Report a cura di Giacomo Slongo
Fotografie di Enrico Dal Boni
A qualche settimana di distanza dal bagno di sangue firmato Cannibal Corpse, in quel di Milano è di nuovo tempo di death metal made in Florida. Protagonisti della serata i maestri di tutto ciò che è groovy e lineare, gli Obituary, in tour per promuovere il self-titled uscito lo scorso anno su Relapse e accompagnati dai connazionali Exmortus e dagli semisconosciuti death/thrasher Krysthla. Perso del tutto lo show degli opener, varchiamo le soglie dell’Alcatraz quando ormai mancano pochi minuti alla salita sul palco (settato in versione B) del quartetto di Whittier…
KRYSTHLA
EXMORTUS
Come suonerebbero i Revocation se decidessero di rinunciare alla componente jazz, implementassero quella death e si gettassero in un immaginario epico-machista degno della saga di Conan il Barbaro? Probabilmente non in maniera troppo dissimile dagli Exmortus, quartetto californiano protagonista di una rapida scalata ai vertici della scena estrema più tecnica e funambolica, fresco reduce dalle registrazioni del suo quinto full-length “The Sound of Steel”. Muovendosi tra Dark Angel e ultimi Death, Arsis e primi Dark Tranquillity, Jadran Gonzalez e soci si presentano sul palco con il fare di chi intende sfruttare al meglio la vetrina concessagli questa sera, di fronte agli occhi di una platea non ancora numerosa e, perlomeno all’inizio, in atteggiamento di studio nei loro confronti. In pochi sembrano avere idea di dove andrà a parare lo show, ma non passa molto tempo prima che la suddetta miscela cominci a fendere l’aria del locale meneghino e conquistare la fiducia degli astanti, tra assoli sboroni il giusto, melodie da corna al cielo e riff intellegibili nonostante la frenesia di base. La setlist è insomma un assalto all’arma bianca che, incalzato dallo screaming abrasivo di Gonzalez (un po’ Mikael Stanne, un po’ Chuck Schuldiner), diventa il classico pretesto per lasciarsi andare a pose esagerate e riscoprire il proprio lato manowariano, con le varie “Death to Tyrants”, “Immortality Made Flesh” e “Metal is King” a siglare nel migliore dei modi una performance onestissima e priva di cali di tensione, per certi versi superiore a quella degli headliner. Quel che si dice un inizio convincente.
Setlist:
Rising
Foe Hammer
For the Horde
Death to Tyrants
Immortality Made Flesh
Make Haste
Moonlight Sonata (Act 3)
Metal is King
OBITUARY
Dal techno-death/thrash degli Exmortus al sound cavernicolo degli Obituary il passo non è dei più brevi, ma in pochi sembrano dare peso alla cosa. Al contrario, lo spirito cafone dei primi trova degno coronamento nello show dei secondi, accolti da una cornice di pubblico finalmente degna di questo nome e pronta a dare il meglio di sé nel pit. È la strumentale “Redneck Stomp”, dal comeback album “Frozen in Time” del 2005, l’apripista con cui la band di Tampa decide di rompere gli indugi della setlist; una scelta insolita che non faticherà a trovare una spiegazione nel corso della serata, sbattendoci in faccia la verità sullo stato di salute dei Nostri. Se da un punto di vista strumentale la tenuta dei floridiani è pressoché immune a cali, con il minore dei fratelli Tardy a svettare dietro al drum-kit (impressionante il suo senso del groove) e il trio Peres-Butler-Andrews tanto ignorante nella presenza quanto chirurgico nell’esecuzione, lo stesso non può dirsi del caro vecchio John, in evidente debito di ossigeno mano a mano che i brani si susseguono in un mix di mid-tempo polverosi e parentesi selvagge da pogo. Ecco quindi spiegati gli escamotage per guadagnare tempo, le lunghe pause e soprattutto lo scarso numero di episodi proposti, per un minutaggio complessivo che, al termine della storica “Slowly We Rot”, si attesta sull’ora e dieci scarsa di concerto. Poco, troppo poco, specie se si pensa alla messa al bando di un’opera pregevole come “The End Complete” e al canovaccio che vuole relegati in un angolo i grandi classici dei Nineties, il tutto in favore delle recenti “Sentence Day”, “Visions in My Head” o “Straight to Hell”. Quella degli Obituary è insomma una performance dall’indole scostante, da applausi in alcuni frangenti (basti pensare al medley “Chopped Inside Half” / “Turned Inside Out”), farraginosa e poco incisiva in altri, specchio di una leggenda che forse non è più tale da diversi anni a questa parte. Il risultato complessivo – anche solo per il carisma dei musicisti coinvolti – non è ovviamente da buttare, ma il confronto con gli amici/colleghi Cannibal Corpse è vinto per l’ennesima volta da questi ultimi.
Setlist:
Redneck Stomp
Sentence Day
Visions in My Head
Chopped in Half / Turned Inside Out
Find the Arise
A Lesson in Vengeance
Brave
Dying
No
‘Til Death
Don’t Care
Encore:
Turned to Stone
Straight to Hell
Slowly We Rot