Of Our Time”, tutte eseguite più che discretamente dalla band. Si prosegue con gli inediti “Apocalyptic Horsemen” e “Prowling Werevolf”, estratti dal recente Best Of che non convincono però a fondo, mentre l’epica “Treasure Island” fa sì che cori del pubblico si uniscono e la voce di Rock’n’Rolf si trasformino in un singolo canto. Grande neo della serata il poco ispirato assolo di batteria di “Metal Machine”, che più si dedicava a sfoggiare il suo fisico da body builder, più si lasciava andare in stupidi errori indegni per una band del calibro dei Running Wild. Si termina con una “Chains & Leather” totalmente riarrangiata e con l’immancabile “Under Jolly Roger”. Semplicemente immensi.
Andrea “Jolly Roger” Raffaldini
DEW-SCENTED
Chiamati ad aprire il massacro sul black stage nella giornata di venerdì, il thrash combo tedesco non si è fatto troppo pregare nell’infierire con la propria proposta sul già accaldatissimo e numeroso pubblico accorso a vederli. Con il nuovo “Impact” pronto ad essere pubblicato, il quintetto è apparso motivatissimo e carico al punto giusto, sfoderando una prova decisamente notevole pur penalizzato da un’acustica non ottimale. Sono stati presentati due nuovi, ottimi, brani e una buona selezione di piccoli classici nella quale ahnno spiccato l’opener “Bitter Conflict” e la velocissima “Unconditional”, entrambi tratte dall’album “Inwards”, per ora il disco di maggior successo della loro carriera.
Luca Pessina
THE CROWN
Devastanti, potenti e coinvolgenti. Questi tre aggettivi tanto per mettere in chiaro quello che questi cinque svedesi hanno fatto in una caldissima (pure troppo) mattinata al Wacken. I The Crown, signori. Uno dei pochi swedish act a non aver mai sbagliato un colpo nel corso degli anni e soprattutto a non essersi uniformato ai trend imperanti. Preamboli a parte, i The Crown si sono presentati, dopo la breve parentesi Tomas “Tompa” Lindberg, con il ritorno dell’originario singer Johan Lindstrand, decisamente più a suo agio rispetto al fugace sostituto, e hanno sparato una dietro l’altra tutte le loro “hit”, dall’opener “Crowned In Terror”, dal disco omonimo, a “Satanist” passando per l’anthem “1999 Revolution 666” per poi dedicarsi ad un buon numero di brani di “Deathrace King”. Ha trovato inoltre spazio in questa killer set-list un brano inedito (che è parso molto dinamico e potente) che ha fatto pregustare l’uscita dell’imminente “Possessed 13”. L’epilogo del concerto è stato poi lasciato all’acclamatissima “Total Satan”, canzone che ha chiuso uno dei concerti migliori di questa prima giornata. Unico appunto da fare alla band è la non sempre precisa esecuzione di tutti i brani: in qualche occasione i nostri la fanno fuori dal vaso ma, comunque, cercare il pelo nell’uovo in un gruppo del genere è forse superfluo. Grandi!
Fabio Scarpanti
DIAMOND HEAD
Sorpresa!!! Le star della NWOBHM Diamond Head si sono presentati con la formazione per metà stravolta e sostituita dai ragazzi dei Tygers Of Pan Tang, tra cui Jess Cox alle vocals! Di naturale conseguenza la scaletta dello show ha alternato brani di entrambe le bands, “Streets Of Gold”, “Wild Cats”, “The Prince”, solo per citarne alcune. Purtroppo la folla non sembrava molto interessata alla band, l’affluenza era minima e gli incoraggiamenti ridotti all’osso. L’unico momento che ha svegliato i dormienti è coinciso con l’esecuzione di “Am I Evil” (famosa per essere stata ripresa dai Metallica). Probabilmente molti, i più giovani, conoscevano poco o nulla i brani che negli anni Ottanta hanno fatto la fortuna dell’Inghilterra, aggiungiamo una band che dal vivo non ha nemmeno mostrato la giusta dose d’energia ed ecco che lo show dei Diamond Head sarà ricordato come uno dei più noiosi dell’intero festival. Peccato…
Andrea “Jolly Roger” Raffaldini
DISMEMBER
Presentatisi con una formazione leggermente rinnovata, che vedeva un biondo crinito bassista session sostituire Richard Cabeza, i leggendari Dismember hanno dato fuoco alle polveri con la velocissima “On Fire” per poi concedere un larghissimo e strameritato spazio alle composizioni più datate. Ben cinque delle dieci canzoni proposte appartenevano infatti al fondamentale debut album “Like An Everflowing Stream” e non è poi mancata, ovviamente in chiusura, la mitica “Dreaming In Red”, tratta dall’altro masterpiece “Indecent & Obscene”. Al di là di questo fantastico tributo alle loro prime pubblicazioni, il concerto si è rivelato assai interessante anche perché la band, oltre ad ufficializzare l’entrata in line up del nuovo chitarrista, ha anche presentato un nuovo brano che apparirà sull’imminente “Where Ironcrosses Grow”. Il brano, un perfetto incrocio tra le sonorità di “Hate Campaign” e quelle di “Death Metal”, ha raccolto consensi favorevolissimi, soprattutto nella sua parte finale, fortemente ispirata al metal classico! Uno show estremamente convincente come quello dello scorso maggio… e ora aspettiamo il disco!
Luca Pessina
FREEDOM CALL
Power metal melodico e sdolcinato, quello tradizionalmente proposto dai Freedom Call. La band capitanata dal drummer dei Gamma Ray, Dan Zimmermann, francamente stanca dopo i primi due brani, nessuna sorpresa ci si può aspettare dalla band famosa per la batteria “ad elicottero” e per un cantato da cartone animato. Nonostante la frangia tedesca dei presenti abbia supportato dall’inizio alla fine i Freedom Call, noi rimaniamo dell’idea che la band da sempre venga sopravvalutata. Tempo di andare a prendere da bere…
Andrea “Jolly Roger” Raffaldini
SENTENCED
Sul Black Stage è la volta, per la considerevole folla in attesa, di assistere allo show dei finlandesi Sentenced. La band, soprattutto con l’ultimo disco “The Cold White Light”, si è creata un pubblico numeroso e variegato, considerando l’accessibilità per loro piuttosto inusuale della proposta. Sulle note di “Konevitsan Kirkonkellot” (purtroppo interrottasi per problemi tecnici) I cinque suicider fanno il loro ingresso, coinvolgendo gli astanti con l’attacco di “Noose”. Come prevedibile è il singer Ville Lahiala a monopolizzare l’attenzione, a dire il vero in maniera un po’ esegerata, condendo la sua prestazione vocale (come sempre molto buona) di mosse sensual-decadenti alla Ville Valo. Inutile dire che gli altri membri del gruppo abbiano avuto uno spazio minimo di visibilità persino negli assoli. Ma questo è quello che la gente sembra gradire, e come non essere d’accordo quando si è trascinati da song quali “Farewell”, “Sun Won’t Shine”, “Nepenthe”, “Broken” e “The Suicider”, veri e propri inni di un certo metal intimistico di qualità? Molto convincenti anche le song dell’ultima fatica, accompagnate costantemente dai cori del pubblico e persino da accenni di stage-diving. I finlandesi presenti inoltre hanno gridato la loro approvazione quando Ville Lahiala ha annunciato fiero: “The spirit of Finland, No One There!”. Bel concerto quindi, forse l’ultimo importante per la band in attesa della prossima mossa discografica.
Valentina Spanna
PRIMAL FEAR
Con il trascorrere della giornata, le prime “star” iniziano a calcare i palchi del Wacken, ora è il turno dei Primal Fear capitanati da Matt Sinner e Ralf Scheepers. Sin dalle prime note la band mette in mostra una forma invidiabile ed una potenza devastante che rende episodi alla stregua di “Angel Of Black” e “Silver And Gold” dei veri schiacciasassi. La performance dei musicisti, tra cui citiamo Tom Naumann di nuovo alle chitarre, è ineccepibile, nemmeno nell’esecuzione della cover “Metal Gods” dei Judas Priest (Scheepers su tutti è autore di una prestazione mozzafiato). Il pubblico è numerosissimo e non smette mai di dare supporto e calore ai cinque tedeschi che, in attesa del loro nuovo studio album, ci deliziano di un brano inedito, sempre all’insegna del metallo classico. Promossi anche loro!
Andrea “Jolly Roger” Raffaldini
TESTAMENT
La folla assiepa in attesa lo spazio antistante al black stage… in questo caldo pomeriggio stanno per suonare i Testament. Finalmente, considerando che erano già stati annunciati a Wacken anni addietro senza mai esibirsi. Al contrario di quanto fatto nei concerti europei degli ultimi anni, la band ha privilegiato il materiale più datato snocciolando in rapida successione una serie di acclamatissimi brani tra cui “Practice What You Preach”, “Over The Wall” e “Disciples Of The Watch”. Chuck Billy è apparso in buona forma e con lui tutta la band, più che nella data italiana del No Mercy lo scorso aprile. Anzi, il corpulento singer ha addirittura sopreso tutti presentandosi agghindato come ai tempi d’oro, ovvero ‘total leather look’!!! Un concerto molto convincente che ha entusiasmato davvero gran parte dei presenti e che ha fatto esprimere pareri positivi sullo stato di salute dei nostri praticamente ovunque. Si continua ad attendere un nuovo studio album, ma finché i Testament continueranno ad offrirci tali prestazioni live l’attesa rimarrà sempre su livelli sopportabili.
Valentina Spanna
ROTTING CHRIST
Chiamati per la prima volta ad esibirsi al W.O.A., i greci Rotting Christ hanno forse pagato un po’ il fatto di esibirsi di giorno e per giunta all’interno del WET stage, che col suo telone bianco non aiutava certo la band a ricreare l’atmosfera necessaria per la propria musica. Un peccato, perché l’esibizione del quintetto è stata dignitosa e avrebbe meritato una cornice assai diversa da quella offerta quest’oggi dall’organizzazione. La band non ha particolarmente brillato ma, come dicevo, la prova è risultata ugualmente convincente, presentando una rassegna di brani incentrata prevalentemente sull’ultimo “Genesis” (bellissima l’esecuzione di “Quintessence”) e su “Khronos”. Sono però state eseguite anche vecchie perle del passato e la palma di pezzo memorabile dello show è andata alla stupenda “Non Serviam”, canzone che per tutta la sua durata ha fatto dimenticare il caldo letteralmente insopportabile a cui si era soggetti all’interno del tendone.
Luca Pessina
GAMMA RAY
Kai Hansen in Germania è venerato come una sorta di divinità musicale. Appena appare sul palco tutti i metal head invocano il suo nome, creando una confusione inverosimile. “Gardens Of The Sinner” apre le danze per un concerto non proprio consono, in quanto la scaletta proposta contiene brani inusuali e da tempo messi nel dimenticatoio dai quattro tedeschi. “Rich And Famous” e “All Of The Damned” seguono a ruota, l’energia ed il feeling non si precano, grazie soprattutto al carisma di Hansen: la sua voce è sempre al centro di grosse discussioni, ma quando è on stage pochi riescono a comparare la sua carica. Proseguiamo con “Heavy Metal Universe”, inno alzato per tutti i fratelli del metallo che, appena intonate le note dell’helloweeniana “Victim Of Fate”, perdono letteralmente il lume della ragione! Ciliegina sulla torta: durante l’esecuzione della power ballad “The Silence”, sale Ralph Scheepers ( che, ricordiamo, ha cantato nei Gamma Ray fino a “Land Of The Free” escluso) a duettare con mastro Kai. Gamma Ray… semplicemente inimitabili.
Andrea “Jolly Roger” Raffaldini
IN FLAMES
Reduci da innumerevoli tour in giro per il mondo ed oramai espertissimi sotto questo punto di vista, gli In Flames di Jesper Stromblad hanno offerto il solito show compatto e divertente ad una folla che, essendo loro gli headliner del black stage nella giornata di venerdì, si è rivelata numerosissima e ovviamente adorante. Privilengiando, come prevedibile, le sonorità moderne e catchy degli ultimi due dischi, il quintetto non ha fatto alcuna fatica a coinvolgere e a far saltellare il pubblico che, grazie anche ad una presenza scenica dei nostri derivata dall’hardcore e dal nu metal (e quindi molto esuberante e fisica) e a trovate sceniche spettacolari come fiamme e fuochi d’artificio, si è pian piano letteralmente esaltato! Certo, chi si aspettava pezzi come “Morphing Into Primal” (tanto per citarne uno) sarà rimasto ugualmente scontento, ma sarebbe da pazzi criticare un simile show solo perché la band ha in parte accantonato lo stupendo materiale degli esordi (e questo poi non è certo una novità!). “Behind Space” e soprattutto “Gyroscope” hanno strappato più di un sorriso a coloro che, come chi scrive, seguono la band da anni e l’impatto e la melodia di “System”, “Bullet Ride” o della nuova “Watch Them Feed”, che in sede live rendono benissimo, avranno senza dubbio fatto dimenticare qualsiasi contrarietà anche ai più scettici. Il sottoscritto non è ancora pienamente convinto dal corso intrapreso dagli In Flames negli ultimi anni, ma è innegabile che i loro concerti siano sempre estremamente professionali e divertenti. Impossibile, quindi, non promuoverli!
Luca Pessina
TWISTED SISTER
Reduci dallo show memorabile del Bang Your Head, Dee Snider ed i Twisted Sister sono chiamati al ruolo di headliner della seconda giornata (nonché alla sostituzione dei defezionari Iced Earth). Se da un lato la carica dello show non ha raggiunto i fast idi Balingen, non si può non riconoscere a Dee Snider di essere uno dei più energici frontman della scena mondiale, la sua classe e la sua abilità nell’esaltare le masse sono riuscite, nonostante l’ora tarda, ad infiammare i cuori delle migliaia di persone sotto il palco, tutte impegnate a cantare “Stay Hungry” e “We’re Not Gonna Take It”. Gli altri “ragazzi” della band, soprattutto Mark “The Animal” Mendoza e Eddie Ogeda, portano addosso tutta la ruggine dettata dal lungo periodo di riposo, le loro imprecisioni sono percettibili anche da orecchie non esperte, fortunatamente luci, costumi ed ancora una volta Dee Snider, riescono a mascherarle più che degnamente. Le sensazioni che si provano ad ascoltare ancora dal vivo hit come “I Wanna Rock” e la toccante ballad “The Price” sono indescrivibili, è difficile spiegarsi come tutt’ora riescano a resistere dopo ben vent’anni! Sick Motherfuckers, cosa potete chiedere di più? L’occasione di una vita, quella di vedere all’opera una delle migliori live bands al mondo si è concretizzata ancora grazie agli amati tedeschi, da sempre sostenitori delle sonorità più classiche e genuine. I Twisted Sister sono tornati. Lunga vita ai Twisted Sister.
Andrea “Jolly Roger” Raffaldini
THYRFING
Per dare una bella sveglia a tutti I metallari distrutti dalla prima giornata, gli organizzatori hanno pensato bene di far esordire gli svedesi Thyrfing sul tru metal stage alle 12 circa. Nei tre quarti d’ora a loro disposizione i componenti della band si sono dimostrati all’altezza di coinvolgere una cospicua platea e probabilmente di crearsi nuovi fan, vista l’energica prestazione. Dando spazio ai brani più incisivi della loro ultima release “Vansinnesvisor” nonché ai loro classici (sempre impreziositi da tastiere ed attitudine folk personale, mai scontata) hanno creato l’atmosfera giusta per un brutale ritorno all’epos vichingo!
Valentina Spanna
SOILWORK
Nuova prova del fuoco sul palco di Wacken (dopo l’edizione 2001) per gli svedesi Soilwork, band che dal vivo non ha mai entusiasmato chi scrive. Purtroppo anche questo concerto non ha fatto eccezione. Già, perché come ultimamente il gruppo ha dimostrato in sede live, sembra essere sceso il Memento Mori sul loro pur recente passato discografico. Bjorn & co. sembrano essersi fermamente proposti di far cadere definitivamente nell’oblio i pezzi entusiasmanti, violenti e puramente death-thrash di due formidabili studio-album come “Steelbath Suicide” e “Chainheart Machine”. Facciano pure, si accomodino, ma a rischio e pericolo di ritrovarsi come unici fan orde di ragazzini che giocano a fare i metallari duri esaltandosi sulle note di un aborto pop-metal (rock) come “Rejection Role”. Per non parlare della commercialmente redditizia pseudo-fratellanza con gli In Flames, con tanto di video gemelli. L’unica concessione ai fan storici è la pur catchy “Needle Feast” da “A Predator’s Portrait”, per il resto i comunque buoni pezzi da “Natural Born Chaos” e quella che a quanto pare sembra essere l’irrinunciabile sequela di brani tratti dall’ultima fatica, tra cui “Light The Torch” e “Figure Number Five”. A quanto detto va doverosamente aggiunto l’a dir poco irritante modo di calcare il palco del singer (il resto della band è a dir poco un’entità immobile), che ostentava come suo solito una caricata superiorità del tutto fuori luogo. Non ci siamo proprio!
Valentina Spanna
ANCIENT RITES
Il concerto degli Ancient Rites è stato aperto dal bellissimo intro “The Return” e, come nel recente live album, ha poi passato in rassegna tutti i brani più rappresentativi degli ultimi due dischi, “Fatherland” e “Dim Carcosa”. La band di Gunther Theys ha mostrato di possedere una certa padronanza del palco, non eccedendo in atteggiamenti esuberanti ma dominando la scena comunque in modo egregio. Una gran bella impressione hanno fatto i brani estratti dall’ultimo album, su disco minati da una produzione troppo pulita ed esile ma qui resi in modo molto coinvolgente grazie alla carica tipica delle esibizioni live. Bellissimo inoltre il colpo d’occhio sul pubblico, costituito in ugual misura da death-black metaller e da più canonici metalhead, tutti uniti nel cantare gli epici ritornelli e nel fare headbanging sulle note delle variegatissime composizioni dei nostri. Tripudio generale, come sempre, durante l’esecuzione della vecchia “Blood Of Christ”, brano il cui testo è condito da una vasta gamma di bestemmie declamate in praticamente tutte le lingue europee.
Luca Pessina
RAGE
Nonostante impegnati nella promozione del loro nuovo “Soundchaser” (a Wacken è stato organizzato un ascolto in anteprima), i Rage non hanno certo elemosinato le proprie energie una volta saliti sul palco. Un Peavy Wagner rasato, ed ingrassato all’inverosimile ha comunque condotto un concerto esemplare all’insegna di canzoni vecchie e recenti. Oltre agli estratti da “Unity”, citiamo l’immancabile “Sent By The Devil” (era “Black In Mind”)) ed una song inedita, “War Of Worlds” estratta dalla nuova fatica discografica targata Rage. A sentire il sound del nuovo brano, non possiamo che aspettarci il meglio da “Soundchaser” (a breve recensito su queste pagine, nd JR), ci sono davvero tutti i numeri per superare le più recenti fatiche della band. La conclusione dello show spetta ovviamente ad “Higher Than The Sky”, cantata a squarciagola da tutto il pubblico presente. Dopo ben tre album, la formazione a tre è ormai collaudata e non ha nulla da temere se messa a confronto con l’illustre passato di Peavy Wagner e compagni.
Andrea “Jolly Roger” Raffaldini
KATAKLYSM
Praticamente risorti da un periodo assai buio grazie al successo di “Epic” prima e di “Shadows & Dust” poi, i canadesi Kataklysm sono ormai tornati saldamente a far parte delle formazioni di spicco in campo death metal. Costantemente in tour quasi da un anno e stakanovisti al punto di aver già completato il loro prossimo album in studio, il quartetto capitanato dall’italianissimo Maurizio Iacono ha colto l’occasione offerta loro dal W:O:A per presentare al pubblico europeo il nuovo batterista e per saggiare l’impatto live di un paio di pezzi che figureranno sul nuovo “Serenity In Fire”, in uscita il prossimo febbraio. Molto compatti come al solito, i Kataklysm hanno offerto una buona prova, non memorabile ma assolutamente piacevole! I brani di “Shadows & Dust” rendono benissimo in sede live e lo stesso si è potuto dire di quelli nuovi, stilisticamente non distanti da quelli del succitato lavoro. Uno show quindi molto divertente… e bravi Kataklysm!
Luca Pessina
STRATOVARIUS
Assistere ad un concerto degli Stratovarius ormai non fa più né caldo né freddo. La band capitanata dal guitar hero Timo Tolkki ormai è tanto precisa, quanto gelida e priva di emozioni. Dal punto di vista tecnico nulla da eccepire, probabilmente poche band presenti raggiungono un tale affiatamento, ma il feeling trasmesso da “Paradise”, da “Hunting High & Low” e da “Black Diamond” rasenta lo zero assoluto se paragonato a mostri sacri quali Gamma Ray, Testament o Twisted Sister… fortuna che quel vecchio volpone di Johannson con la sua classe ed esperienza rallegra virtuosamente l’andazzo del concerto. Nulla di nuovo, quindi, sul fronte Stratovarius, gli estimatori della band finlandese hanno ricevuto l’ennesimo buon segno, mentre i detrattori, ancora una volta, hanno preferito bersi una birra in tutta pace e tranquillità.
Andrea “Jolly Roger” Raffaldini
DARKANE
Mostruosi. Uno dei concerti migliori di questa edizione del festival, un’esibizione che ha lasciato un segno indelebile nella memoria dei presenti in quella bolgia del WET stage. Se il concerto tenuto al No Mercy festival lo scorso aprile aveva fatto intravedere una buona capacità nel riproporre on stage il loro moderno thrash-death metal, questa volta la loro performance, grazie anche a dei suoni molto validi, ha spazzato via ogni dubbio, mettendo in luce una band consapevole al massimo dei propri mezzi, una band che non ha sbagliato un colpo, infliggendo al pubblico una mazzata dopo l’altra. Esecuzione perfetta, presenza scenica esagerata e coinvolgimento del pubblico ad altissimi livelli. Chi scrive ha ancora in mente la potenza profusa durante “Innocence Gone” o “Hostile Phantasm”… godimento puro! Il futuro di un certo tipo di thrash metal passa per i Darkane… non ci sono più dubbi!
Luca Pessina
NILE
La band statunitense si è esibita sul black stage prima dei devastanti Slayer, preparando così il terreno alla macchina da guerra per eccellenza. Infatti I nostri hanno confermato ulteriormente la propria bravura on stage, proponendo un giusto mix di atmosfere malate e claustrofobiche e di velocissimo death metal. I Nile con la loro musica ci prendono per mano in un universo putrescente dal quale non esiste uscita se non la pazzia che ci coglie dopo aver assistito all’esecuzione dei brani dell’ultimo “In Their Darkened Shrines” e degli ormai classici pezzi di “Black Seeds Of Vengeance”. Un oscuro peregrinare attraverso I misteri dell’Egitto accompagnati dalle soffocanti ritmiche che sono il loro trademark. Un muro sonoro invalicabile che all’ascolto dal vivo si propone in modo tanto ostico quanto affascinante. I Nile infatti per essere apprezzati a pieno dal vivo necessitano forse di essere scoperti prima su disco, altrimenti non si riuscirebbero a cogliere tutte le sfumature della loro musica che, nella dimensione live, appare più che altro veloce, potente e, a tratti, persino caotica.
Valentina Spanna
SLAYER
Atto primo del Wacken Open Air per gli storici, imprescindibili, quattro thrasher americani. Un concerto questo svoltosi la sera di sabato sul Tru Metal Stage, un concerto fatto di luci ed ombre. Davanti ad una folla immensa che da venti minuti invocava urlante il loro nome, gli Slayer hanno fatto il loro ingresso sulle note di “Darkness Of Christ”, ingresso sottolineato, come del resto tutta la performance, da un impianto luci assolutamente perfetto. La prima canzone che Tom Araya e co. decidono di eseguire per caricare l’audience è “Disciple”. Se ci si distoglie però dall’atmosfera, dall’emozione dell’attesa, dalla suspence di vedere un gruppo del loro calibro esibirsi finalmente in un festival di tali proporzioni, ci si rende subito conto di alcune pecche che andranno purtroppo a penalizzare lo show. In primis i suoni, troppo bassi in generale per tutti gli strumenti, e un’attitudine live inspiegabilmente più distaccata e fredda del solito (non che normalmente gli Slayer dal vivo siano una miniera di calore e simpatia, il che farebbe a pugni con le caratteristiche della loro musica, ma in questo frangente sembravano addirittura annoiati). Se a tutto ciò aggiungiamo che la scaletta dei primi venti/venticinque minuti, ad eccezione di “War Ensemble”, si è basata esclusivamente sugli ultimi due album, si può allora comprendere la lieve delusione di chi scrive (e sentendo alcuni commenti, non solo). Nel prosieguo dello show i nostri hanno invece (e per fortuna) dato spazio ai tanto attesi classici: “Angel Of Death” e “South Of Heaven”, insolitamente poste a metà della setlist, “Hell Awaits”, “Dead Skin Mask” e, tra le altre, graditissime sorprese come “The Antichrist”, “Jesus Saves” e “Piece By Piece”. La chiusura è stata affidata alla micidiale accoppiata “Postmortem”/Raining Blood”. A onor del vero, nella seconda parte di concerto, i volumi sono stati alzati sino a raggiungere un accettabile livello di resa. Ciò ha fatto si che la prova acquistasse in incisività, pur non raggiungendo le vette delle recenti esibizioni italiche e non. Una performance discreta, volendo impoverita dall’assenza di due gemme quali “Season In The Abyss” e “Chemical Warfare”, che si farà ricordare più per l’esecuzione di brani da tempo assenti dalle scalette che per l’effettivo valore della band on stage.
Valentina Spanna