A cura di Matteo Cereda
Dopo il forfait dello scorso anno in quel dell’Heineken Jammin Festival, i Wolfmother tornano a calcare il suolo italico con un’unica esibizione all’ormai sempre più caldo Live Music Club di Trezzo, a pochi chilometri da Milano. Sono più di tre anni che la band australiana manca dai palchi di casa nostra e nonostante non ci siano nuovi album da promuovere all’orizzonte è più che giustificato il quasi tutto esaurito, a dispetto di una piovosa serata di giugno dall’inatteso gusto autunnale.
WOLFMOTHER
Sono quasi le dieci quando calano le luci in platea e sul palco salgono tra l’entusiasmo generale gli acclamatissimi Wolfmother. Come già anticipato nell’introduzione il locale presenta praticamente il tutto esaurito e ciò è ben visibile dalla calca umana che affolla ogni metro quadrato di superficie. La scenografia è essenziale con un ottimo impianto luci e due leopardi raffigurati sullo sfondo a sostenere l’energia musicale dei nostri. La partenza lascia subito il segno grazie all’incisività hard rock ’70 di “Dimension” prima traccia dell’indimenticato omonimo debutto che sopperisce con il grande tiro a qualche problemino in sede di equalizzazione sonora, peraltro risolto in breve tempo dalla regia, lasciando spazio ad una resa complessiva godibile e sorprendentemente incentrata su volumi abbordabili. Lo spettacolo prosegue con “New Moon Rising” e si incendia definitivamente allorchè la band australiana propone il primo singolo in assoluto “Woman”. Andrew Stockdale è in gran forma e non risparmia gli acuti cui ci ha abituato e anche il resto della band rivoluzionato in occasione dell’uscita del secondo e sin qui ultimo disco “Cosmic Egg” appare compatta e motivata con una nota di colore per il bassista/tastierista Ian Peres letteralmente indemoniato per tutta la serata. Dopo aver preso confidenza con il pubblico italiano Stockdale lancia una grande versione di “White Unicorn”, condita da un intermezzo psichedelico che riprende il brano dei The Doors “Riders On The Storm”. Lo spettacolo continua in maniera a dir poco entusiasmante con una band calda al punto giusto che interpreta nel migliore dei modi il rock fortemente ispirato alla scena ’70 ed in particolare ai Led Zeppelin di “Cosmic Egg” e “Apple Tree”. Durante la serata c’è spazio anche per l’ottima “By The Sword”, brano che Stockdale ha magistralmente cantato sul primo e sin qui unico disco solista di Slash e per una anteprima del disco che verrà con le buone premesse suscitate da “Meridian”. Le pause fra una canzone e l’altra sono ridotte all’essenziale e allora ecco arrivare un interessante versione del classico dei The Who “Baba O’Riley”, per non parlare delle bellissime atmosfere settantine respirate attraverso “Mind’s Eye”. La scanzonata “Vagabond” oltre ad introdurre nella serata simpatiche influenze country rappresenta a questo punto una sorta di stacco dopo la grande intensità sprigionata dal quartetto australiano e prima del potente binomio “California Queen” e “Colossal” che manda la band negli spogliatoi fra gli applausi scroscianti. Il rientro per la passerella finale prevede l’esecuzione di “10,000 Feet” e l’immancabile “Joker And The Thief” perfetta chiusura di uno spettacolo vintage ottimamente suonato ed interpretato dai Wolfmother, una band che ha saputo reinterpretare schemi e soluzioni già sentite molti anni fa in maniera convincente.