Report di Riccardo Plata
Foto di Luna La Chimia
Dopo lo show con gli Evanescence al Forum di Assago di un paio d’anni fa, il ritorno dei Within Temptation nel Belpaese li vede protagonisti nella più abituale cornice dell’Alcatraz di Milano, stasera allestito con il palco delle grandi occasioni, come intuibile dalla lunga (ma scorrevole) coda fuori dal locale e dal numero imponente di camion parcheggiati nei dintorni di via Valtellina.
Prima di vedere in azione la band olandese c’è però spazio per due band di supporto, ovvero i tedeschi Annisokay e i meno conosciuti Blind 8, band ucraina ‘adottata’ da una Sharon Den Adel (leader del gruppo headliner) sempre più coinvolta nel sostegno alla popolazione sotto attacco della Russia.
Vediamo dunque com’è andata la serata, partendo proprio dai – visibilmente emozionati- opener…
Pur senza diventare un gruppo politicizzato come i Rage Against The Machine, Sharon den Adel e compagni di band non hanno mancato negli ultimi anni di esprimere la loro posizione rispetto al conflitto in corso nell’ex Unione Sovietica, visitando anche in prima persona le zone di guerra nel tentativo di sensibilizzare ulteriormente l’opinione pubblica.
Non stupisce quindi che stasera ad aprire siano i BLIND8, formazione di Kiev coinvolta direttamente nel conflitto (cantante e bassista sono stati arruolati nell’esercito) ed attiva anche con iniziative di raccolta fondi solidali, come evidenziato dal QR code in bella vista sul palco.
Detto del nobile fine, musicalmente il nu metalcore del quartetto non ci ha impressionato più di tanto, complice un suono un po’ impastato e ritornelli poco incisivi durante l’esecuzione delle varie “Nightmare” e “Overcome The Darkness”.
Il momento clou risulta come prevedibile l’accorato appello del chitarrista (introdotto da qualche parola in italiano), ma nonostante il climax emotivo anche “Abandoned” e “Bulletproof” suonano poco a fuoco nei momenti più melodici, con le basi a coprire il cantato favorendo qualche salterello d’incoraggiamento, mentre nelle prime file sventolano le bandiere gialloblu d’ordinanza.
Con qualche minuto di ritardo – e dopo le operazioni di cambio palco sulle note di Katy Perry e Myley Cyrus – arriva dopo le venti l’ora degli ANNISOKAY, formazione da annoverare tra le più interessanti nuove leve metalcore uscite dalla Germania negli anni ’10, anche se della line up-originale è rimasto solo il chitarrista/cantante Christoph Wieczorek.
Pur avendo cinque album in saccoccia, il focus dell’esibizione di stasera è tutto sulle composizioni degli ultimi tre anni (l’EP “Abyss Pt.1” e il full-length, “Aurora”), da cui vengono estratti i sei pezzi originali in scaletta.
La partenza con “Throne Of Sunset” mostra subito un bilanciamento ottimale dei suoni e la notevole presenza scenica del quartetto, con lo screamer Rudi Schwarzer a dividersi le parti vocali con il già citato chitarrista, trasformando già dalla successiva “Ultraviolet” il locale in una discoteca rock grazie all’ampio utilizzo dell’elettronica e alle luci stroboscopiche.
Il loro debutto sui grandi palchi milanesi – se non contiamo lo show di otto anni fa al Legend, cui da un sondaggio live per alzata di mano risultano aver partecipato sei persone tra i presenti stasera – è un crescendo che trova il suo apice in “Like a Parasite”: una perfetta commistione tra l’arroganza chitarristica tipica del nu metal e un coro zuccherino al limite dell’emo (per l’occasione resa ancor più speciale dalla partecipazione di Sharon den Adel), cui fa seguito una cover di “One Step Closer” dei Linkin Park che fa collassare la copertura dei cellulari, dato il numero di dirette su Instagram.
Complice una folta presenza di persone venute dall’estero nelle prime file, il pubblico in sala mostra di conoscere bene il testo di “Human” e della più danzereccia “Calamity”, così come il coro finale di “’STFY” (acronimo di ‘shut the fuck up’) viene cantato a gran voce da tutto il locale, chiudendo in bellezza una mezz’ora ad alta intensità.
Confidiamo in un nuovo album a breve, così da poterli rivedere in un contesto da headliner e gustare dal vivo anche la loro produzione più datata.
Mentre in sottofondo gira una playlist più adatta all’occasione (con, tra gli altri, Parkway Drive, Rammstein e Linkin Park) e il locale va riempiendosi – pur senza arrivare al sold-out visto in altre recenti occasioni – viene finalmente svelato il palco dei WITHIN TEMPTATION, con una imponente scenografia sotto forma di tempio greco, completato da un maxischermo dietro la batteria e due pedane ai lati.
Sono da poco passate le nove quando finalmente Sharon den Adel e i suoi cinque compari entrano in scena sulle note battagliere di “We Go To War”, il cui messaggio è reso ancora più forte dalle immagini di guerra sullo schermo e dalle luci rosse.
Questa nuova incarnazione, più moderna ed impegnata, della band olandese tiene banco per i primi cinque pezzi, che di fatto replicano in toto il lato A dell’ultimo album “Bleed Out” (con “Don’t Pray For Me” a sostituire “Worth Dying For”): difficile riconoscere gli alfieri del symphonic metal di “Enter” e “Mother Earth” nel riffing korniano della title-track o nei ritornelli simil-Evanescence di “Ritual”, ma comunque la si pensi sul nuovo corso bisogna riconoscere che dal vivo i pezzi hanno un’ottima resa, e anche la scelta di tenerli tutti in fila contribuisce a donare compattezza a questa prima parte dello show.
Esaurita la parentesi dell’ultimo disco, la parte centrale della scaletta ripesca le hit del passato ma senza andare troppo lontano: la marcetta di “The Reckoning” ci trasporta con l’immaginario nel mondo di “The Hunger Games”, ma la parte più divertente dello show coincide i due estratti dal sottovalutato “The Unforgiving”: la pop “A Shot In The Dark” e il simil-love metal di “Faster” sono il perfetto trampolino per far mostrare i muscoli al tamarrissimo chitarrista Stefan Helleblad nel breve solo, così come l’elettronica più spinta di “Supernova” permette al tastierista Martijn Spierenburg di teletrasportarci tutti idealmente nel regno di “Interstellar”.
Nel mezzo, c’è spazio per l’ennesimo appello a supportare la causa di Zelensky – durante l’esecuzione di “A Fool’s Parade”, nuovo singolo con il cantante ucraino Alex Yarmak, in cui viene lanciata un’altra raccolta fondi – ma soprattutto per il ripescaggio delle più datate “Stand My Ground”, “Angels” e “The Promise”, dove Sharon ha modo di sfoggiare le sue qualità da mezzosoprano, ricordandoci quando se la giocava con Tarja per il ruolo di regina del symphonic metal.
E proprio il fantasma dell’ex cantante dei Nightwish, presente in molte delle date precedenti del tour, aleggia sul palco stasera, ma nonostante la sua assenza “Paradise (What About Us?)”, brano in duetto proprio delle due cantanti, funziona alla grande con la sola Sharon che fa ballare e cantare tutto il locale, confermandosi una performer di razza oltre che un’ottima cantante.
Negli encore non poteva mancare “The Heart Of Everything”, disco della consacrazione presso il grande pubblico: ecco quindi arrivare puntuale la magniloquente “Our Solemn Hour” (con il suo inconfodobile coro “Sanctus – Espiritus”), dove insieme a Sharon si ritaglia finalmente un ruolo da protagonista anche il chitarrista Ruud Jolie, prima della chiusura in dolcezza con l’anticlimax affidato alle atmosfere oniriche di “All I Need” e “Mother Earth”, a conclusione di un’ora e mezza eccellente sotto tutti i punti di vista.
Ottimi suoni, scenografia d’impatto, coinvolgimento nell’interazione di tutta la band con il pubblico senza eccedere in smancerie gratuite e soprattutto una scaletta più che mai ricca di sfaccettature, dal classico al moderno: su disco potranno aver perso qualche fan, ma dal vivo i Within Temptation restano una garanzia, e stasera il pubblico milanese, caldo se pur non numeroso come quello cui sono abituati in madrepatria, ne ha avuto un’ottima dimostrazione.
BLIND8
ANNISOKAY
WITHIN TEMPTATION