Report a cura di Roberto Guerra
Fotografie di Matteo Musazzi
Esistono band la cui ascesa al successo sembra pressoché inarrestabile per svariate ragioni che vanno ben oltre il puro e semplice discorso legato ai gusti musicali: non a caso, nel nuovo millennio abbiamo imparato in più di un’occasione che anche solo avere un’idea vincente, in grado di fare presa su un pubblico più o meno giovane, può rappresentare la chiave per elevarsi su livelli che mai sarebbe stato possibile immaginare. Questo concetto si può estendere senza particolari ripensamenti a tutte e tre le line-up presenti in quel dell’Alcatraz di Milano in un’anonima serata di fine gennaio, partendo dalla proposta ‘zarra’ e orecchiabile degli Amaranthe, passando per la formula ben rodata e unica nel suo genere degli Apocalyptica, fino a giungere al cospetto di quella macchina da guerra svedese che, oggi più che mai, sembra essere divenuta inscalfibile e che naturalmente risponde al nome di Sabaton. Con queste premesse, una location piena quasi al suo massimo sopportabile era più che prevedibile e la lunga coda presente all’esterno negli attimi precedenti l’apertura dei cancelli ne è stata un’ulteriore testimonianza. Una volta all’interno, dopo aver fatto un salto al merchandise ed esserci mischiati alla folla in trepidante attesa, il telo che ricopre il palco è pronto a cadere, ma sarà solo al momento dello spegnimento delle luci che finalmente questo evento così ricco di potenziale potrà iniziare a sparare le sue cartucce. Nel frattempo noi vi auguriamo buona lettura, non prima di avervi ricordato che, tra le varie cose, assisteremo anche ad una notevole lezione di storia bellica…
AMARANTHE
Come scrivevamo, anche gli svedesi Amaranthe sono una di quelle formazioni in evidente crescita a livello di popolarità, di conseguenza è inevitabile che, ad ogni schiera di nuovi estimatori, ne corrisponda un’altra di potenziali hater. Si sono lette molteplici critiche sulla loro proposta, così come su quella delle due band seguenti del resto, ma è innegabile che dal punto di vista dell’intrattenimento le carte in regola per fare bene ci siano tutte già da parecchio tempo: il trittico di voci fornisce una poliedricità notevole ad uno stile a metà tra un certo tipo di metal moderno e la musica elettronica più danzabile. I molteplici elementi necessariamente da inserire in base non giovano alla definizione sonora dell’esibizione dell’Alcatraz, che appare quindi relativamente impastata e caotica, ma fortunatamente abbastanza chiara e delineata per giungere alle orecchie dei presenti in modo discreto, fornendo quindi più di uno spunto per esaltarsi e saltare tutti insieme mentre la bella Elize Ryd e i suoi compagni svolgono il proprio ruolo in concomitanza delle varie “Maximize”, “Digital World” e “Hunger”. Anche le ugole possono trovare di che darci dentro, a prescindere che si tratti di una fase più melodica come la nota “Amaranthine” o momenti più pestati e tamarri. Non vi è dubbio alcuno riguardo il fondamento di alcune critiche che noi stessi abbiamo mosso più volte nei confronti degli Amaranthe, compresa l’efficacia ridotta di certi pezzi rispetto ad altri studiati decisamente meglio, però è anche vero che la loro dimensione l’hanno trovata più che bene e anche il pubblico di tutto il mondo sembra essersene accorto: se siete provvisti della giusta apertura e versatilità, in questi sei bei soggetti troverete sicuramente del buon materiale per divertirvi senza impegnare troppo la mente; e magari senza prendervi eccessivamente sul serio.
Setlist:
Maximize
Digital World
Hunger
Amaranthine
GG6
Helix
That Song
Call Out My Name
The Nexus
Drop Dead Cynical
APOCALYPTICA
Una tappa nelle gelide terre finlandesi con uno dei quartetti più particolari mai apparsi sulle nostre scene. Gli Apocalyptica non hanno certo bisogno di presentazioni, così come la loro proposta eseguita interamente tramite l’utilizzo di tre violoncelli e una batteria, ma comunque in linea con determinati stilemi richiesti da un pubblico orientato in direzione del metal. Dire che non ci sia del genio dietro tutto questo sarebbe come negare l’evidenza, a prescindere che si tratti di pezzi originali, come le iniziali “Rise”, “En Route To Mayhem” e “Path”, oppure cover persino apparentemente improbabili, tra cui la ben nota “Seemann” dei tedeschi Rammstein, cantata in quest’occasione dalla stessa Elize Ryd, che abbiamo già visto on stage subito prima. La stessa Elize sfrutta l’occasione per ammutolire letteralmente tutto il pubblico coi suoi virtuosismi nella successiva “I Don’t Care”, ma d’altronde le sue capacità non sono mai state messe in dubbio. Non mancano ovviamente ben due parentesi dedicate ai Metallica, con le immancabili “Seek & Destroy” e “Nothing Else Matters” a comporre l’atto finale insieme a “Hall Of The Mountain King” di Edvard Grieg; e pur amando le suddette tracce, forse avremmo preferito qualcosa di meno abusato e inflazionato. In ogni caso, anche i nostri quattro finlandesi hanno detto la loro con classe e capacità, e sicuramente è più che giustificato il bel ricordo della loro data da headliner sempre all’interno dei confini milanesi.
Adesso imbracciate le armi e mettetevi in posizione in trincea, perché la Divisione Fantasma sta per arrivare!
Setlist:
Rise
En Route To Mayhem
Path
Seemann (Rammstein cover)
I Don’t Care
Grace
Seek & Destroy (Metallica cover)
Hall Of The Mountain King (Edvard Grieg cover)
Nothing Else Matters (Metallica cover)
SABATON
Non c’è nulla da fare, i Sabaton risultano letteralmente impossibili da fermare ogni giorno che passa, e il fatto che ciascun loro lavoro in studio riesca a vendere più del precedente è ulteriore indice dell’incredibile potere che questa amata (e odiata) formazione svedese riesce ad avere su tutta la scena. Il loro power metal, rinnovato nella sua semplicità, unito alle tematiche belliche e ad un sound divenuto da tempo inconfondibile, rappresenta un solidissimo connubio di elementi che trovano la loro summa in un songwriting studiato apposta per penetrare nella mente dell’ascoltatore, su disco così come dal vivo. Ancora una volta è con “Ghost Division” che inizia la grande guerra, proseguendo guarda caso proprio con le recentissime “Great War”, “The Attack Of The Dead Men” e “Seven Pillars Of Wisdom”. Il pubblico impazzisce sin dal primissimo istante e, guardando il palco, tutto appare come lo amiamo ormai da tempo, ma ancora più ricco, a partire dalla scenografia completa di carro armato, trincea, scritte e teli cinematici; anche se sono ovviamente i cinque soldati on stage a rendere tutto inconfondibile, con il simpatico Joakim Brodén a condurre il gioco con presenza e capacità di coinvolgimento. Dopo “The Lost Battallion”, il chitarrista Tommy Johansson ci introduce alla scoppiettante “The Red Baron” presentandoci il pianoforte celato all’interno di un bombardiere rosso fuoco, il tutto rigorosamente parlando un italiano non perfetto, ma di questi tempi sicuramente migliore di quello di molti autoctoni; con in più un siparietto simpatico, seppur superfluo, dedicato ai nostrani 883. Giunti a questo punto l’esibizione appare già pulitissima e coinvolgente come non mai, con l’intera band sempre precisa e compatta, nonostante una lieve disparità nei suoni delle chitarre elettriche, che tuttavia si percepisce appena, e quella stramaledetta tastiera assente che ci piacerebbe prima o poi vedere nuovamente suonata fissa in presa diretta, e non solo in occasioni isolate.
Ci saremmo aspettati una comparsata degli Amaranthe su “82nd All The Way”, considerando la loro cover di recente uscita, ma purtroppo lo show prosegue lineare fino a “Night Witches”, dopo la quale il discorso cambia decisamente grazie all’arrivo degli Apocalyptica nelle retrovie, i quali donano un sapore del tutto nuovo a tutto il secondo atto di questa sorta di opera bellica in corso; tra l’altro, il moshpit scatenato in concomitanza di “The Lion From The North” farebbe invidia persino ai thrasher Exodus. Con lo sbarco in Normandia di “Primo Victoria” e la caccia alla grande nave da guerra “Bismarck” inizia la parte finale, in cui lo stesso Joakim ringrazia il pubblico rammentando insieme a noi della loro prima apparizione tra queste stesse mura, ormai dieci anni fa, in compagnia degli Alestorm. Il finale è quello di tutte le ultime occasioni, con “Swedish Pagans” e “To Hell And Back” ad accompagnare l’ultimo scoppio dei cannoni, prima che la band possa porgere il suo saluto ad un Alcatraz pieno e ancora in totale fermento.
Forse chi scrive può risultarvi vagamente fazioso quando si occupa dei Sabaton, ma quando si cresce letteralmente con una formazione, vedendola ascendere dal livello di power metal band underground a vero e proprio colosso del settore, con milioni di dischi venduti, diventa pressoché inevitabile immedesimarsi ancora di più. Ci fa solo piacere notare che c’è ancora chi riesce a ritagliarsi una posizione così forte all’interno del mercato e siamo sicuri che, se gli svedesi sapranno giocarsi bene le prossime carte, come musicisti e intrattenitori in generale, la situazione potrà solo migliorare ulteriormente. E con questo da Metalitalia.com è tutto, la guerra è finita e vi diamo appuntamento alla prossima battaglia!
Setlist:
Ghost Division
Great War
The Attack Of The Dead Men
Seven Pillars Of Wisdom
The Lost Battallion
The Red Baron
The Last Stand
82nd All The Way
Night Witches
Angels Calling
Fields Of Verdun
The Price Of A Mile
The Lion From The North
Carolus Rex
Primo Victoria
Bismarck
Swedish Pagans
To Hell And Back