INCANTATION – La passione non muore mai

Pubblicato il 24/08/2023 da

È un piacere ritrovare gli Incantation. L’ultimo “Sect of Vile Divinities” sembra uscito ieri, ma in realtà sono già trascorsi tre anni dalla sua pubblicazione: colpa della pandemia, che ci ha costretto a cambiare completamente le nostre abitudini, ad azzerare i nostri piani e a vivere a lungo in una bolla di giornate tutte uguali.
Se oggi la nostra percezione del tempo risulta talvolta distorta, è almeno confortante constatare come l’ispirazione di John McEntee e soci sia sempre al suo posto, come appunto dimostra il nuovo album “Unholy Deification”, in uscita per Relapse Records. Non si rintracciano chissà quali novità stilistiche nella nuova opera degli storici death metaller americani, ma si può dire che anche qui il quartetto sia riuscito a mantenersi sui notevoli standard raggiunti con le ultime fatiche in studio, mettendo insieme alcuni ottimi brani e una tracklist che nel complesso lascia molto soddisfatti.
Parliamo dell’ennesimo ritorno della sua creatura con il cosiddetto mastermind del gruppo, il buon McEntee, sempre disponibile e ciarliero non appena arriva il momento di disquisire sul suo lunghissimo percorso artistico.

DOPO TUTTI QUESTI ANNI CON GLI INCANTATION, COSA TI PORTA A CREARE CONTINUAMENTE NUOVA MUSICA? SONO CAMBIATE LE MOTIVAZIONI E LE FONTI DI ISPIRAZIONE NEL CORSO DEGLI ANNI?
– Gli Incantation e questa musica sono tutta la mia vita. Amo comporre nuova musica e completare una nuova canzone resta sempre un momento speciale, anche a distanza di decenni dalle prime volte. Certo, puoi dire che lo stile della band sia ormai tutto sommato definito, ma credo che il nostro raggio di azione come musicisti sia comunque piuttosto ampio.
Nel tempo abbiamo creato uno stile che può essere ruvido e urgente così come lento e atmosferico, tendente al doom. Fra questi registri c’è un notevole spazio di manovra che merita puntualmente di venire esplorato. Sin da ragazzino ho sempre avuto questa voglia di suonare qualcosa di potente, oscuro e rumoroso e posso dire che in un certo senso questa attitudine non mi abbia mai abbandonato. Sono partito dai Kiss per poi passare a AC/DC, ai Black Sabbath e agli Iron Maiden proprio perchè ero alla ricerca di qualcosa che fosse sempre più heavy e veloce.
E questo approccio lo percepisco ancora oggi quando compongo: magari non cerco di essere più veloce di tutti, però faccio del mio meglio per spingere la mia musica in posti nuovi all’interno del nostro stile. Mi è sempre piaciuto questo dell’heavy metal o del death metal. Voglio spingere i limiti sempre più in là con quello che faccio. Ora ci sono band che sono ovviamente più estreme di noi e più veloci, ma cerco di mantenere le cose in prospettiva nel mio mondo. Ho la mia visione personale di dove il death metal dovrebbe essere o dovrebbe andare. Ho avuto quella visione sin da quando ho iniziato con gli Incantation. A ben vedere, questo è stato uno dei motivi per cui lasciai la mia vecchia band, i Revenant, nel 1989, prima di fondare gli Incantation. Fu una decisione difficile all’epoca, ma era evidente che non volevamo più le stesse cose. Loro volevano diventare più tecnici. Volevano togliere un po’ dell’urgenza che ci contraddistingueva e fare cose più ragionate, ripulendo il sound. Non aveva alcun senso per me in quel momento. Volevo suonare in una band che proponesse la musica più pesante e destabilizzante possibile. Scrivevo qualcosa e mi dicevano che era troppo heavy… e io rimanevo perplesso. Mi state dicendo che sia un problema essere heavy? Non dovrebbero esserci limiti in questo senso.
Quindi, tornando al discorso iniziale, continuo ad avere una grande voglia di comporre perchè so che posso fare ciò che voglio con gli Incantation. Sono la mia band e inoltre oggi condivido questa esperienza con persone fantastiche. Dobbiamo goderci la musica che stiamo creando. Se dobbiamo preoccuparci di cosa pensa la gente, allora dovremmo semplicemente suonare un altro stile musicale. Il death metal dovrebbe essere un’espressione personale più che un modo per essere cool o fare un sacco di soldi o qualcosa del genere.

DEVE ESSERE STATA DURA RESTARE FERMI, A CASA, DURANTE LA PANDEMIA.
– Certamente, puoi dirlo forte. Lo è stato per tutte le band che cercano di portare avanti le loro attività full time, come se fosse un lavoro. Per noi la pandemia ha rappresentato un’opportunità per concentrarci ulteriormente sulla nostra musica, per rifinire il songwriting e per completare delle cose che erano in cantiere da tempo, vedi la raccolta “Tricennial of Blasphemy”, uscita lo scorso anno.
Però non ti nascondo che alla lunga è stato comunque frustrante, soprattutto perchè in quel periodo abbiamo pubblicato un album come “Sect of Vile Divinities”, il quale ha venduto benissimo, ma non siamo stati in grado di promuoverlo subito. Si sta in effetti venendo a creare una situazione strana in seno alla band ultimamente, nel senso che componiamo regolarmente nuova musica, ma non riusciamo a pubblicarla in tempi brevi per ovvi motivi legati alla stampa dei dischi, alla promozione e alla programmazione della casa discografica. Ci ritroviamo continuamente con diverso materiale in coda, che attende solo di essere pubblicato. E quando questo esce, per noi è già vecchio. Alcuni dei brani del nuovo album, “Unholy Deification”, sono vecchi di due o anche tre anni.

CONTINUI A ESSERE TU IL PRINCIPALE COMPOSITORE DELLA BAND?
– Lo sono se guardi al repertorio nel suo insieme, ma negli ultimi anni ho diviso i compiti fra tutti i membri della band. È fantastico poter contare su persone così talentuose che sposano in toto la mia idea di cosa debba essere il death metal. Il nostro batterista Kyle Severn si è ritirato dai tour da alcuni anni, non viene più in giro per il mondo con me, ma resta un elemento importante degli Incantation perchè resta a casa, compone nuova musica e registra le parti di batteria dei nostri dischi. Poi c’è il nostro bassista Chuck Sherwood: anche lui non prende parte a ogni tour, ma compone canzoni, scrive i testi, ecc. Infine c’è Luke Shively, il nostro giovane chitarrista: un ragazzo pieno di passione, senza alcun ego, bravissimo a comporre e suonare. Siamo una vera squadra e quando siamo tutti allineati è facile mettere insieme un nuovo album.

GLI INCANTATION SONO PASSATI ATTRAVERSO INNUMEREVOLI CAMBI DI LINE-UP, I QUALI HANNO COINVOLTO OGNI RUOLO, A PARTIRE DAL CANTANTE – VEDI I VARI CRAIG PILLARD, DANIEL CORCHADO E PAUL LEDNEY. PENSI CHE, ALMENO IN STUDIO, ORA ABBIATE TROVATO UNA FORMAZIONE DEFINITIVA?
– Per me è importante avere Kyle, anche se non può seguirci in tour. Con lui collaboro ormai da parecchi anni e posso dire di fidarmi ciecamente. Ci troviamo alla perfezione e finchè ci sarà lui so che riusciremo a mantenere sempre certi standard. Per il resto, sono felice di avere trovato persone che ultimamente riescono effettivamente ad aggiungere qualcosa al nostro operato e ad arricchire la musica degli Incantation. Poi, per vari impegni personali, mi ritrovo a volte a partire per un tour con una formazione diversa da quella che incide i dischi, ma anche in quel caso posso dire di avere trovato dei musicisti capaci di interpretare alla grande il nostro repertorio.
Io faccio questo di professione e sono l’unico che può e vuole sempre partire e vivere la musica al 100%, ma per fortuna sono anche il volto della band, a maggior ragione da quando ho iniziato a occuparmi anche della voce. Così non credo che la differenza si senta più di tanto. Possono cambiare i bassisti o i batteristi, ma, con me davanti, siamo sempre gli Incantation.

PARLANDO DI TOUR, MI SEMBRA CHE ULTIMAMENTE VI SIATE MESSI IN GIOCO PIÙ DEL SOLITO. OLTRE A SUONARE OVUNQUE COME AL SOLITO, AVETE PRESO PARTE ANCHE A TOUR FUORI DAL VOSTRO TIPICO CIRCUITO, VEDI QUELLO CON WOLVES IN THE THRONE ROOM E BELL WITCH DELLO SCORSO ANNO.
– Quello è stato un grande tour. Gente splendida, siamo andati d’accordo con tutti. In effetti è stato interessante suonare davanti a un pubblico diverso dal solito. Abbiamo guadagnato molti nuovi fan proprio perchè ci siamo trovati davanti persone che non ci avevano mai sentiti nominare. Forse inizialmente qualcuno era dubbioso, perchè il termine ‘death metal’ può ancora risultare inquietante per alcuni, ma alla fine abbiamo conquistato l’audience ogni sera. D’altra parte, il nostro è un tipo di death metal che ha dei punti in comune con il suono di quelle band: abbiamo tutte un approccio caldo, organico e, anche se in modo molto diverso, tutte badiamo all’atmosfera.
Nel complesso, è dunque stata una bella esperienza, è stato divertente anche se per certi versi rischioso. Eravamo il gruppo più brutale del pacchetto e tutti, nel bene o nel male, si saranno ricordati di noi.

IN EFFETTI, PENSO CHE UN GRUPPO COME I DYING FETUS NON AVREBBE AVUTO LA STESSA FORTUNA.
– Certo, il loro è un approccio ora più tecnico, ora più hardcore. Probabilmente il fan medio dei Bell Witch non li avrebbe capiti. Però è interessante che tu abbia menzionato i Dying Fetus. Ti faccio un altro esempio di tour che è andato oltre le nostre aspettative: qualche anno fa ci è stato chiesto di prendere parte ad alcune delle loro date negli USA e anche lì abbiamo incontrato tantissime persone che non ci avevano mai veramente ascoltato. Ogni sera è stata una scoperta e alla fine siamo tornati a casa con molti nuovi fan.
Se ci pensi, la cosa non è nemmeno così strana: dall’esterno è tutto death metal, ma tra noi e una band come i Dying Fetus ci sono differenze enormi. Tutta la scena death metal è ormai divisa in circuiti che a volte neanche si sfiorano. Pensa anche a come si presentano i fan: ai loro concerti i ragazzi indossano i pantaloncini corti, una t-shirt e magari neanche hanno i capelli lunghi. Nel nostro giro invece solitamente hai jeans, pelle, toppe, ecc. Insomma, anche in un contesto che sulla carta era death metal, ci siamo ritrovati a suonare davanti a persone nuove, ed è stato bellissimo. Vogliamo continuare a seguire questo approccio in futuro: fare tour per conto nostro, per la gente che ci conosce da tempo, e altri più ambiziosi. E’ un modo per tenersi giovani e per mantenere le cose interessanti.

RIPENSANDO ALLA STRUTTURA DEL PANORAMA E ALLE SUE SFUMATURE, IN ORIGINE LA SCENA METAL UNDERGROUND AMERICANA AVEVA MOLTE CAPITALI E SI ESTENDEVA DALLA FLORIDA A SAN FRANCISCO A NEW YORK. ESSENDO UNA DELLE PRIME BAND DEATH METAL DELLA SCENA NEWYORKESE, COME SIETE RIUSCITI A OTTENERE UN SUONO DIVERSO DALLE BAND DEATH METAL DELLA FLORIDA?
– Sicuramente vi sono sempre state differenze di suono e attitudine, ma sono cose che abbiamo davvero notato solo con il passare degli anni, quando il fenomeno ha preso piede e il death metal ha iniziato a venire studiato dall’esterno. Per noi che eravamo coinvolti sin dal principio, era difficile accorgersi subito di tutti questi dettagli. Stavamo solo facendo le cose a modo nostro. Non seguivamo le mode, né avevamo in mente di fare parte di una scena in particolare. Abbiamo sempre voluto solo essere noi stessi e dire al mondo di andare a farsi fottere, se ciò che stavamo proponendo non era di suo gradimento. Era un atteggiamento molto punk rock.
Penso che il suono del death metal newyorkese sia nato in modo naturale. Non avevamo davvero uno studio principale in cui tutte le band andavano a registrare, cosa che invece tendeva ad avvenire in Florida. Realtà come noi, Immolation e Mortician hanno avuto tutte le stesse influenze all’inizio, ma poi abbiamo fatto tutti qualcosa di diverso con le nostre idee, proprio perchè non c’era un unico studio o un singolo produttore pronto a plasmare e per certi versi a uniformare il nostro suono. Le cose a New York e nelle zone circostanti avvenivano in modo un po’ più spontaneo. Forse eravamo meno preparati e più ingenui di certi nostri amici più a sud, ma alla lunga siamo tutti riusciti a creare uno stile personale, il che è fantastico.

IL TERMINE ‘DEATH METAL CAVERNOSO’ VIENE PRINCIPALMENTE ASSOCIATO AGLI INCANTATION E OGGI CI SONO MOLTE GIOVANI REALTÀ CHE IMITANO I VOSTRI TIPICI ELEMENTI. PERCHÉ PENSI CHE LA VOSTRA MUSICA SIA DIVENTATA COSÌ INFLUENTE SULLA NUOVA ONDATA?
– Penso che la gente si sia scoperta affascinata dall’atmosfera opprimente, pesante e onesta che abbiamo. Per molto tempo, la musica – compreso il death metal – è stata iperprodotta, tanto da suonare finta. Noi invece sin dal primo giorno abbiamo sempre voluto essere ruvidi e fottutamente pesanti. Siamo sempre stati alfieri di questo death metal da uomo delle caverne e forse era solo una questione di tempo prima che una nuova generazione di musicisti death metal prendesse esempio e iniziasse a esprimersi in modo primordiale.
Anni fa mi è capitato di chiacchierare con i ragazzi dei Dead Congregation, un nome che oggi è davvero importante nel nostro ambiente, e mi hanno detto quanto un disco come “Blasphemy” sia stato fondamentale per loro. Non è uno dei nostri capitoli più celebrati, forse perchè è uscito in un periodo in cui il nostro tipo di sound non era molto seguito, ma mi piace pensare che abbia fatto scattare qualcosa nella testa di chi in quel momento, agli inizi degli anni Duemila, si stava stancando di certi suoni finti e della tecnica eccessiva nella musica estrema.
Negli anni troppe band hanno iniziato a preoccuparsi troppo della pulizia e della perfezione del suono. Non dico che un gruppo debba suonare male e registrare peggio, ma non si può nemmeno vedere il metal come la musica pop, dove tutto deve essere perfetto. Il death metal non dovrebbe essere perfetto al 100%. Le band aggiustano ogni piccola cosa in studio fino al punto in cui ogni minimo tocco umano e guizzo di personalità viene azzerato. Rendono la musica sterile, ma il death metal non dovrebbe essere così.

PRIMA HAI MENZIONATO LA MEGA RACCOLTA “TRICENNIAL OF BLASPHEMY”, USCITA IN DOPPIO CD E TRIPLO VINILE. LAVORARE A QUESTA COMPILATION TI HA FATTO RIVISITARE E RISCOPRIRE ALCUNI PEZZI DI CUI MAGARI TI ERI DIMENTICATO?
– Quello è stato un progetto davvero impegnativo e dispendioso, a livello di tempo. Abbiamo iniziato a lavorarci nel 2017, non molto tempo dopo avere pubblicato il nostro album “Profane Nexus”. Poi ci sono stati dei ritardi, tanto che per un certo periodo l’intera idea di pubblicare la compilation è stata accantonata. È stata poi la Relapse a farsi avanti, una volta constatato il successo del nostro ultimo album, “Sect of Vile Divinities”. Dopo avere visto che il disco era andato benissimo, ci hanno messo a disposizione il budget necessario per pubblicare la raccolta come avevamo in mente, quindi in doppio/triplo formato.
È stato divertente scavare negli archivi e interfacciarsi nuovamente con composizioni molto interessanti come, ad esempio, “Horde of Bestial Flames”, “Scapegoat” o “Sacrificial Sanctification”. Tutto il processo ha portato a rivalutare parte della nostra carriera e mi ha fatto tornare in mente tanti ricordi nostalgici. Posso anche arrivare a dire che questa riscoperta di vecchi brani potrebbe avere un’influenza sulla nuova musica che sto componendo: è bello ascoltare un brano vecchio di anni, di cui ti eri dimenticato, e pensare “Wow, l’ho fatto io questo? Spacca davvero”. Una simile circostanza può solo motivarti.

PER CONCLUDERE, UNA DOMANDA CLASSICA: QUALI SONO LE PIETRE MILIARI, I PILASTRI SU CUI SI FONDA LA STORIA DEL DEATH METAL SECONDO TE?
– Cito quattro dischi: “Seven Churches” dei Possessed, “Scream Bloody Gore” dei Death, “Season of the Dead” dei Necrophagia e “Abominations of Desolation” dei Morbid Angel. La storia del death metal parte da qui.

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