Introduzione a cura di Andrea Raffaldini
Report a cura di Andrea Raffaldini e Marco Pastorino
Foto a cura di Bianca Saviane
La notizia che i Gamma Ray avrebbero tenuto uno show in Repubblica Ceca affiancati da Michael Kiske – il mai dimenticato ex-cantante degli Helloween che, insieme a Kai Hansen, ha realizzato due dei dischi più importanti dell’intero filone power metal – non poteva passare inosservata. Per questo non abbiamo esitato a percorrere oltre duemila chilometri: l’occasione di vedere insieme questi i due dèi del metallo germanico era imperdibile! Nonostante la temperatura glaciale della tetra cittadina di Zlin, l’interno del Palaghiaccio che ospitava il Winter Masters Of Rock era paradossalmente ancora più freddo. Solo le potenti grappe alla pera che gli stand gastronomici offrivano ci hanno aiutato a sopportare il clima e a goderci appieno lo show!
SEPTICFLESH
Al nostro arrivo, i greci Septicflesh erano a circa metà del loro show. Siamo comunque riusciti ad ascoltare cavalli di battaglia come “Anubis”, “A Great Mass Of Death” e “Five-Pointed Star”, eseguite alla perfezione dalla band. Il pubblico, ancora non troppo folto, ha seguito con una certa dose di freddezza lo show del combo ellenico, ma Spiros Antoniou e compagni hanno comunque dato il meglio per offrire la miglior prestazione possibile. I trentacinque minuti concessi ai Septicflesh purtroppo si sono tradotti in pochi brani, ma la qualità ha avuto il sopravvento sulle tempistiche ridotte.
(Andrea Raffaldini)
BLOWSIGHT
Gli svedesi Blowsight sono una band dal look a metà strada tra Hardcore Superstar, Tokyo Hotel e HIM, ma più incattiviti da uno spirito rock che ha permesso loro di reggere il confronto, almeno sulla carta, con le altre formazioni presenti. Dal vivo, purtroppo, il gruppo non ha mai tirato fuori le unghie e i loro brani spenti e privi della giusta attitudine hanno causato il progressivo allontanamento della folla, che ha preferito riposare allegramente gustando una sacrosanta pinta di birra. Peccato per l’occasione persa, i Blowsight avrebbero potuto seguire le orme dei Septicflesh ed offrire un vero riscaldamento per il gruppo successivo, i Kingdom Come.
(Andrea Raffaldini)
KINGDOM COME
A poche ore dall’inizio di questa nuova edizione del Winter Masters Of Rock, i ragazzi della crew dimostrano un’organizzazione perfetta per ogni minimo dettaglio, a parte uno: il gelo che pervade l’intera zona, sia esterna che – soprattutto – interna. Tra un paio di drink e visite al merchandising di ogni band, ci prepariamo per l’inizio di un nuovo live-set. Dopo lo show dei Blowsight, è il turno dei Kingdom Come, che, nel giro di un’ora scarsa, mettono in mostra i migliori esempi di oltre vent’anni di scintillante carriera. La band di Lenny Wolf mescola sapientemente hit del passato con nuove gemme tratte dal fortunatissimo ultimo nato “Rendered Waters”, uscito su SPV Records, che ha saputo riconquistare orde di fan degli anni d’oro e far conoscere questo storico nome alle nuove leve. Ma passiamo al concerto vero e proprio: la voce di Wolf sembra aver perso qualche colpo con gli anni, ma il suo carisma continua ad essere uno dei punti di forza dei Kingdom Come. La più bella sorpresa arriva da quell’animale che siede dietro le pelli, Mr. Nader Rahy che, probabilmente visti gli altri mostri sacri presenti al festival (da Dan Zimmerman al grande Tim Yeung), sembra voler dare una marcia in più ad ogni canzone, con un groove particolarmente ispirato. Le canzoni degli anni Ottanta brillano di una nuova luce, grazie ai nuovi arrangiamenti che le contraddistinguono dal passato e grazie alla performance di quest’ultima line-up. Un’ora di grintoso heavy metal melodico che ha saputo scaldare almeno un poco il pubblico ceco dal gelo del palazzetto. Quando i Kingdom Come terminano la scaletta, notiamo con piacere come l’area concerti si stia prepotentemente riempiendo di migliaia di teste che vogliono solo partecipare a questa valanga di heavy metal.
(Marco Pastorino)
CORONER
Il W.M.O.R. si potrebbe racchiudere in poche parole: metal, birra a profusione, migliaia di fan incalliti e alcune tra le leggende più grandi degli ultimi venticinque anni. Una di queste si chiama Coroner ed il suo nome richiama a sua volta una vasta platea in attesa di assistere ad una superba prestazione. Dopo la reunion del 2010, che li ha visti tornare in auge dopo quindici anni di pausa, i Coroner non si sono più fermati. Grazie ad una grinta ritrovata, mescolata ad una richiesta sempre più alta per i loro show, la formazione ha saputo conquistarsi nuovamente quel pubblico che li ha aspettati per così tanto tempo. Il terzetto oggi sembra molto più in palla rispetto alle calate italiche dell’ultimo anno e, durante la dozzina di pezzi proposti, non accenna a fermarsi, a frenare la sua corsa. Gli svizzeri saccheggiano l’osannato “Grin”, per cui ricordiamo soprattutto gli inni “The Lethargic Age” e “Internal Conflicts”. Spetta all’encore conclusivo “Reborn Through Hate” la chiusura delle ostilità. I suoni, nettamente migliorati rispetto alle band che li hanno preceduti, hanno reso possibile uno dei concerti più di livello della giornata, con la chitarra di Tommy Vetterli che ha letteralmente rubato la scena agli altri due della band. I Coroner sembrano essere rinati e il loro thrash tecnico farcito di spunti prog ha saputo coinvolgere come nel ‘93, quando il loro quinto album, ancora ultimo in studio purtroppo, riuscì prepotentemente a catturare l’attenzione degli addetti ai lavori. Il tempo degli svizzeri è terminato e ora la città di Zlin palpita nell’attesa di un altro degli act più importanti di quest’edizione…
(Marco Pastorino)
MORBID ANGEL
Non appena Trey Azagthoth mette piede sul palco del Winter Masters Of Rock, la folla lo acclama in un boato infernale. La band americana non perde tempo in fronzoli, ma ci schianta in faccia quel death metal che l’ha resa celebre in tutto il mondo. Brani nuovi, alternati a vecchie glorie del passato si susseguono in mezzo a poderosi riff, letali parti di batteria e growl ad opera di un David Vincent in grande spolvero. “Rapture”, “Day Of Suffering” e “Blasphemy” vengono eseguite alla perfezione, il pubblico si dimostra partecipe lasciandosi trasportare in un headbanging furioso. Benché all’interno del palazzetto il freddo sia sempre più acuto, l’energia trasmessa dai Morbid Angel permette ai presenti di ignorare la temperatura e godersi lo show. “Angel Of Disease” e “Blood On My Hands” si susseguono tra duelli di chitarra; Trey Azagthoth in forma smagliante macina ritmiche devastanti e marziali, seguito come un vero leader da tutti gli altri musicisti. Arrivati a questo punto del festival, i giochi si fanno seri ed i Morbid Angel hanno dimostrato di avere tutte le carte in regola per essere collocati tra i posti più alti della scaletta. “Chapel Of Ghouls” congeda gli americani che, soddisfatti del loro show, salutano i presenti tra le ovazioni generali. Ancora una volta i vecchi dinosauri dell’heavy metal hanno fatto scuola con un concerto davvero sopra le righe, quasi un monito per le giovani band affamate di gloria: forse non è ancora il momento di passare il testimone.
(Andrea Raffaldini)
AMON AMARTH
Arriviamo così al culmine del festival dopo la performance dei Morbid Angel. Le migliaia di persone accorse a Zlin sono qui soprattutto per loro: gli Amon Amarth. Ma, prima della salita nel Valhalla, un’altra sorpresa: Joakim Broden e Par Sundstrom, rispettivamente voce e basso dell’heavy-power metal band Sabaton, salgono sul palco per annunciare il loro show da headliner nell’edizione 2012 del Masters Of Rock, e il pubblico s’infiamma letteralmente! Vestiti con panni che potrebbero benissimo essere quelli di Joey De Maio e compari, vengono incitati e salutati dai fan in modo travolgente. Ma è giunto il momento di tornare ad uno dei nomi clou della giornata, uno dei gruppi più altisonanti degli ultimi anni. La band svedese è ormai un’istituzione in campo metal, i continui sold out in tutta Europa e Stati Uniti non fanno che confermare lo status raggiunto dai guerrieri vichinghi. Questa data segna anche l’ultima tappa del tour lungo sette settimane che li ha portati, in compagnia di As I Lay Dying e Septicflesh, in ogni parte del Vecchio Continente, Italia compresa. L’ultimo nato, “Surtur Rising”, risuona ancora prepotentemente nelle nostre orecchie quando l’intro di “ War Of The Gods” riscalda un’atmosfera che col passare dei minuti diventerà infernale. Il quintetto, in forma clamorosa, continua la sua conquista del festival con una sequenza spaventosa di classici: “Runes To My Memory”, “ Destroyer Of The Universe”, “ Live Without Regrets” sono solo l’inizio di un viaggio che, in poco più di settantacinque minuti, porterà tutto il pubblico a solcare i mari più antichi, tra battaglie epiche, violenti scontri e guerrieri orgogliosi. Dopo undici brani, così immediati e fieri da scongelare il palazzetto, ecco il colpo di grazia: Johan Hegg e soci tirano fuori dal cilindro due delle gemme più splendenti della loro discografia, quelle “Twilight Of The Thunder God” e “Guardians Of Asgaard” che chiudono così il cerchio in modo plateale. Una performance davvero stellare che ha mostrato come il viking metal sia al top della forma, così come i loro protagonisti assoluti, che ormai non hanno più nulla da dimostrare. Spettacolari.
(Marco Pastorino)
GAMMA RAY + Michael Kiske
Tempo di main event per il Winter Masters Of Rock e Kai Hansen ed i suoi Gamma Ray si presentano con la dirompente “Anywhere In The Galaxy”. Nonostante la vistosa pancetta aumentata nell’ultimo periodo, Kai Hansen si dimostra in grande forma, tanto che la sua voce reggerà per tutta la durata del concerto. Diversamente, la scaletta scelta lascia perplessi, in quanto i cavalli di battaglia più tradizionali sono stati sostituiti con canzoni di secondo piano come “The Spirit”, “Empathy” e “Fight”. Dopo quasi quaranta minuti di attesa, Michael Kiske, fra urla e applausi, raggiunge la band ed intona “Time To Break Free”, brano dei Gamma Ray in cui il cantante era apparso come ospite. Kiske non dimostra molta padronanza del palco, i lunghi anni di stop si fanno sentire, ma al contrario la voce è rimasta quella di sempre, profonda, potente, squillante e sicura. Dopo questo breve assaggio, Kai Hansen torna al microfono per la seconda parte del suo set. “Rebellion In Dreamland” viene intonata da gran parte dei presenti dall’inizio alla fine, quasi a tributare quello che molti considerano il miglior brano in assoluto del Raggio Gamma. L’insipida “Induction” lascia presto spazio alla dirompente “Dethrone Tyranny”, con un Daniel Zimmermann scatenato dietro le pelli. Il concerto si chiude con un’altra killer-track, “Somewhere Out In Space”, con annesso un lungo assolo di Hansen. La band si congeda, ma l’umore è alle stelle, tutti sanno che sta per giungere il grande momento dell’encore tutto Helloween. Partono le note di “Future World” e per un attimo sembra di essere di nuovo negli anni Ottanta, ai tempi dei “Keeper Of The Seven Keys”. Michael Kiske non ha perso una virgola della sua voce unica, ancora oggi capace di spazzare via qualsiasi tentativo di concorrenza. Sono però le note della conclusiva “I Want Out”, inno generazionale del Metallo, a scatenare il putiferio. Hansen ride sornione, mentre il buon Michael con il suo fare distante raggiunge quelle tonalità ormai conosciute a memoria da tutti i fan. Il concerto è davvero alla fine, Kiske scende dal palco canticchiando Elvis Presley e la folla inizia ad abbandonare il palazzetto. Una scaletta più azzeccata avrebbe reso l’evento assolutamente imperdibile, così come un maggiore utilizzo di Kiske, ma non si può avere tutto dalla vita. Quello che conta è aver rivisto insieme la Coppia d’Oro del Metallo. In confronto a questa opportunità, cosa saranno mai duemila chilometri di strada?
(Andrea Raffaldini)